Il 9 maggio del 1921 i Sei personaggi in cerca d’autore furono rappresentati per la prima volta nel Teatro “Valle” di Roma. Luigi Pirandello riscrisse in altre due riprese quest’opera nel 1923 e nel 1925 aggiungendovi anche una importante Premessa. In questo scritto, molto rilevante per cogliere appieno la poetica pirandelliana complessiva, l’autore (evidentemente solo in questo caso: trovato) annota di aver ricevuto la visita, un giorno, della propria «servetta Fantasia». Codesta «ebbe, parecchi anni or sono, la cattiva ispirazione o il malaugurato capriccio di condurmi in casa tutta una famiglia, non saprei dir dove né come ripescata, ma da cui, a suo credere, avrei potuto creare il soggetto per un magnifico romanzo». Alla fine quella che ne nasce è una commedia nella quale, fin da subito, convivono sulla stessa scena dei personaggi reali (la compagnia che sta provando il secondo atto della commedia Il gioco delle parti, guarda caso proprio di Luigi Pirandello) e sei personaggi ideali, scaturiti appunto dal travaglio della Fantasia di un drammaturgo non meglio identificato.
«Creature del mio spirito, quei sei già vivevano d’una vita che era la loro propria e non più mia, d’una vita che non era più in mio potere negar loro» continua ancora nella Premessa Pirandello. Il vulnus per il quale vengono al mondo questi Sei personaggi in cerca d’autore è contenuto in questa altra riflessione: «O perché – mi dissi – non rappresentare questo novissimo caso d’un autore che si rifiuta di far vivere alcuni suoi personaggi, nati vivi nella sua fantasia, e il caso di questi personaggi che, avendo quasi infusa in loro la vita, non si rassegnano a restare esclusi dal mondo dell’arte». I personaggi sono: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina (gli ultimi due non parlano mai). È il Padre a illustrare all’indirizzo del Direttore-Capocomico il senso della natura stessa di personaggi ideali e non reali che hanno egli stesso e gli altri cinque (più Madama Pace, evocata dagli stessi a più riprese): «Nel senso, veda, che l’autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non poté materialmente, metterci al mondo dell’arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più. E per vivere eterna non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per l’eternità».
Da questo momento in poi lo strano miscuglio di attori reali e personaggi fantastici si sviluppa nel senso di un disvelamento totale, di una nudità impressionante, di una completa liberazione e trasparenza. I sei personaggi, infatti, una volta saliti sul palcoscenico raccontano immediatamente il loro dramma, sono quasi vincolati – dalla stessa fantasia dell’autore che li ha generati – a liberarsi completamente di ogni fardello: essi possono solo mettere in piazza ed in scena quello che è il nucleo fondante della loro esistenza: la loro tragedia, la storia che li raccoglie e li avvince, lo zoccolo duro narrativo che li tiene assieme. Mai come in questo caso nelle opere teatrali di Pirandello le Maschere sono state davvero Nude. Quando il Capocomico chiede: «Dove è il copione?» il Padre risponde: «È in noi, signore (…) Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione». Ma quando nel secondo atto dell’opera gli attori tenteranno di mettere in scena il dramma (narrato dai sei personaggi al Capocomico e la cui «traccia» è stata segnata da quest’ultimo assieme al Suggeritore) ci si accorgerà dell’esistenza di una verità straordinaria. Non sono i personaggi a recitare: essi stanno nel copione (o meglio, vi dovrebbero stare). Sono gli attori invece a recitare il loro dramma, perché essi risiedono solo sul palcoscenico. Così il teatro viene restituito al teatro. E la fantasia (sotto forma di scrittura) alla scrittura.
Ma non è questo il centro strategico dell’opera di Pirandello. La storia raccontata dai sei personaggi è quella di un Padre che ha lasciato andare via sua moglie, la Madre, con un altro uomo. Col padre la donna aveva avuto il Figlio; con quell’altro «subalterno» la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Il Padre scova la Figliastra (che soleva sorvegliare) in una casa di piacere (quella di Madama Pace) e qui nel momento in cui tenta l’amplesso viene sorpreso dalla Madre. Alla fine si verifica la duplice dipartita del Giovinetto e della Bambina. Tutto ciò dovrebbe essere messo in scena ma i conti non tornano. E i personaggi nel raccontare ogni loro vicenda lo hanno fatto, nel mezzo di un palcoscenico e tra sconosciuti, senza alcun pudore. La loro evidenza è pornografica ma la resa in termini di rappresentazione teatrale si complica dall’indebita mistura di Fantasia e Realtà. Nella loro ricerca di un autore («d’uno qualunque, signore» dice il Padre al Capocomico) i sei personaggi fantastici trovano la «traccia» di un copione nella quale essi dovrebbero finalmente sparire e una rappresentazione nella quale dovrebbero rivivere anche se trasfigurati. Ma qualcosa non funziona. E alla fine si rimane solo con l’effetto detonante di una Fantasia che quando si libera completamente è destabilizzante e di una realtà che non riesce a contenere gli esiti di tale fantasia sfrenata. Ma Pirandello è capace di spiegare anche questo: «Creature del mio spirito, quei sei già vivevano d’una vita che era la loro propria e non più mia, d’una vita che non era più in mio potere negar loro». In questo senso esatto i sei personaggi si sono denudati davanti agli attori di loro iniziativa, senza che questo fosse previsto in alcun copione, senza che il loro autore vero (Luigi Pirandello) ci avesse potuto far niente. Una fantasia completamente sgretolata e le tavole di un palcoscenico dove tutto dovrebbe essere fantastico e meraviglioso ed è adesso invece a tratti drammatico e crudele. Insomma la nudità implica la fantasia più scatenata. Tra creazione poetica e tavole del palcoscenico, quest’opera ci consegna il senso della generazione di un fatto artistico. Il parto preciso dell’arte.
Gianfranco Cordì