Firenze – Oggi piove “come Dio la manda”, dicono a Firenze, cioè in modo del tutto incontrollabile da parte dell'essere umano.
In attesa di sapere dai media, stasera e domani, cosa sarà successo tra danni e drammi, me ne vado saltellando per strada tra le infinite profonde buche d'acqua che sembrano pozzanghere, soffermandomi per vedere se ci passa un motorino o una bicicletta e il conduttore lasci qualcosa di suo per terra. Oppure un'auto o un bus che, incuranti che la velocità in questi casi andrebbe più che moderata, faccia la doccia di acqua e fango agli impavidi pedoni che passano sugli striminziti marciapiedi o sostano in attesa del loro semaforo verde o della clemenza degli autisti davanti a strisce bianche che si intuisce che ci siano.
E poi vado ai grandi incroci sui viali, dove sento pieà' per i coraggiosi vigili che, tra chi gli viene da nord e da sud, da est e da ovest, mentre cercano di alleviare un caos preannunciato, fanno aumentare le statistiche dei morti per cancro da smog e stress. Mentre impavidi automobilisti, rigidamente uno per veicolo, credono di raggiungere la propria meta... ma non hanno calcolato quel pezzo chiuso di viale Milton che non blocca solo quel tratto di strada, ma tutta la città, con quel magico “effetto-catena” che trasforma tutta la città in un grande Sollicciano.
E mentre osservo i tombini intasati dentro e fuori, e i pedoni che si cimentano nel salto in lungo dei laghetti che si formano sopra le caditoie, illusi di non bagnarsi le scarpe, non posso non osservare chi attende l'autobus sotto una selva di ombrelli che fanno le veci di tante tettoie che dovrebbero esserci ma non ci sono.
E mentre mi incammino per tornare in ufficio, dopo il mio viaggio da osservatore “rompiscatole”, gustandomi le ultime sfumature di Firenze sotto la pioggia, mi domando: “ma a cosa e chi assomiglia questa città che non invita e non consente il mitico singing in the rain perché se ti distrai un attimino sei morto”... penso ai miei viaggi per il mondo, “sì, è come Calcutta negli anni Settanta del secolo scorso”.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc