Milano, 26 aprile 1930
Antonello,
perdona ti prego, il mio lungo silenzio. Forse ti ho fatto soffrire: ci pensavo tanto, sai, in questi giorni, e questo aumentava il mio tormento. Ciò che ho sofferto e vissuto non ti posso dire: cose che sulla carta si dissolvono e inaridiscono sulle labbra. Cose che si sentono solamente.
Ora sono calma, serena, buona. Sì Antonello: forse è orgoglio troppo grande il dirlo, ma mi sembra di essere veramente buona, ora. Sono ciò che devo essere. Questa è la norma di vita che mi sono foggiata. Ti dirò, ti dirò come mi è nata nell’anima. Io so che sono stati giorni di spasimo atroce: un arrancare estenuato su per una salita immane, nera; poi d’un tratto, la vetta e la luce, la luce vera, finalmente, che spero di non perdere mai più: e davanti, larga, chiara, decisa, la mia strada senza meta, la strada del dovere: più rossa di una strada d’amore.
Parleremo anche di questo, Nello, quando ci rivedremo. Mi sento dentro una forza che non ho sentita mai: una forza che di se stessa si nutre e di se stessa si rinnova. Più completa, più salda, più cosciente che sento rinascere in me la mia giovinezza: più pensosamente, più intensamente vivo la gioia di vivere.
Non più serrata ed egoistica ebbrezza, ma gioia piena e feconda mi è consacrare alla vita ed a te nella vita questa mia giovinezza che vorrà di giorno in giorno elevarsi.
Antonello, mio dolce compagno: i doveri che mi attendono mi son tutti presenti: e i più ardui sono i più belli. Io voglio essere capace di coglierli tutti. Antonello, mio santo compagno […]
Io non ti ho mai parlato del mio papà, Antonello. Ma è tanto, tanto buono, sai: anche se non vive come te, anche se la vita gli ha imposto una professione diversa da quella per la quale egli era nato: È un’anima immensamente forte, entusiasta, onesta; di un’infinita rettitudine.
Io ho tante colpe verso di lui: non gli ho mai voluto abbastanza bene; ne ho sempre avuto terribilmente paura. Ora soltanto mi sembra di capirlo. Confidenza non ne ho mai avuta, neppure in lui: nessuno dei miei conosce la mia anima. Non posso cominciare ora: non è più possibile ormai: Ma bene gliene voglio, questi sì: un bene immenso. Come anche alla mamma […].
La tua Antonia
Antonia Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938
A cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino
Con un saggio di Marco Dalla Torre e postfazione di Tiziana Altea
Ancora, 2014, pp. 392, € 26,00
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