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L’Arnina di Lorenzo Bartolini 
Il marmo ritrovato per Giovanni degli Alessandrini
05 Dicembre 2014
 

Si è aperta nella Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze, fino all’8 febbraio 2015, la mostra “L’Arnina di Lorenzo Bartolini. Il marmo ritrovato per Giovanni degli Alessandrini”.

La piccola e preziosa esposizione, curata da Lia Brusoni, vicedirettrice della Galleria dell’Accademia, (Catalogo Sillabe) rappresenta l’occasione per condividere con il pubblico gli ulteriori studi intorno all’opera dello scultore neoclassico Lorenzo Bartolini, che la Galleria Fiorentina promuove da anni.

Lorenzo Bartolini (Svignano, Prato 1777 – Firenze, 1850), il maggior scultore italiano della prima metà dell’Ottocento dopo Canova. Il Bartolini opera in un ambito intermedio fra neoclassicismo e romanticismo. Egli, piuttosto che seguire la teoria del «bello ideale», piuttosto che ammirare l’uomo «sognato dagli ideali» (come dice lui stesso), preferisce guardare l’uomo creato da Dio, l’uomo esistente in natura.

Anzi a conferma di queste idee, fece copiare ai suoi allievi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, invece del solito «gesso», un gobbo, incontrato per strada, affinché ne ricavassero una figura di Esopo (il celebre e leggendario favolista greco del V secolo a.C., che la tradizione descrive deforme e balbuziente), ritenendolo più conforme alla realtà di quanto non lo fossero le raffigurazioni idealizzate tendenti a cogliere lo spirito.

Il fatto fece scalpore e suscitò vivaci polemiche, ponendo lo scultore in una posizione di avanguardia. E in effetti le idee sostenute dal Bartolini appaiono antiaccademiche, anticlassiche e, forse, già realiste prima ancora che romantiche.

Ma alla novità delle idee non corrisponde altrettanta novità nelle opere.

In queste il Bartolini in parte si riallaccia alla levigatezza ideale neoclassica, come nel bel nudo della Fiducia in Dio, in parte tenta un recupero dell’antica tradizione toscana rinascimentale, come nell’Ammostatore. Da questo punto di vista lo scultore è ritenuto il più significativo rappresentante del «purismo». Come il «purismo» letterario (la dottrina che fa capo ad Antonio Cesari e a Basilio Puoti) reagisce alle degenerazioni linguistiche (e in particolare ai francesismi causati fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento dall’ondata napoleonica), sostenendo il ritorno alla purezza aurea della lingua italiana del Trecento, il secolo nel quale essa ha trovato la sua forma perfetta in Dante, Boccaccio e Petrarca, così il «purismo» in arte propugna, contro gli orpelli barocchi o rococò e contro l’artificiosità neoclassica, il ritorno al periodo detto «primitivo» (includendovi oltre al medioevo anche il primo rinascimento), quando gli artisti creavano obbedendo soltanto alla purezza della loro fede religiosa ed esisteva un’arte propriamente italiana. È una tesi romantica e risorgimentale che rientra nelle tendenze culturali dell’epoca e che, poiché spinge all’imitazione, è scarsamente produttiva.

L’opera inedita che viene esposta alla Galleria dell’Accademia per la prima volta al pubblico affiancata dal suo bellissimo calco in gesso, di proprietà della stessa Galleria dell’Accademia, rappresenta la Ninfa dell’Arno (Arnina). La figura è seduta su uno sperone di roccia, è una donna dalla grazia adolescenziale che volge il capo verso destra, lo sguardo sereno posato lontano di chi è immerso nei propri pensieri. Sul volto le aleggia un sorriso. L’acconciatura, con i capelli spartiti sulla fronte e raccolti in un nodo sulla nuca, è desunta da modelli della tradizione classica, e crea un toccante contrappunto con la naturalezza del corpo, con la serenità della posa.

Nel 1825 la scultura fu dedicata a Giovanni degli Alessandri, all’epoca presidente dell’Accademia di Belle Arti ed estimatore di Lorenzo Bartolini con il quale condivideva l’interesse per la scultura del Quattrocento toscano.

La redazione marmorea dell’Arnina deriva da un modello formato in gesso intorno al 1817, quando lo scultore, tornato a vivere a Firenze da due anni, godeva ormai di una discreta fama soprattutto nell’ambito di un’illustre clientela internazionale, in particolare anglosassone. Si deve, infatti, proprio a un’amabile e brillante gentildonna inglese, miss Mary Berry, la prima notizia riguardante il gesso della statua, ammirato dalla donna in visita allo studio dell’artista nell’ottobre del 1817. Tre anni più tardi, miss Barry potè nuovamente apprezzare la scultura, questa volta, però durante la sua esecuzione in marmo ordinata a Bartolini da John Sawrey Meritt di Rokeby Hall.

Nel novembre del 1823, la statua ancora in lavorazione fu vista da Charles March Phillps Hall e subentrò lui all’amico Meritt nell’acquisto dell’Arninia, che inviata a Londra e accolta con soddisfazione dal nuovo proprietario, venne collocata nella residenza di questi a Garedon Hall, nel Leicestershire.

Sul finire degli anni Cinquanta del Novecento la scultura, ancora corredata del suo plinto, anch’esso opera di Bartolini, fu immessa sul mercato dell’arte inglese quale ornamento da giardino, e acquistata dal padre dell’attuale proprietario.

La tenerezza del modellato e il tono di squisita semplicità che intesse l’immagine dell’Arnina, una delle prime statue a figura intera realizzate da Bartolini, sono indicativi di come, almeno dal 1817, l’artista guardasse alla scultura del Quattrocento toscano per trarne sostegno alla propria ricerca fondata sull’imitazione artistica della natura scelta nelle sue forme più belle. Fu l’interesse per i maestri del primo Rinascimento, reso vivido dagli studi di Leopoldo Cicognara (Ferrara 1767 – Venezia 1834) che nel 1818 aveva pubblicato il secondo volume della sua Storia della Scultura, dedicato all’arte del Quattrocento e del Cinquecento ad animare la ricerca di Bartolini avviandola verso espressioni di eletta bellezza soffusa di delicata poesia, nelle quali l’attenzione affettuosa al dato di natura si coniuga armoniosamente ai rimandi alla scultura quattrocentesca toscana, assunta a riferimento mentale molto più che iconografico, quale metodo esemplare per la naturalezza dello stile.

 

Maria Paola Forlani


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