Prima di tutto vorrei precisare che non sono una femminista militante, e citando Fito Páez direi che: (…) io ormai non appartengo a nessun “ismo”.
Dopo un incontro con i miei amici cubani a Parigi ho deciso di scrivere di questo argomento tirato in ballo con sagacia da Teresa Ayusa, architetto e artista visiva dell’Atelier Morales.
Passano gli anni, i tempi cambiano ma quelli che giudicano oggi la donna cubana continuano a essere canoni morali molto severi e sbilanciati. Non importa la professione o lo scenario in cui questa si muove, quali capacità abbia, o le condizioni o i rapporti personali che la interessano, no, questo non conta; la donna cubana non può rompere lo schema maschile più rigido, non può oltrepassare determinati codici prestabiliti. Se lo fa, tutto ciò non solo andrà a danneggiare la sua reputazione, ma ricadrà anche su quello che fa, che sia lei medico, avvocato, insegnante universitaria, ballerina classica, attrice, biologa, musicista, sportiva, giornalista o scrittrice.
L’infedeltà è il primo dei peccati capitali che vanno a sgretolare la tua immagine, il dramma tropicale alla Pastor Vega è molto in voga, ma va molto oltre al personale, se sei infedele al tuo sposo devi essere, per forza, una falsa di professione, una bugiarda nella tua parola e pertanto, poco vera e non credibile nelle tue disquisizioni.
Molto spesso, alle critiche di spettacoli o alle recensioni scritte da uomini cubani, si accostano linee extra letterarie che, in modo subdolo e al di sotto dell’iceberg, raccontano (come chi non vorrebbe) le peripezie personali dell’autrice o dell’interprete in questione. Questo aiuta sempre quando si hanno lettori regionali maschi, uomini della platea che “ti conoscono da dietro”.
Quando una donna decide di rompere le reti e cambiare la propria sessualità, allora sì che la situazione si fa difficile, questa donna inizia a subire un subdolo disprezzo a partire dai funzionari e dai direttori del suo dipartimento, passando per rettori, colleghi accademici, fino ai suoi ex e agli amici dei suoi ex. Il colore dei loro sguardi su di noi cambia e, da lì in avanti, solo in poche possiamo contare sulla loro solidarietà. Non siamo più mami, mi amor, mi vida, mi chini, no, ora veniamo giudicate con durezza, chiamate con il nostro primo e secondo nome, o magari con il cognome paterno. Ricordiamoci che una delle forme di avvicinamento tra i cubani è flirtare, e quando ammetti di cambiare la tua sessualità non sanno più come avvicinarsi a te.
Come nel Medioevo, dobbiamo, siamo obbligate a seguire la linea morale imposta dall’uomo.
Per secoli ci hanno fatto scontare tutto quello che avrebbero voluto vedere nelle loro madri e non avevano visto o, magari, hanno preteso che tutto ciò che, sì, avevano visto si amplificasse in noi.
Per rientrare nei loro criteri, ed essere eternamente accettate da loro, dobbiamo essere, sentire e agire come loro e i loro pregiudizi lo devono approvare.
I nostri desideri possono essere dannosi per la nostra immagine, quella formatasi in secoli di religione, decenni di dittature o anni di insoddisfazioni, chiudere con la nostra immagine è una via rapida ed efficace per ostacolarci nelle nostre professioni.
Inutile dire che molti di loro hanno figli sparsi, amanti in diverse città del mondo, relazioni segrete con le loro migliori amiche (ci) o colleghe, e una doppia morale dietro l’angolo. Inutile parlare delle loro ambizioni politiche, modeste passioni, frenetiche ossessioni visibili nelle loro opere; niente di tutto ciò conta, perché essendo uomini e cubani tutto è normale, e perfino pittoresco, divertente, sensuale. Chi può giudicarli?
Quanti di loro vivono al buio di una chiusura mentale dalla quale non si permettono di uscire? Quanti di loro, appuntamento dopo appuntamento, chiacchiera dopo chiacchiera, imposizione dopo imposizione non desidererebbero fare quello che molte di noi facciamo apertamente?
Inutile dire che il tuo orientamento sessuale, i tuoi desideri, il tuo modo di vedere l’amore, il sesso e la morale non sono in contrasto con la tua capacità professionale.
Cerca dietro questi maschilisti che una volta sono stati leninisti e che oggi, per il semplice fatto di pensare e sentire, ti accusano di essere comunista, e scoprirai un mediocre, una brutta persona che fa sgambetti morali perché il suo intelletto e le sue capacità sono giunte al limite.
Quando un uomo ha bisogno di parlare della morale di una donna per oscurarne il talento, significa che questo suo spirito è morto.
Nessuna di noi vuole dare una lezione a nessuno, ognuna sceglie di vivere la propria vita privata indipendentemente dalla coscienza di questi uomini o della società che li ha formati. Tentare di vivere queste vite indipendenti senza pensare ai loro giudizi è ciò che facciamo e il prezzo è molto alto.
Non si tratta di rivoluzionare e combattere il maschilismo a partire da piazze, raduni o discorsi di massa, questo non ha avuto risultati. Non si può combattere l’astratto, il subdolo e “politicamente corretto”. Non possiamo emigrare, scappare, correre per essere completamente libere dal maschilismo. Il maschilismo è UN COMPAGNO che gira il mondo, e lo percorre in lungo e in largo.
Fino a quando permetteremo che i pregiudizi morali maschili interferiscano nelle nostre opere?
Fino a quando lasceremo andare in silenzio la verità di coloro che, screditando le nostre vite, cercano di cancellare i nostri traguardi intellettuali guadagnati, gomito a gomito, in regolare combattimento?
Fino a quando papi, fino a quando?
Wendy Guerra
(Habáname, 13 ottobre 2014)
Traduzione di Silvia Bertoli