Ciò che oggi suona generico nel nome orobico, abitante dei monti, era un popolo preceltico vissuto in un periodo in cui il clima favoriva la permanenza sui monti. Siamo nel periodo neolitico. Ne danno testimonianza le pietre ritrovate sui monti di Tarten (Tartano), valle nel cuore delle Orobie che da quel popolo presero il nome. Perciò s’impone una nuova interpretazione. ‘Oro’ non sta per monte, ma indica il sole, da cui provenne il nome oro dato al metallo per la sua lucentezza e incorruttibilità.
E di quel popolo la civiltà era basata sul culto del Sole e della madre Terra, vivendo di raccolta e caccia principalmente e di primordiali forme d’allevamento caprino. Quest’ultimo ampliato al bovino si diffonderà soprattutto con la venuta dei Celti: Veneti, Liguri, Reti verso il 1000 a.C., che si insediarono discretamente qui trovando miniere di ferro e liberi pascoli.
Anche l’estate di quest’anno 2014, anno lunare per i Celti, addì 31 luglio in luna crescente, a Tarten è stata illustrata da una nuova meravigliosa scoperta dei fratelli Angelini: un altare di pietra di 7x6m circa, nella valle posta sulla linea del sole, est-ovest (Fig. 1). Il nome della valle Cuminèl traduce liberamente e sensitivamente: cammino di ‘el’, greco ηλιος, nome dato al sole di origine indoeuropea, oppure per attenerci a una discendenza celtica ‘comin’ el’, il sole che viene, che sorge e che quindi va a cadere ad ovest dietro il monte Pesèl che conseguentemente significa, ‘pass el’, ossia il sole che passa, tramonta.
Il sole personificato, come avviene nei fanciulli che danno vita personale alle cose con cui hanno più familiarità, è dunque la prima divinità che guidava la vita di chi viveva in grembo alla natura. Forse esso era accolto come un figlio della madre Terra.
È una valle favorita dal sole la val Cuminèl che doveva ospitare quei primi abitanti di Tarten che possiamo denominare Tarteni, nome acquisito sotto il perdurare della civiltà celtica che amava esaltare il valore e la grandezza dei fiumi, ma che Polibio del I secolo d.C. ancora indicava queste genti col nome più vasto di Orobi, in cui rientrava anche la popolazione dei Camuni di Val Camonica. ‘Camu’ era l’animale totemico dei Camuni, ossia il camoscio. Il totem si caratterizza per essere propiziatorio e venerato in quanto fonte vitale per la tribù.
Riguardo la nuova importante scoperta si rileva sull’orlo del masso ad occidente tre magnifiche coppelle in linea e una quarta a lato, la cintura d’Orione (Fig. 2), detta anche nel dialetto i Pradèer traducibile in ‘prae-de-el’, cioè che si levano prima del sole indicando l’inizio della primavera-estate. Levée sü matei che i è già fo i Pradèer. Mentre a parte verso il centro del masso si nota inciso un piede sinistro circondato da micro coppelle in forma di esse (Fig. 3) e altre tre in triangolo (Fig. 4). Forse quest’ultimo richiama il triangolo estivo formato dalle stelle Vega della Lyra, Deneb del Cigno, Altair dell’Aquila. Certo non c’è da aspettare Kant per sapere che il cielo stellato riempiva l’animo di stupore di quei nostri lontani antenati che meglio di noi erano favoriti nella visione del notturno cielo, dormendo più spesso all’aperto e senza il disturbo d’alcuna luce artificiale. Il piede scavato lungo 10cm circa, la vera novità, è simbolo del sole instancabile camminatore. Il masso enorme e piatto in origine avrebbe ospitato altri interventi se il tempo non l’avesse scalfito per metà. Standovi sopra la vista delle valli limitrofe, la più aperta alla contemplazione del Sole, è magnifica e stupefacente. La suddetta scoperta aggiungendosi alle precedenti: l’altare con coppelle e canaletti di Suna (Fig. 5) e la sensazionale di Amnis (Fig. 6), coppelle con bassorilievo che ritrae l’antenato di folta capigliatura in atto felino, su al centro di val Lema, confermano l’ipotesi che Tarten e le convalli orobiche fossero abitate su in alto in età preistorica e selvaggia, da gruppi famigliari organizzati in tribù, durante quel lungo periodo di secoli, in cui le montagne godettero di un clima favorevole che vide ad esempio la Norvegia ospitare l’uva.
Dove il culto più durò del Sole, se non ai monti di ombre e nevi, e d’estati brevi, dai nordici avvertito come divinità femminile per essere tanto desiata. The Sun, die Sonne, e Suna: è la località alpestre che accoglie diverse testimonianze in pietra in particolare quell’altare (Fig. 5) segnalatomi dal Sig. Amedeo Bulanti caricatore d’alpe e comunicato al fratello Luciano. Da qui partì la nostra fraterna e appassionata ricerca per amore della valle natia.
Gli alpeggi Suna, Cavisciöla e Lema si incontrano a un passo in prossimità di quello più famoso di Carnera o Lema che immette nella Val Brembana. Suna già noto per un altare litico posto all’interno di un barek circolare su di un alto poggio, si apre alla vista del maestoso monte Dies-gratia latinizzato da una preromana divinità di cultura animista propria dei primi orobi. Interessante notare sull’altare la presenza di canaletti tra una e le altre coppelle più significative, per cui riempiendo d’acqua l’una si vanno a riempire le altre (Fig. 7).
Su segnalazione del prof. Fausto Gusmeroli da qui ove è ubicato l’altare, dopo un avvallamento, si risale ad un altro poggio presso la casera per trovarvi un masso più piccolo con coppelle e due incisioni a forma di piede, di piccola dimensione distanti l’uno dall’altro di un passo, a richiamare il Sole (Fig. 8). Del resto l’alpeggio porta il nome dell’antica divinità solare la dea Sunna, Suna. Nell’ordine delle coppelle, in generale, si evidenzia la coppia unita da canaletto o senza, Sole e Luna, inseparabili astri che tanta parte hanno nel destino degli esseri viventi (Fig. 8). A proposito del culto del Sole si ha ulteriore conferma dal nome dell’alpe confinante con Suna, Val aur. Nome derivato dall’oro che alcuni sostengono si trovasse in questa valle al tempo di Teodolinda preoccupata della sua corona. Non era l’oro prezioso ai selvaggi, ma l’Oro, il Sole. Risalendo verso il passo indicato sul fianco sinistro dell’anfiteatro di Suna incontri tre micro coppelle in forma di triangolo, mentre sul lato opposto due altre.
Scendiamo io e il fratello in Lema tenendo la sinistra a fianco della cima Zucheda, montagna che ci indica lo zenit e la miniera di ferro; in una breve conca che guarda la valle notiamo due croci ben incise su una roccia affiorante segnate da cinque punti profondi e quattro braccia solcate e arrotondate che ci richiamano l’antica rosa camuna (Fig. 9). Il punto centrale della croce indica la profondità, cioè la dimensione verticale, gli altri le quattro direzioni orizzontali. La croce uno dei simboli più antichi fu eseguita in varie forme, assumendo anche il significato del Sole, per cui dal centro si dipartono i raggi. Ma perché due una accosta all’altra? È da pensare al Sole e alla Luna. In molti casi, in tempi più recenti le croci segnavano i confini. Riguardo alle nostre due croci rimane il dubbio e la suggestione è di qualcosa antichissimo. Occorrerebbe datarle per accertarsi se hanno a che fare col popolo delle coppelle la cui presenza è attestata anche nella valle del versante opposto, nell’alpe Cavisciöla (Fig. 10 e 11); dove al limitare del bosco ci sono pietre con coppelle, confermandoci l’unità di paesaggio e civiltà d’un popolo orobico radicato nel culto della pietra, simbolo imperituro della madre Terra che guarda al Sole indispensabile datore di vita. Era il Sole che indicava a quei primi montanari dediti alla raccolta e alla caccia o a quei primissimi pastori allevatori di capre il luogo propizio per dimorare. E proprio in Lema si trova la ruota del Sole, masso rotondo con un foro al centro di fattura celtica, ora adibito a desco pastorale, certamente serviva a quegli orobi per espletare il culto e la devozione del Sole (Fig. 12 e 13).
Orobi significa vita da βιος, del Sole o nel Sole. Oro da оυρος guardiano, custode riferito al Sole come colui che ci guarda o custodisce, оυρανоς la dimora del Sole. Che questo popolo fosse chiamato col nome generico di abitanti dei monti ci risulta banale rispetto anche alle cose nuove scoperte. Tracce d’un rapporto vivo e devozionale col Sole si riscontrano nel dialetto come nella parola biùt, nudo col valore di vita, salute; nudi ci si mette spontaneamente al sole che consente pure di tuffarsi in acque fresche; o nell’espressione dialettale indèm a scultà ul Sul, che rimanda ad una devozione collettiva, dove il Sole è consigliere saggio. Soltanto nell’Antico Testamento in netta opposizione al culto solare dei ‘pagani’, il Sole è considerato semplicemente come uno dei due ‘lumi’ che Dio pose nel firmamento. Ma il culto persiste e Cristo viene paragonato al Sole. Tra i segni fondamentali usati come simbolo del Sole troviamo non soltanto la figura del cerchio circondato da raggi, ma anche quella del cerchio con un punto centrale e quella della ‘ruota solare’ suddivisa secondo una croce assiale.
Il riferimento al Sole rimane esplicito anche in altri toponimi della Val Tarten oltre i già citati, come credo si trovino nelle altre valli orobiche. Züch è la montagna che sale dalla Biorca e divide la val Lunga dalla val Corta, il cui nome sta per Zenit. Infatti a mezzogiorno il Sole è collocato sopra questo monte. L’Alpe Gerlu: ‘lu’, il sole, ‘ger’, la terra. Quest’alpe ospita un importante passo per il lago Bernasca in Val Madre. Il monte Turensöl che si eleva sopra il Cursöl, ‘turent’, cioè intorno: il sole vi gira intorno, mentre Cursöl indica la corte del sole poiché sta su un poggio che si affaccia alla valli principali. Dàsula è la montagna che domina la valle dell’Adda e saluta il sole fin giù in fondo al lago di Como (Fig. 14). Nell’uso dialettale fondamentale è la distinzione in zone di sole e d’ombra; ‘sulìf’ e ‘vack’ da vacuo, vuoto, oppure pürif che sta per pör, povero.
E quanta importanza abbia per quelle genti il sole e la luna ce lo dice un detto dei cek, gli abitanti della costiera retica: maroc maroc de la mala furtüna, d’invernu senza sul, d’istaa senza lüna.
La religione del Sole non è mai morta e in tempi di crisi ci può ben rincuorare. Se avete tempo, in conclusione, visitate la rupe di Grosio che riporta incisi numerosi stilizzati oranti, impropriamente detti oranti che è il modo degli schiavi, semmai sono adoranti, posti cioè davanti a Oro, il sole, con le braccia alzate in estasi ed esultante contemplazione:
O jubilo de core
che fai cantar d’amore
(Jacopone da Todi)
Adriano e Luciano Angelini
(da 'l Gazetin, ottobre 2014)
L’altare di Cuminèl (immagine allegata Fig. 1). L’altare di Cuminel dedicato al Sole e alla madre Terra, per metà scalfito e scalpellato dal tempo, sull’altra metà di roccia ben conservata vi scintillano stelle intorno al piede del Sole in forma di esse e presso un triangolo equilatero, mentre discosto tre coppelle allineate e una a lato ci indicano la cintura d’Orione nunzio del Sole di primavera.