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Antonia Pozzi. Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938/ 9.
23 Dicembre 2014
 

Pavia, 11-13 Febbraio 1932

 

Antonello, anima mia, dolcezza,

lascia che io ti chiami ancora così, lascia che ancora, come sempre, come sempre, io stringa la tua testa adorata sul mio cuore e serri le tue piccole mani e baci le tue palpebre a lungo a lungo… Antonello, bambino che stai facendo un cattivo sogno; Antonello, bambino che nessuno, nessuno, neanche la Morte strapperà dalle braccia della sua pupa… Antonello, vita della vita, sangue del sangue, amore benedetto. Mai come ieri, sul punto di perderti, ho sentito che tutte le radici del mio vivere sono in te e che se tu vai via, la mia vita se ne va con te. No, è tutto un sogno, tutto è un brutto sogno. Non può non essere un sogno. Qualunque cosa t’abbiano detto, qualunque cosa abbiano fatto contro di te, contro me, che cosa, dimmi, potrà essere contro il nostro amore? Non lo dicevi tu stesso, dì, che nessuno potrà separarci mai, che noi, con il nostro bene, supereremo tutti gli ostacoli, che un giorno saremo «eternamente uniti»? E non ti ricordi di quel che abbiamo sognato, della creatura nostra, del nostro nido, del nostro sonno, della sua piccola voce?... Oh, come hai potuto, come hai potuto, ieri, augurarmi una vita serena, mentre volevi dirmi addio?... ma non lo sai, non lo sai che io sono pronta a morire piuttosto che essere di un altro uomo; non lo sai che ribrezzo, che ribrezzo mi faccio, carne e anima, se penso che potrei dar vita ad un figlio non tuo; non lo sai che io sono pronta a morire piuttosto che essere di un altro uomo; non lo sai che quel figlio lo odierei come non tutto mio? Qualunque cosa mi vorrai raccontare e spiegare, nulla, lo so, mi sembrerà così grave da giustificare la nostra rinuncia. Se anche tu, sei convinto della santità del nostro amore, non puoi, come me, non sentire che ciò che è buono e santo non reca, alla fine, nessun male e non può, non deve essere rinunciato.

Se ci gioverà, dapprima, usare la forza, vedrai che quella forza si risolverà in gioia. Io ne ho la certezza, Antonello.

Ma bisognerà che tutti e due siamo forti e costanti, bisognerà che nessuno di noi vacilli, bisognerà che entrambi cerchiamo di deporre fino all’ultima stilla il nostro orgoglio e con la massima bontà combattiamo la dura battaglia.

Vedi, Mimmino: ieri, dopo quell’ora terribile, ho deciso di venire a passare questi tre giorni, qui sola, dalla mia nonna. È stata tanto malata, povera donna; ma ora sta meglio ed è così lieta di avermi con lei.

È caduta tanta neve, tanta neve e ancora non accenna a cessare. All’imbrunire, qui, si sentivano tante campane, da tutte le torri. Io mi sento tanto vicina a lei che è quasi giunta in fondo al cammino e con l’anima vecchia e serena adoro in lei l’immagine bianca della morte.

La vita è così un nulla, Antonello. Se ci […] te ne scongiuro un filo di […] tanto sconsolata. Perdonami, perdonami se anche in questo ti ho ingannato: ti sono apparsa come la primavera e invece ho tutta la povertà dell’inverno nella mia anima grigia. Ma tu accogli la mia povertà, arricchiscila e di te e forse sarà meno povera. Antonello, Antonello, ascolta, non andartene ancora; se te ne andassi ora forse un giorno piangeresti pensandomi. Resta qui con l’Antonia, sempre con l’Antonia, qui; non badare alle mie lacrime: ascolta: che cosa ti ha spaventato così, dimmi? Che cosa, che cosa ha potuto farti dire la cosa orrenda?... Farti desiderare di non tornare più!!! Che cosa fuori di te? Che cosa dentro di te?

Antonello, te ne supplico, lunedì, quando verrai, cerca di essere sincero, verso me e verso te. Io sarò buona e calma; non mi farò veder piangere; non farò nulla per impedire che la parola atroce, se me la vorrai dire, esca dalle tue labbra.

Ma dopo non devi più guardarmi, devi andare via in fretta, non volgerti mai, mai.

E poi no, tutto questo non è possibile, perché se davvero ti vedessi andar via cadrei come morta oppure urlerei così che mi crederesti.

Ti aspetto lunedì 15, alle 3 davanti al Castello.

Oh, resta, resta, resta nelle mie braccia, mio cuore; oh, voglimi ancora, così come io ti voglio. Dolcezza.

La tua Stellina

 

P.S. Se la stellina resterà fissa al suo posto nel cielo, nel mondo, ad aspettarti e non ti vedrà tornare, che cosa dovrà fare allora, povera stellina inchiodata al cielo.

 

 

 

Antonia Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938

A cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino

Con un saggio di Marco Dalla Torre e postfazione di Tiziana Altea

Ancora, 2014, pp. 392, € 26,00

 

9segue


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