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Gianfranco Cercone. Lo sguardo degli angeli 
“Il sale della terra” di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado
03 Novembre 2014
 

Realizzando un documentario su un altro artista, il fotografo Sebastião Salgado, indubbiamente Wim Wenders si è adoperato a descrivere con obiettività una personalità creativa distinta dalla sua. Ma non ha potuto esimersi dal ritrovare e dall’evidenziare nel personaggio ritratto, almeno un riflesso di se stesso.

Così nelle immagini fotografate da Salgado, abbondantemente riprese nel film e commentate da Salgado stesso, riecheggia un’invenzione originale del cinema di Wenders, che si ritrova in due dei suoi film di maggiore successo, Il cielo sopra Berlino e Così lontano, così vicino: mostrare la Terra come vista da due angeli.

Gli angeli, si sa (o meglio: si immagina), possono essere più compassionevoli degli uomini. Ma allo stesso tempo, rispetto alle cose umane, sono irrimediabilmente distanti, perché la loro patria è nei cieli.

E il cielo – la vastità dei cieli, striati dalle nuvole, percorsi dai più svariati riflessi luminosi – campeggia spesso nelle fotografie di Salgado. E poiché il cielo sembra sconfinare oltre ogni frontiera, le vicende degli uomini sotto di loro, non sembrano quelle ora degli affamati del Sahel degli anni ’80, ora dei profughi dal Rwanda degli anni ’90, ora delle vittime della guerra nella ex-Jugoslavia (questi alcuni dei soggetti raffigurati); ma sembrano le tribolazioni atroci e assurde degli abitanti di un pianeta: di un’assurdità fatta risalire, ben al di là delle cause storico-politiche, al mistero tremendo della natura umana.

Insomma: sebbene Salgado si mescoli tra gli altri uomini avventurandosi nei luoghi del mondo più pericolosi o sperduti, nel momento in cui li inquadra con la sua macchina fotografica, il suo spirito è quello contemplativo, immensamente distante, dell’asceta.

E a riprova della prospettiva “planetaria” da cui guarda alle vicende della storia, quando l’orrore di una di quelle vicende (un massacro avvenuto nel contesto della guerra civile in Rwanda) lo raggiunge al punto da togliergli il desiderio di fotografare, il rimedio che alla fine trova, non rientra in nessuna forma tradizionale di impegno politico. Con la moglie si ritira in una tenuta in Brasile, per ricostruire una foresta: cioè per lui una fetta “sana” di pianeta, in un pianeta ormai malato.

Il film di Wenders ha il merito di trasmettere la corrente di creatività che anima le fotografie di Salgado. Una creatività – e un piacere creativo – che, angelicamente o diabolicamente, si nutre spesso delle tragedie umane.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 28 ottobre 2014)


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