Prima gara da dilettante a Ronciglione
La mia società era la “Libertas” di Ciampino (Roma), gli indumenti erano quelli di allora, calzoncini neri con scritte bianche, maglietta a colori giallo rosso con la scritta della società
«Anno 1950, la mia prima gara da dilettante. Avevo il tesserino da corridore che mi era stato rilasciato dopo le visite mediche specifiche. La mia società era la Libertas di Ciampino (Roma), gli indumenti erano quelli di allora, calzoncini neri con scritte bianche, maglietta a colori giallo rosso con la scritta della società. Un vestiario piuttosto scadente, ma indossarlo mi faceva sentire diverso, mi sentivo atleta e nella mia mente c'erano dei sogni. Mi preparai accuratamente – capelli corti, barba e gambe ben rasate, aspetto ordinato – e il mio desiderio era di fare bene, di ottenere risultati buoni anche per la mia società di appartenenza.
La gara si svolgeva a Ronciglione, andai a Roma in bicicletta e a piazza Esedra trovai il pullman messo a disposizione dei corridori di Roma.
Eravamo una quindicina, c’erano gruppi di due tre corridori, io ero solo a rappresentare la mia società. Caricammo le biciclette sul portabagagli e il pullman partì per Ronciglione, in provincia di Viterbo, distante da Roma una sessantina di chilometri.
Avevo accanto un ragazzo silenzioso, anche lui da solo come me. I corridori senza compagni di squadra sono svantaggiati in corsa, devono fare tutto da soli, come l'artigiano senza aiutante. Arrivammo a Ronciglione, in una piazza c'era il punto di ritrovo e facemmo le iscrizioni. Passò una vettura che lanciava volantini per tutto il paese con le notizie della gara, chi l'aveva sponsorizzata, il percorso, i nomi dei partecipanti. Fra questi c’erano anche alcuni dilettanti che passarono poi professionisti. Sul volantino c'era scritto anche il mio nome e mi sentii importante, per un attimo pensai anche ad una mia realizzazione attraverso il ciclismo.
Tutto il percorso lo feci con il ragazzo con cui avevo stretto amicizia sul pullman, che si trovava nelle mie stesse condizioni, e cioè solo.
La corsa non andò bene. In una discesa mi saltò la catena dal platò, dovetti scendere e sistemare la catena ma non riuscii a rientrare nel gruppo. Se avessi avuto compagni di squadra, questo sicuramente non sarebbe accaduto.
A gara conclusa, il mio compagno disse: “Adesso andiamo a mangiare”. Io non risposi, troviamo una trattoria e lui entra, io rimango fuori preso dal terrore. Non avevo un centesimo in tasca, io volevo gareggiare, avevo solo la passione del ciclismo e nient’altro. Resosi conto della situazione, il mio compagno tornò indietro, mi prese per la mano come si fa con un bambino smarrito, mi fece sedere al tavolo e mi disse: “Io dispongo di poco ma questo poco lo dividiamo in due”.
Quel ragazzo non l'ho più rivisto, ma oggi a tanti anni di distanza ancora lo ricordo con gratitudine, un ragazzo tranquillo con tanta voglia di emergere, un ragazzo buono che sicuramente dalla vita avrà ricevuto cose buone. Grazie ragazzo, grazie amico mio.
La sera facemmo ritorno alla piazza per la partenza, e la notizia fu che il pullman a nostra disposizione era solo andata. Partii in biciletta con un altro ragazzo di Roma e percorremmo tanti chilometri al buio con rischi elevati, con tanta ma tanta fatica per tornare a casa. Arrivammo a mezzanotte, non ricordo se i miei genitori mi rimproverarono ma se anche lo avessero fatto, forse non li avrei sentiti». (fine)