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È ancora il momento dei contenuti, non del contenitore (ad Alberto Mingardi e Luigi Castaldi)
27 Ottobre 2006
 
In un suo intervento su Notizie Radicali del 24 ottobre, Alberto Mingardi, dell’Istituto Bruno Leoni, riconosceva che uno dei dati positivi di questo inizio di legislatura è l'esistenza di un «patrimonio radicale, che in Italia si va rapidamente rivalutando». Esclusi per anni dal Parlamento, a fronte di una classe politica mediocre, i radicali sembrano «gli unici in grado di estrarre opportunità dalla fragilità della maggioranza e dal silenzio dell'opposizione».
In particolare Emma Bonino e Daniele Capezzone hanno saputo fare da «lievito nella discussione pubblica», «ricaricare una per una le cartucce delle "battaglie radicali" sul fronte dell'economia», mettendosi «di traverso alle più demagogiche pulsioni della maggioranza», pur facendone lealmente parte. Stanno tessendo rapporti tra chi condivide il «progetto di una società con meno Stato e più mercato», ma non con l'«impoliticismo» di «chi quelle idee le ha brandite da destra».
«E ora?». Vanno bene i contenuti, ma «prima o poi anche il problema del contenitore s'impone», avverte Mingardi. E se i radicali sono «stranieri in terra straniera sia a destra che a sinistra»? Seguono un bel po' di domande da un milione di dollari, ciascuna delle quali allude a un diverso scenario: i radicali resteranno nel centrosinistra? Se sì, facendo coppia con Boselli? Il "tavolo dei volenterosi" è forse un embrione di qualcosa, magari di «una nuova forza politica, che rastrelli persone ragionevoli in ambo gli schieramenti?»
Credo - e colgo l'occasione per rispondere anche a un intervento di alcuni giorni fa di Luigi Castaldi - che questo sia ancora il momento dei contenuti, non del contenitore.
 
In chiusura del suo articolo Mingardi si chiede se sia più facile «puntellare le disordinate pulsioni antistataliste del centro-destra, o "dare un'anima liberista" al centro-sinistra», concludendo che «sono battaglie da disperati l'una e l'altra, ma per fortuna c'è chi le combatte».
Come non condividere con Mingardi la profonda e ben motivata disillusione nella capacità/volontà delle due coalizioni di attuare politiche liberali?
Da «ultimi giapponesi dell'utopia prodiana» constatiamo oggi che l'utopia (a ragion veduta Pannella fin dall'inizio ha parlato di "utopia") non si sta realizzando. Castaldi, pochi giorni fa, ha espresso la medesima disillusione. Da una parte, «era necessario che Berlusconi smettesse, fosse solo per una pausa», ed è bene ricordare che «s'è accorto che i radicali esistevano solo dopo aver perso»; d'altra parte, «Prodi è stato capace di fare peggio di Berlusconi, finora... ha sbagliato tutto: con lucida determinazione e insistenza». Dalla Finanziaria dirigista, statalista e classista, alla politica estera di sostegno a tutte le dittature, a 360°, dalla Russia al Venezuela, fino alla Cina. Dalla mancata calendarizzazione di pacs, eutanasia e legge 40, al caso dell'esclusione degli otto senatori eletti.
E ora? Ora l'alternativa! si direbbe a voler seguitare il discorso cominciato lo scorso anno, quando al Congresso di Radicali italiani lo sfondo recitava "L'alternanza per l'alternativa", sancendo l'avvio del progetto della Rosa nel Pugno e il sostegno all'alternanza prodiana strumentale alla conquista di nuovi spazi e speranze per l'alternativa liberale. Molta della loro credibilità, e coerenza rispetto all'obiettivo dell'alternativa, agli occhi di elettori e simpatizzanti i radicali se la giocheranno quando giungerà il momento del voto finale in Parlamento sulla Legge Finanziaria e i decreti collegati.
Parrebbe, prendiamo ancora in prestito le parole di Castaldi, che ormai siano «impossibili anche le alternanze: il furto di democrazia, la svendita del principio di laicità dello stato, l'offesa al diritto – sono trasversali. E non si capisce cosa si aspetti a trarne le conseguenze».
 
La terza (e tersa) area
Ma quali? Castaldi intravede una luce in fondo al tunnel: «In Italia si vanno creando le condizioni per una terza area tra i due maggiori schieramenti di centrodestra e centrosinistra... un'area laica, liberale e radicale. Va oltre la Rosa nel Pugno, quindi non dipende dalla sua uscita dal governo». Mingardi l'ha chiamata «una nuova forza politica, che rastrelli persone ragionevoli in ambo gli schieramenti».
Quest'area dovrebbe essere costituita dai liberali e i socialisti «liberati dall'esplosione della CdL, che ormai solo la debolezza del governo Prodi ritarda», e dai radicali, che si dovrebbero chiedere fino a quando abbia senso «continuare a dare il sostegno al governo Prodi». Se la Rosa nel Pugno fosse davvero morta, saranno i Radicali italiani «ad arrivare per primi in questa terza area». Tuttavia, propone Castaldi, «ci si potrebbe dare appuntamento con chi viene da destra, per non segnare precedenze di arrivo in un'area che è sola di alternativa».
Castaldi vede lo spazio per «un soggetto laico, liberale, radicale – e forse pure socialista... finalmente fuori dal centrosinistra e dal centrodestra», dal Partito Democratico versione cattocomunista e dal Partito dei Moderati revival del Caf. L'ipotesi è suggestiva, certo, bisogna quindi cominciare «a chiedersi se questo spazio non meriti una più efficace cura comune».
La terza (e tersa) area c'è, e senz'altro merita «una più efficace cura comune», ma ciò non vuol dire che questa «più efficace cura» debba consistere in, ed essere mirata a, un soggetto politico, o uno luogo fisico.
 
I radicali e l'analisi sul regime
La premessa su cui Castaldi fonda il suo ragionamento è che i radicali «non sono né di destra, né di sinistra (tanto meno di centro), perché sono liberali, cioè nemici di tutto ciò che di illiberale c'è sempre stato a destra e a sinistra (e spesso pure al centro): stanno a destra e a sinistra, e lì contaminano, fecondano», perché «non sono settari, non "oscillano"», bensì sono «costretti a stare dove possono», altrimenti emarginati dal regime oligarchico e ridotti alla mera, pur nobile, testimonianza, o pure accusati di settarismo.
Sottoscrivo, ma siamo sicuri che questa premessa sia condivisa da chi dovrebbe riconoscersi e incontrarsi nella terza (e tersa) area? Non so se qualcosa sia cambiato, ma fino a qualche tempo fa non era così. Prim'ancora che sull'opzione CdL-Unione, la frattura tra Benedetto Della Vedova e i radicali che hanno intrapreso il progetto della Rosa nel Pugno all'interno del centrosinistra si è consumata sul ruolo dei radicali stessi e sull'analisi del sistema politico.
I radicali che sono andati a destra ci sono andati pensando che quella fosse la collocazione naturale per i radicali, non che il loro posto fosse indifferentemente a destra e a sinistra, a seconda di dove le condizioni apparissero migliori per contaminare e fecondare.
La difficoltà quindi è partire dalla stessa analisi. Innanzitutto dalla premessa che i temi di libertà sono inscindibili. Il pacchetto liberale rimane liberale se resta integro: "libertà economiche" e "libertà individuali". Che poi, in fondo, alla base di tutto c'è la tutela della proprietà privata, del proprio corpo e dei propri beni. Poi, dall'analisi sul regime. Siamo o no prigionieri di una realtà oligarchica le cui due articolazioni non sono che cosche speculari della stessa mafiosità partitocratica (da una parte i "corleonesi", dall'altra i "palermitani")?
Per i "radicali di destra" si è trattato di una scelta di campo. La squadra prescelta è stata giudicata migliore, seppure perfettibile. Così è anche per gli altri liberali, laici e socialisti che stanno a destra o a sinistra e a questa divergenza di lettura di fondo del regime sono dovute le difficoltà con lo Sdi. Pannella invece ricorda continuamente che questo è «il governo che abbiamo voluto quando siamo stati costretti a scegliere tra testimonianza morale e responsabilità di governo».
È il Comitato di Radicali italiani del gennaio 2005 a segnare la svolta, a indicare la via per «il recupero alle istituzioni della presenza e dell'apporto radicale».
L'assenza di democrazia e legalità della vita istituzionale e politica del nostro Paese è ormai un fatto compiuto, non più solo in fieri, afferma Pannella. Anni di lotte nonviolente e referendarie per impedire che lo Stato italiano assumesse il carattere di illegalità permanente che oggi lo contraddistingue hanno prodotto risultati impensabili, ma non ha più senso continuare a "resistere" affinché questo stato d'illegalità non si incardini, se esso è già fatto compiuto.
Le frecce nell'arco radicale - la nonviolenza, la via referendaria, il presentarsi alle elezioni fuori dai poli - appaiono spuntate dopo lunghi anni di impatti contro il muro del regime e rischiano di ridurre l'iniziativa politica radicale a mera testimonianza, tradendo quindi le aspettative degli elettori. Il privilegio, non più il diritto, di fare politica, si esercita solo all'interno dei poli. Occorreva allora non un posizionamento identitario, ma «pagare i prezzi necessari, anche nobili», cercare «di farsi accettare da questo sistema in modo da riprendere forza», l'«alternanza per l'alternativa liberale».
Da cosa deriva se non da questa diversa idea dei radicali e dalla diversa analisi sul regime quel filo di ostilità, non ricambiata, che anima i "radicali di destra" nei confronti di quelli "di sinistra"? Per loro il prevalere di uno o l'altro schieramento è un valore prioritario rispetto al contaminare e al fecondare. Per questo ai loro occhi l'aver contribuito alla striminzita vittoria di Prodi rimane intollerabile.
«Come i "radicali di sinistra" non hanno mai smesso per un solo istante di battersi per le libertà economiche in seno allo schieramento di centrosinistra che con molta riluttanza s'è rassegnato ad accoglierli», ecco, osserva Castaldi, che ora i "radicali di destra" – sarà diplomatico dire "finalmente"? – iniziano la loro battaglia per le "libertà individuali" nel centrodestra».
È sufficiente questo per concludere che la loro analisi sui radicali e sulla realtà politica italiana sia mutata? Forse è l'inizio di un percorso, che di per sé rappresenta un motivo valido per «parlare seriamente» ai Riformatori Liberali: «Tentassero, ma si tenessero pronti all'eventualità, nient'affatto remota, che nel centrodestra risultasse vincente una destra clericale e illiberale, con qualche blanda concessione al liberismo». E si tenessero pronti anche i radicali "di sinistra", che «stanno tentando di favorire l'evoluzione di una sinistra altrettanto laica e altrettanto davvero liberale – ma, campa cavallo...»
 
I contenuti, non il contenitore
Con ciò, quindi, non intendevo negare che questa terza (e tersa) area ci sia, ma sostenere che va allargata, fatta crescere sugli obiettivi e non formalizzata in un nuovo, ennesimo soggetto politico, che tornerebbe presto a scindersi, stretto da un regime che non tollera opzioni estranee alle due coalizioni e dilaniato dalle diverse analisi al suo interno.
Semmai, tra quanti (liberali, laici, radicali, socialisti), da una parte e dall'altra, potrebbero riconoscersi e confluire in questa terza area dovrebbe esserci maggiore consapevolezza del comune «patrimonio radicale» e liberale. Dovrebbero giocare di sponda, parlarsi, migliorare i loro rapporti, crearne di nuovi, non a prescindere, bensì facendo leva sui contenuti, ritrovandosi sugli obiettivi di riforma e di alternativa liberale: l'unione laica delle forze, non l'unione delle forze laiche. La loro parola d'ordine sia "fare network". Questa terza (e tersa) area non dev'essere uno spazio fisico, se non vuole divenire un punto di ritrovo per disillusi e un luogo d'“inciuci”, ma uno spazio politico virtuale dove i liberali e i pragmatici delle due coalizioni s'incontrino convergendo sulle singole issues.
 
I partiti
D'altra parte, mi pare che lo stesso Mingardi colga un aspetto importante quando osserva che i partiti ormai servano solo per arrivare in Parlamento, ma che non siano i più adeguati, comunque non i soli, «aggregatori di idee» quando si tratta di impegnarsi nell'attività legislativa o di governo. Il futuro è del partito leggero, delle primarie, della scelta sulla persona. I partiti e le coalizioni attuali faticano sempre più a venire a capo delle mille contraddizioni e trasversalità. Conserviamo strutture partitiche che rispondono a una vecchia concezione, identitaria e ideologica, della politica, ma nonostante l'arretratezza del sistema italiano, e le resistenze degli apparati, la politica è già deideologizzata, il modo di fare politica è già mutato ed è in profondo mutamento.
Non esistono più modelli di riferimento ideologicamente coerenti e compatti. Su molti temi, piuttosto, lo spartiacque non è più fra destra e sinistra, ma tra chi vuole allargare e chi restringere la sfera delle libertà. I partiti come li conosciamo sono già morti, ma non se ne sono accorti. Gli attuali tentativi di formarne di nuovi sono destinati al fallimento, o a prolungare l'agonia partitocratica.
Molti esponenti politici avvertono il peso di queste contraddizioni interne e puntano l'indice verso l'“insano” bipolarismo italiano, proponendo "Italie di Mezzo" e ritorni al proporzionalismo.
Il fatto che sempre più i riformatori e i liberali nelle due coalizioni si sentano vicini gli uni agli altri più che a molti dei loro colleghi di schieramento e che, d'altra parte, massimalisti e statalisti condividano più cose tra loro che non con molti dei loro attuali alleati è l'essenza di un sistema bipartitico, che non aspetta altro che essere formalizzato e stabilizzato da una legge elettorale uninominale. Molto più che la nostra classe politica, i cittadini sono già pronti a scegliere nell'urna tra due candidati.
Quel "centro" che in altri paesi fa vincere le elezioni non è certo un luogo che possa essere occupato da un soggetto politico, ma uno spazio d'iniziativa politica aperto ai più liberali e ai più pragmatici, che solo in un sistema elettorale maggioritario e uninominale sarebbero riconosciuti e premiati dall'elettorato. Guardiamo a ciò che è accaduto al senatore americano Lieberman: sconfitto nelle primarie democratiche dal massimalista Lamott, naviga verso sicura riconferma grazie alla credibilità di cui gode anche presso gran parte dell'elettorato repubblicano, senza avere avuto bisogno di fondare nessuna "America di mezzo".
 
La società italiana rigetta le idee liberali?
Queste considerazioni ci portano al "pessimismo della ragione" di Biagio de Giovanni, espresso in un intervento di qualche giorno fa su il Riformista: «È la società italiana nel suo insieme che rigetta, starei per dire per sua costituzione storica, che idee liberali, da istanza di liberazione di alcune forme di vita, si facciano per davvero politica, e si diano una forma».
Quella che de Giovanni offre nell'articolo è un'efficace rappresentazione, strutturale, del regime vigente in Italia, ne individua i pilastri, al cui confronto pochi minuti di apparizione televisiva non sono che briciole, sarebbe assurdo (o forse strumentale?) pensare il contrario. L'assetto oligarchico, familistico e corporativo del potere in Italia, non certo monolitico (ma forse proprio per questo), tollera qualche apparizione, e persino qualche successo, di alternativa liberale, ma ne impedisce il consolidamento politico, culturale, e men che meno elettorale.
Centrodestra e centrosinistra si saldano in un blocco trasversale di statalismo etico ed economico, che si fonda sul magistero morale e sociale delle due Chiese, cattolica e comunista, che perpetuano nella società italiana una ben radicata concezione hegeliana dello Stato come suprema sintesi del popolo e spirito della sua storia. Scompare l'individuo, scompare la comunità, scompare il mercato dei beni e delle idee.
Ma è proprio vero che le istanze liberali sono minoritarie nella società italiana? L'impressione, alla luce delle analisi di Ricolfi e altri, è che invece una larga parte dell'opinione pubblica desideri riforme profonde e liberali, che sfiduci ogni governo che si dimostra non all'altezza del compito, ma che ormai non sa più a chi rivolgersi, perché il sistema politico è bloccato. Altrettanto diffusi e radicati però, negli stessi settori della società, sono i riflessi corporativi all'insegna del not in my backyard. Quando si tratta di usufruire di beni e servizi ci si ricorda di essere innanzitutto consumatori, ma quando si tratta di intaccare privilegi e posizioni di rendita si svestono gli abiti del consumatore per indossare quelli del dipendente pubblico, dell'imprenditore, del professionista, e così via.
Sono quindi istanze ancora contraddittorie, che non riescono a trovare una «forma» politica. Per scardinare il blocco, togliere la cappa che grava su queste istanze, non servono nuovi soggetti politici, ma una legge elettorale, maggioritaria e uninominale, un sistema bipartitico, delle primarie, che rompano il corto-circuito oligarchico riavviando dal basso i meccanismi di selezione. La «terza area», come luogo di idee liberali che «stanno a destra e a sinistra, e lì contaminano, fecondano», si allargherebbe riuscendo a condizionare, direttamente o indirettamente, l'azione dei governi e l'attività legislativa, magari coronando con successo la mission storica dei radicali: avere in questo paese una Destra storica e una Sinistra liberale.
 
Federico Punzi
(da Notizie radicali, 26 ottobre 2006)

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