Xavier Dolan, nel suo primo film Ho ucciso mia madre, da lui diretto e interpretato quando aveva solo vent’anni, raccontava il rapporto tra una madre e un figlio adolescente, caratterizzato da un fastidio fisico insoffribile del figlio per la madre, da un’insopportazione che sfociava in crisi di furore.
Quella madre era piena di difetti; ma si intuiva che tanta avversione era prodotta da un legame affettivo troppo intenso, esclusivo, nel quale il figlio era come imprigionato.
Nel film che Dolan ha diretto cinque anni dopo – Mommy, che ha vinto la Palma per la Regia all’ultimo festival di Cannes (ex-aequo con Godard), opera certo più matura da un punto di vista formale – si ritrova lo stesso tema, a ben guardare nella sostanza inalterato nelle sue caratteristiche psicologiche.
Qui la madre è una donna sola, vedova, che convive soltanto con il suo unico figlio di 15 anni: biondo e bello, ma devastato da uno squilibrio mentale, che lo ha portato in riformatorio, dopo aver appiccato un incendio nel quale un altro ragazzo ha riportato ustioni gravissime.
Rozza e sgraziata, la donna vuole un bene dell’anima a suo figlio, tanto che continua a tenerlo in casa nonostante le sue ricorrenti crisi di aggressività, rifiutandosi a lungo di affidarlo a un istituto per malattie mentali. E il ragazzo, almeno quando è di buon umore, pretenderebbe di proteggere e accudire sua madre quasi come se fosse sua moglie.
Insomma: sono stretti l’uno all’altra come per proteggersi dal mondo esterno, avvertito come nemico; e nemico forse proprio perché minaccia di separarli.
In questo idillio impossibile, che tante volte si rovescia in un inferno, si introduce un elemento estraneo. Si tratta della moglie di un vicino di casa, la quale in un primo tempo, si intuisce, calma il ragazzo offrendogli un rapporto sessuale (al quale il film allude con una certa laidità); ma che poi diventa per lui come una seconda madre, che a differenza della prima, affettuosa ma ignorante, provvede a istruirlo. Sembrerebbe la sua una presenza preziosa, provvidenziale.
Eppure, quando il rapporto tra madre e figlio precipita a tal punto che almeno per qualche tempo i due devono separarsi, di quest’altra donna entrambi non sembrano più curarsi affatto.
Non è certo un caso che se madre e figlio nel film sono dotati di contraddizioni caratteriali, di alcune sfumature psicologiche, tutto ciò che è esterno a loro, che riguardi il mondo del lavoro, gli ospedali, altre donne o altri uomini, è liquidato come una vignetta, una caricatura; e tale da suscitare quasi sempre la nostra antipatia.
Tutto ciò che nel film è serio, considerato degno di suscitare immedesimazione e commozione, è il rapporto tra madre e figlio, a momenti gioioso, ma anche fonte di una dannazione forse irredimibile per entrambi.
Mommy è un film estroso, che comprende momenti molto intensi. Si avverte tuttavia il rischio che il talento indubbio del suo giovane autore possa restare esso stesso imprigionato in un tema strutturalmente immobile; del quale si faticano a immaginare possibili sviluppi.
Gianfranco Cercone
(da Notizie Radicali, 15 dicembre 2014)