«Il grido di libertà di un uomo si misura dall’intensità dei suoi sogni»
(Alda Merini)
Carlo Recalcati è un uomo di successo. Allenatore della Nazionale di basket italiana che agli ultimi Europei (Svezia 2003) ha conquistato il bronzo e ai Giochi Olimpici di Atene 2004 un clamoroso argento, mettendo in fila le migliori selezioni del globo (americani NBA compresi), conduce dalla panchina anche la squadra di club campione d’Italia 2004, la gloriosa Mens Sana Siena, e, come coach, ha vinto tre scudetti con tre diverse squadre: quello della stella con Varese nel 1999; il primo e unico della Fortitudo Bologna nel 2000; il primo di sempre per la società della città del Palio. Insomma un big. Ma un grande il sessantenne Carlo Recalcati, in forma sempre smagliante, lo è stato anche come giocatore. Lui milanese di città ha trovato il suo più ampio successo, oltre che in azzurro, come giocatore nei ranghi della Pallacanestro Cantù con la quale ha conquistato due scudetti (1968 e 1975), spezzando il duopolio di allora Milano-Varese, e trofei internazionali a iosa (leggansi Coppe delle Coppe, Korac e Intercontinentale). Era un tiratore eccezionale, di stupefacente abilità e precisione.
Finissimo tecnico e ottima persona, il Carletto. Allenatore razionale che, come pochi, sa sezionare, comprendere e spiegare ai suoi giocatori il basket, e magistrale nella gestione del gruppo e nelle relazioni umane, avendo gestito campionissimi da vera croce e delizia o genio e follia o avendo saputo cavare il sangue dalle – si fa per dire – rape... Eppure è rimasto umile e, in apparenza semplice, nonostante le sue fortune. Disponibilissimo con i media, è sempre sicuro di sé, ma mai pieno di sé.
È una piovosa mattina della primavera milanese e nella sala di un grande albergo si presenta la biografia di Carlo Recalcati, scritta da Mimmo Cacciuni-Angelone, addetto stampa della Nazionale, e edita dalla Libreria dello Sport di Milano: Tutto in undici mesi. Recalcati Head Coach & C.T. (pagg. 128, euro 15). Fra gli ospiti sono presenti Dan Peterson, il popolare ex allenatore e telecronista, Gianni Corsolini, presidente dell’Unione Sindacale Allenatori Pallacanestro e scopritore di Carlo Recalcati, Dino Meneghin, che non ha certo bisogno di presentazioni, Fabrizio Frates, suo vice in Nazionale, Fausto Maifredi, presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, Antonio Tavarozzi, l’inventore della fortunata trasmissione televisiva Quelli che... il calcio, Gianni Petrucci, presidente del CONI, e tanti altri bei nomi. Il libro, che descrive una cavalcata trionfale che in undici mesi ha condotto alle vittorie anzidette, si apre con una disfatta: la prima gara agli Europei 2003 contro la Francia in cui gli azzurri furono umiliati, ma quella lezione segnò l’incipit di una sensazionale ripresa d’orgoglio, la ripartenza dello spirito di squadra e il germe delle future affermazioni sul campo.
La parola al presidente federale Fausto Maifredi: «Merito di Carlo Recalcati è stato provare giocatori italiani anche dimenticati, dando l’input pure ai giovani. Mai scelta da parte nostra è stata più felice, e vincente si è rivelata la scelta di un allenatore part-time, così come vincenti sono state la gran calma e tranquillità di Carlo. Quando il nervosismo serpeggia, lui è capace di sdrammatizzare. Il libro or ora uscito è il termine indimenticabile di undici mesi di vittorie sue e della Nazionale».
Il mestiere d’allenatore a questi livelli non è cosa semplice; basti pensare alle tensioni e pressioni, alle emozioni e delusioni che ne scaturiscono. Ma anche gratificazioni, come quella garantita dalle parole del numero 1 dello sport italiano, il Presidente del CONI Gianni Petrucci: «Sono contento di essere stato invitato a questa presentazione e di essere qui. Ho conosciuto tutti gli allenatori di basket della Nazionale dal 1978 in poi: Giancarlo Primo, Sandro Gamba, Valerio Bianchini, Ettore Messina, Bogdan Tanjevic e, ovviamente, Carlo Recalcati. La bravura di Recalcati è anche nella sua normalità. A me, per esempio, fanno paura i fenomeni. Lui ha vinto con la semplicità ed è una persona ammodo. Io credo che basti fare le cose con semplicità per arrivare nella vita. Lui oggi, assieme a pochi altri, potrebbe dire d’aver fatto la storia della pallacanestro italiana».
L’autore Mimmo Cacciuni-Angelone, emozionatissimo seppur intimo ormai per stretta militanza con l’oggetto-soggetto delle pagine da lui scritte, ha pronunciato tali parole: «Per Carlo Recalcati c’è la squadra prima di tutto. Per quanto riguarda me che sono qui, ho conosciuto Carlo Recalcati nel 1978 a un camp organizzato da Arnaldo Taurisano, mentre lui mi ha conosciuto quasi cinque lustri dopo. Da bambino, quando spendevo la paghetta della settimana per comprarmi la rivista Giganti del Basket, non avrei mai pensato di fare l’addetto stampa della Nazionale. Era un sogno nel cassetto: prima leggevo dei miei eroi, oggi ne scrivo. Questo libro si divide in tre parti e mi sono particolarmente concentrato sugli undici mesi che sono andati da una medaglia azzurra all’altra, con in mezzo lo scudetto di Siena».
E lui, il Carlo nazionale? Non si smentisce neppure in simile circostanza. Sorride, parco di parole, anzi, più che riservato, diremmo attento agli altri – sua precipua qualità – per dire infine: «Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno consentito di raggiungere tutti i risultati che hanno permesso a Mimmo di scrivere questo libro. Al di là degli spunti tecnici spero che il libro dimostri quali sono i percorsi che intraprendiamo nel fare una squadra. Per quanto riguarda i prossimi programmi della Nazionale, la squadra A comincerà i suoi raduni il 30 maggio a Fabriano. Quest’anno ci saranno i Giochi del Mediterraneo, poi gli Europei».
Per concludere, dal libro a lui dedicato estraiamo una citazione, che ben dimostra lo spirito che governa il miglior allenatore italiano (anche se è aperta la querelle con i sostenitori di Ettore Messina; la realtà è che i due sono, semplicemente, diversi fra loro): «Da parte nostra cerchiamo sempre di ottenere il massimo. Lo abbiamo fatto a Stoccolma, lo faremo ad Atene. Abbiamo coscienza che affronteremo avversari con talento individuale più forte. Questa nostra coscienza però non è un segno di debolezza, ma di forza e razionalità. Su questo noi lavoriamo. Non ho nessuna preclusione sulle scelte, però andremo in Grecia con i dodici giocatori più forti in assoluto. Per vincere dobbiamo essere più squadra degli altri. Lo siamo stati lo scorso anno contro la Francia, squadra imbattibile dal punto di vista individuale, ma non come collettivo. Lo dovremo essere ancora di più quest’anno. E poi, al momento opportuno, dovremo essere anche presuntuosi nel modo giusto, senza avere timori reverenziali». Si sa com’è finita. Gli azzurri si sono issati sul podio olimpico, secondi e gioiosi, pur dopo la sconfitta contro la fortissima Argentina. «Non abbiamo perso l’oro, ma abbiamo vinto l’argento», la serafica e giusta frase-concetto coniata in quel frangente da Carlo Recalcati. Ineccepibile e semplice. Quanto serve per vincere, rimanendo felicemente se stessi.
Alberto Figliolia