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Gianfranco Cordì. L’arrivo di Godot
22 Novembre 2014
 

Vladimiro ed Estragone sono due mendicanti. Si trovano su di un altopiano nel mezzo del quale vi è un albero. Essi attendono. Più importante dell’oggetto dell’aspettativa – trattasi di Godot – è qui l’essere i due con la mente rivolti a qualcuno che deve arrivare o – piuttosto – a qualcosa che deve accadere. Aspettando Godot (opera teatrale in due atti composta nel 1952 da Samuel Beckett e messa in scena a Parigi nello stesso anno) presenta una compiuta metafisica della speranza e dell’aspettazione. Il nucleo principale del testo teatrale non è, in questo caso, né il tempo, né lo stesso Godot (che Vladimiro ed Estragone agognano) e neppure la risoluzione dell’attesa attestata e sancita dall’arrivo di Godot – se mai questo arrivo possa in qualche modo essere preventivato. No. Il nucleo principale è proprio l’attesa. I due, in un'atmosfera solfurea, vaga, errabonda e scomposta, ingannano il tempo con vari discorsi, con diversi incontri (sono quattro in totale: uno per atto con Pozzo e Lucky e con il ragazzo – messaggero di Godot), con diverse azioni sbilenche. Sembra proprio che l’arrivo di Godot metterà fine a quell’indifferenziato e indefinito essere che sovrasta l’albero attorno a cui attendono Vladimiro ed Estragone. In questo senso Godot potrebbe essere assimilato e ravvicinato alla ragione cartesiana che rende sempre le cose «chiare e distinte». Tutto è soffuso di tracce e umori indecifrabili (i discorsi, gli avvenimenti narrati ecc.) ma tutto – sembra – tornerà al proprio posto non appena sopraggiungerà Godot. Il luogo stesso dell’incontro con quest’ultimo potrebbe non essere quello… E nemmeno il giorno… E forse neppure Godot è il nome vero di colui che si sta aspettando… Ma l’arrivo di Godot, comunque, metterà le cose a posto. Vladimiro ed Estragone hanno rivolto (forse…) a Godot «una specie di preghiera», ovvero «una vaga supplica», infatti la loro «parte in tutto questo» è, afferma sempre Beckett: «quella del postulante». Ma anche questo non è importante: i due sono lì in quel posto e lì rimangono; anche quando dichiarano di volere andare via in realtà non si muovono. La ragione cartesiana porterà la luce: rischiarerà tutto l’irrisolto e l’indeciso in forza di distinzioni e di discriminazioni. Ma Godot intanto non arriva ed invece ferma, costante ed indefettibile rimane, in ogni caso, l’attesa della sua venuta. Questa metafisica dell’attesa di Beckett tende a portare sulla scena il significato di una vita (anzi di due) che si allunga. Vladimiro ed Estragone ammazzano il tempo, giocano col tempo, rincorrono il tempo ed aspettano il tempo mentre, nello stesso istante che corre per i due atti di Aspettando Godot le loro vite si fanno nuove. Ed infatti, nel secondo atto, l’albero che era dapprima «tutto nero e scheletrito» diventa «coperto di foglie». Estragone indossa un paio di scarpe che non sono più le sue. Pozzo che prima ci vedeva benissimo adesso è cieco mentre Lucky è diventato sordo. Vladimiro che da principio aveva la sua bombetta adesso indossa quella di Lucy. Le vite si sono allungate: è entrata in scena la figura metafisica dell’attesa. Samuel Beckett dipinge e tratteggia con toni rigorosi ma anche variegati un cosmo che deve aspettare. Perché? Che cosa? La cosa più importante è resistere a ciò che è generico ed indeterminato.

 

Gianfranco Cordì


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