Al Museo Poldi Pezzoli di Milano, viene presentata una preziosa esposizione a cura di Aldo Galli, Andrea di Lorenzo e Annalisa Zanni (Catalogo Skira), fino al 16 febbraio 2015, che ha l’obiettivo di riunire una selezione di opere di grande qualità provenienti dalle botteghe di due dei più famosi artisti del XV secolo – Antonio e Piero del Pollaiolo – e che vuole essere l’occasione per far conoscere al pubblico il grande talento e i molteplici interessi che hanno animato l’attività dei fratelli.
Antonio (Firenze 1431/1432 – Roma 1498) e Piero (1441/1442 – ante 1496) di Jacopo Benci, detti del Pollaiolo a causa dell’attività svolta dal padre, venditore di polli nel mercato vecchio di Firenze, furono tra i maggiori protagonisti del Rinascimento fiorentino del XV secolo. Antonio del Pollaiolo, il maggiore d’età, fu innanzitutto orafo, ma la sua versalità tecnica e la sua capacità nel disegno gli permisero di realizzare anche incisioni, oltre ai dipinti e sculture. La sua è la storia del successo di un uomo che, nato in una famiglia umile, divenne uno dei maestri più celebri e contesi del suo tempo. Piero fu invece esclusivamente pittore: realizzò numerosi dipinti per committenze pubbliche e private, forse avvalendosi dei disegni di Antonio. Insieme a loro collaborava un terzo fratello, Silvestro, scomparso prematuramente.
La mostra “Le dame del Pollaiolo. Una bottega fiorentina del Rinascimento”, che intende ripercorrere la storia della fortuna artistica dei fratelli fiorentini, ha avuto come naturale punto di partenza il simbolo del Museo Poldi Pezzoli: il Ritratto di giovane donna di Piero del Pollaiolo, eletto ad effige della casa museo dai milanesi stessi e considerato uno dei maggiori capolavori della ritrattistica della seconda metà del ‘400. Accanto alla dama cittadina vengono riuniti per la prima volta nella loro storia gli altri tre ritratti attribuiti nel tempo ai fratelli Pollaiolo, grazie a importanti prestiti da istituzioni nazionali e internazionali: la Gemäldegalerie di Berlino, il Metropolitan Museum of Art de New York e la Galleria degli Uffizi di Firenze.
I dipinti delle quattro dame, probabilmente appartenenti al genere del “ritratto nuziale”, sono un mezzo per conoscere la società di fine Medioevo e sono segno tangibile della bravura dell’artista: la sua abilità si misura, infatti, anche nella capacità di saper restituire la bellezza e la preziosità degli oggetti raffigurati. Questi ultimi non erano mai di pura invenzione, ma venivano appositamente realizzati da artigiani e poi riprodotti nei dipinti. I ritratti delle quattro dame raffigurano quindi un campionario delle capacità tecniche e del gusto raffinato custodito nelle botteghe del Rinascimento, non da ultimo quelle dei fratelli Pollaiolo.
Oltre ai ritratti delle quattro dame, vengono esposti anche splendidi dipinti di medio e piccolo formato capaci di evidenziare le differenze tra cultura pittorica di Antonio, caratterizzata da un disegno vigoroso e carico di energia e quella di Piero più preziosa e materia, attenta alle sfumature e alle trasparenze.
A testimonianza dell’ampiezza e della complessità degli interessi e del talento di Antonio, l’esposizione raccoglie inoltre molteplici capolavori provenienti dalla sua bottega e risultano di diversi campi di applicazione: disegni, sculture in bronzo e terracotta e altre opere preziose, come scudi da parata e crocifissi in argento e sughero. Punti di partenza per lui sono Donatello e Andrea del Castagno: la luce e la linea. Il problema del movimento è centrale nelle arti figurative. Fino all’invenzione del cinematografo la storia rappresentata, in pittura o in scultura, è immobile.
Nell’immobilità dei personaggi l’autore deve esprimere il significato di ciò che narra e quindi un’azione. Piero della Francesca si serve di questa immobilità costituzionale per esporre l’idea che è in ogni oggetto: la sua eternità. Andrea del Castagno, attraverso la linea, allude al movimento successivo. Il Pollaiolo, partendo dalla linea castagnesca, esprime la continuità del moto nello spazio, esprime la fluidità della vita.
È un’attività eroica, quella dell’uomo che conquista il proprio spazio, è l’attività combattiva di chi sa che niente gli è donato dall’alto, che tutto è ricerca continua, drammatica. Nel David, la figura arretra e si imposta obliquamente. L’assito ligneo alle sue spalle, invece che parallelo al piano di «intersecazione» della piramide visiva, si muove seguendo la posizione dell’eroe. Ne esce una figura non monumentale, come quelle di Andrea del Castagno, ma ansiosa, pur nella sua fierezza, inquieta, ricercatrice.
Sappiamo che non esistono più le tre grandi tavole rappresentanti le Fatiche d’Ercole, dipinte da Antonio per i Medici e collocate nella «sala grande» del loro palazzo. Restano invece due tavolette che probabilmente, derivano da quelle maggiori: una con Ercole e l’Idra, l’altra con Ercole e Antèo.
Il predominio della linea, come mezzo espressivo, lo si può meglio vedere nei disegni e nelle incisioni, dove tutto viene costruito senza l’ausilio del colore per esempio, nella nota Battaglia di nudi, i dieci uomini, armati della sola spada, che si affrontano con elegante ritmo ballettistico, sono realizzati con la sola linea, senza chiaroscuro.
Ma anche lo stupendo Ritratto di gentildonna (icona del Poldi Pezzoli), opera di Piero del Pollaiolo, è basato, quasi esclusivamente, sulla linea. Il profili campisce su un fondo privo di elementi panoramici o architettonici, così che la nostra attenzione si polarizza su di esso e sul contorno. Che è netto, vivo, espressivo definisce con esattezza il limite del volto, pur alludendo anche alla prosecuzione di esso: il volume «gira» non soltanto verso lo spettatore, ma anche dall’altro lato (quello che non vediamo e che ci viene suggerito). Così il lieve chiaroscuro, appena accennato, accarezzando le delicate fattezze del viso, modella l’incarnato e indica il morbido gonfiarsi dei capelli. E, a rendere l’elegante tornitura dell’esile collo, basta il giro della collana di perle, come basta il velo trasparente a rendere la forma dell’orecchio che ricopre. Il gioco lineare si accentua nell’arabesco del nastro e del filo di perle che si intrecciano ai capelli; si nota la delicatezza e la grazia con cui è disegnato l’attacco di questi alla fronte e alle tempie ed è accarezzata la rasatura sfumata della nuca.
Maria Paola Forlani