Coppì con l’accento sulla i
La bicicletta trasforma i giorni feriali in un giorno di festa, se si esercita questo sport come competizione
«Era l'anno 1945. Lavoravo a Ciampino (Roma) da mastro Michele, fabbro forgiatore, il quale aveva un figlio prepotente che dovevo sopportare tutti i giorni. Si chiamava Mario. Quando mi vedeva in bicicletta, un piccolo catorcio, mi chiamava Coppì, con l'accento sulla i, per farmi arrabbiare, e poteva farlo perché lui era il figlio di Mastromichele.
Un giorno Mario mi disse che lui con una sola gamba mi avrebbe staccato, ed io dopo aver riflettuto un momento accettai la sfida. Stabilimmo il percorso: Ciampino–Via Appia Nuova e ritorno, costeggiando l’aeroporto. Eravamo due ragazzini di tredici anni, io non conoscevo le mie possibilità ed ero abbastanza preoccupato. Partimmo e mi misi subito in difesa, feci metà percorso dietro di lui e notai che non aveva un’andatura costante ma staccava in continuazione. Arrivati sull’Appia voltammo, e mi accorsi che le sue condizioni erano peggiori delle mie. Era andato in debito di ossigeno a metà percorso, volendo stabilire l’andatura e distanziarmi, e sicuramente era stato colto dai crampi, come confermato all'arrivo. Allora passai in testa scaricando tutta la forza che mi era rimasta, arrivando vincitore a Ciampino.
Da quella piccola esperienza presi lezione: se Mario fosse stato meno arrogante e spavaldo avrebbe potuto vincere, ma aveva sprecato le sue energie e aveva perso anche moralmente. Mentre io avevo scoperto la mia predisposizione per quella disciplina e la mia voglia di competizione. Una passione che forse era nata con me, quando fin da piccolo sedevo su un pezzo di cartone o altri materiali e mi buttavo per i percorsi in pendenza, volendo “fare velocità”». (continua)