Succede anche questo, che quelli che hanno un posto in televisione, presentatori, conduttori, giornalisti eccetera, usino la televisione come se fosse di loro proprietà, come un podio da cui parlano al popolo diffondendo le proprie opinioni. Non capiscono, fanno finta di non capire, che la televisione non è cosa loro, e dunque non possono usarla, sfruttandone il potere, per propri fini e per il loro molto personale interesse. Per esempio accade che molti di questi personaggi scrivano libri letterariamente di nessuna importanza, saggi di attualità, di costume, politica, romanzi, che data la notorietà televisiva degli autori invadono le librerie, i giornali, il mercato, e tutto questo è normale, niente di male, tranne forse che la letteratura che vale passa in second’ordine. E accade anche che Tizio promuova in trasmissione uno di questi libri di un suo collega televisivo, e che il collega in un’altra trasmissione promuova il libro di Tizio, e questo non va bene. Insomma un circolo vizioso con questo di negativo: che dei veri libri e dei veri scrittori non si parla quasi mai. E oltre a ciò nei programmi più seguiti vengono chiamati e vengono promossi sempre i già promossi, i già famosi e mai quelli da promuovere. Ma questo è cosa nota, fa parte del costume nazionale accorrere in soccorso del vincitore.
Si è mai sentito nominare un vero scrittore o un vero critico in una trasmissione, con la stessa insistenza e la stessa premurosa attenzione riservata al collega che occupa un posto in televisione? La cosa non mi meraviglia, la cultura è da tempo che latita dal nostro Paese, non sanno cosa sia i politici e, tranne rare eccezioni, non ne parlano mai col tono giusto, altre sono le cose che a loro interessano. Non ci sono grandi riviste, veri punti di incontro, una società che la tenga nella giusta considerazione. Solo i cosiddetti eventi, come lo Strega e simili, manifestazioni più mondane che culturali, più spesso «assessorili», per promuovere il turismo. E, sia detto per inciso, i premi sono raramente in danaro, sempre targhe targhette medaglie e medagliette, mai pecunia, sicché lo scrittore, quando è premiato, è solo usato.
Devo continuare? Quando si leggono i giornali la cultura bisogna cercarla in un angolino, dopo le straripanti pagine dedicate alla cucina, alla moda, alla salute. La cultura è considerata secondaria. Prima, non molto tempo fa, c’era la terza pagina, Montale, Piovene, Moravia, Buzzati, Parise scrivevano elzeviri creativi, non articoli di informazione come oggi si fa per inseguire gli «eventi» e l’attualità. Come conseguenza di tutta questa situazione, anche la vita di chi deve guadagnarsela scrivendo libri o articoli è diventata grama. Lo dico in nome di tanti miei amici e lo dico anche per esperienza personale.
Ma anche i nostri intellettuali, i rappresentanti della cultura che conta, avrebbero molte cose da rimproverarsi. I più bravi si sono rinchiusi nel loro recinto esclusivamente letterario, con polemichette esclusivamente letterarie, e spendono la loro intelligenza in quel recinto; altri meno bravi scrivono in un loro gergo intellettualistico che credono alto e invece è solo poco comunicativo; altri ancora, soprattutto i più giovani, sono eccessivamente competitivi e hanno come unica ambizione il successo. Pochi hanno un loro mondo poetico da esprimere, uno stile riconoscibile ed originale. Moravia, Pasolini, Calvino, Parise scrivevano in una lingua chiara e comprensibile, e spesso si sporcavano le mani, non erano «arroccati» e insieme smaniosi di successo mediatico. Insomma oggi anche gli intellettuali di questo tipo sono responsabili della situazione che si è creata e sono un esempio della scarsa sorveglianza critica che a tutti loro ha concesso un lasciapassare. Nel Paese che più deve alla cultura perché la cultura è alla base della sua identità, della sua lingua, dell’unica storia di cui non debba vergognarsi, sembra strano che la cultura sia trascurata fino a questo punto.
Raffaele La Capria
(Corriere della sera, 15/01/2015 – pag. 47)