Ma in sovrappeso
è mendicante
chi non aggredisce il fondo.
Distante dalle droghe, ricorda,
non per ali d’angelo – il peccato
risana spesso dal banale – né
per deroghe infernali,
distante
perché di quel silenzio
di quel gran suono
ci si condanna in superficie
al paradiso
d’uguali anime asfissiate.
È il corpo in libera caduta,
solo quel corpo libero
che salva.
*
Mi smemoro per un istante:
no, non scrivo versi, spendo il tempo
con tenaglie e martelli. No,
non cerco di ricreare un mondo, stendo
il mio corpo sulla sdraio sotto
le nuvole il vento è un armadio vecchio
da schiodare.
Ho il tetto della casupola vecchia da aggiustare.
Prima dell’inverno.
La pelle stropicciata.
Ecco.
*
― si muore se agli occhi
il treno non più ferro ma nuvola
che sbuffa oscurità e non ha suono ―.
*
Recita a Natale: il prete indiano che ringrazia,
la grazia nella cesta dono nigeriano, il solco
nella faccia madre bisognosa che s’ingrazia,
mia presenza in stizza di cuore e mente,
coscienza del magnamagna della Betlemme
in accordo con l’Europa mafia capitale, Roma
di un paesino e paesino d’una Roma, trovato
lavoro che m’importa, la torta
si spartisce con le maschere, vergonati ―
mi dico ― d’essere pastorello azzittito
seduto sulla panca pietra muschio, alzati
sputtana i retroscena, vomita le molliche
e fatti libero, vergognati ― mi dico ―
che vada in fiamme l’acqua benedetta
di quel tempio sputo ove mangi.