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L'irriverente. Sentenza appello Cucchi. È questa la nostra polizia?
01 Novembre 2014
 

Firenze – I sei medici, i tre infermieri e i tre agenti della penitenziaria condannati in prima istanza per la morte di Stefano Cucchi sono stati assolti in appello per insufficienza di prove. Bene, siccome -in linea di massima- l'insufficienza di prove è un motivo di una certa consistenza, non facciamo nessuna valutazione sulla sentenza in sé e, quando ci saranno, leggeremo le motivazioni partendo dal presupposto che, nel dubbio, “meglio un criminale libero che un innocente in carcere”.

Questo però non ci esime dal fare una chiosa. Nelle numerose prese di posizione che sono seguite a questa sentenza di appello, ce n'è una che spicca in modo particolare, è quella del Sap, sindacato di polizia. Questo sindacato ha sentito la necessità di intervenire in questo modo (agenzia stampa Adnkronos):

«Tutti assolti, come è giusto che sia. Esprimo piena soddisfazione per la sentenza. In questo paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità». È quanto afferma Gianni Tonelli, segretario del Sap, sindacato di polizia, sulla sentenza di appello del processo Cucchi, che ha visto assolti tutti gli imputati. «Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute», continua Tonelli, «se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie». «Mi auguro» prosegue «che questa sentenza venga rispettata e che presto la Cassazione metta la parola fine a tutta la vicenda...»

La logica che è alla base di questo pensiero (“Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”), è la stessa di chi, per esempio, di fronte ad un ferito a seguito di un incidente stradale provocato per violazione del codice da parte della stessa vittima, sostiene che è bene quello che è accaduto e che, se non viene curato per essere salvato, se è morto “sono cazzi suoi”.

Ognuno può pensare e dire quello che vuole. Ovviamente. Ma a noi preoccupa che in questo caso sia l'esponente di un sindacato di polizia ad esprimere questo tipo di opinione. Cioè, l'appartenente ad un corpo dello Stato che, per definizione, prassi e metodologia, deve difendere e confortare tutti i cittadini, anche quelli che per loro sbagliano.

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc


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