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Patrizia Garofalo. “Se chiudo gli occhi non sono più qui” di Vittorio Moroni
20 Ottobre 2014
 

Tutte le immagini si mescolarono insieme, tutte si tramutarono in fiume, tutte fluirono come in un fiume verso la meta e… la voce del fiume suonava piena di nostalgia, piena di ardente dolore, di insaziabile desiderio… tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita.

(Hermann Hesse, Siddharta)

 

19 sceneggiature e 5 anni per questo lavoro. “Intorno a Kiko si è mossa una macchina a spalla sempre disponibile ad essere sorpresa, spiazzata, sfidata”.

È Vittorio Moroni il primo maestro di Mark, ragazzo filippino scelto tra centinaia di coetanei che nel film si chiamerà Kiko. Con lui abbiamo lavorato 5 mesi prima delle riprese, addestrandolo a non fare nulla che non sentisse vero, investendolo del compito di modificare movimenti, battute, dinamiche, purchè gli corrispondessero”. E di maestri ha bisogno Kiko, metafora della sua generazione, maestri come scrive Massimo Recalcati in Un’ora di lezione e in Patria senza padri.

Kiko non è sognato da nessuno” afferma ancora Vittorio Moroni e non è possibile intraprendere alcun percorso senza sogno e desiderio o, più semplicemente, curiosità. La morte del padre in un incidente, lo vede vivere solo con la madre, il compagno di lei e dei lavoranti sfruttati proprio dal suo patrigno. Le ore continue di lavoro non si conciliano con lo studio scientifico al quale il padre lo aveva indirizzato e la scuola, l’ambiente dove dovrebbe e vorrebbe imparare, leggere, apprendere, pur capendo le potenzialità del ragazzo è miope ed estranea alle sue problematiche. Accompagna la drammaticità di quest’isolamento e mancanza di com-prensione, una fotografia meravigliosa, consolatoria spaesante che scorre alternandosi ai momenti più duri in immagini di cieli stellati, costellazioni, cieli che interrogano e inducono a riflettere sul percorso di ognuno e di tutti e sul bene e sul male di cui siamo corpo, anima e pensiero. Alzare gli occhi al cielo, saperlo fare, saperne abbracciare le stelle sarà la salvezza di Kiko. È questo anelito all’infinitezza che offre a Kiko di sognare un mondo che possa anche tornare indietro, ricominciare la giostra della vita dove spera di poter rivedere suo padre, l’unico ad aver creduto in lui. E se solitudine deve essere, se altro non resta, allora che sia fuori dal contesto dove vive la sua quotidianità e sarà un carrozzone dismesso a fare da luogo dell’anima ai suoi ricordi, ad illuminare le foto del padre insieme al quale sembra sfogliare il loro breve album di ricordi e di nostalgia. Quotidianità e sogno si alternano e qualche volta si sovrappongono prima di alzarsi verso il cielo. E il regista segue, filma, assembla colorazioni diverse quasi a dividere il mondo nel quale Kiko soffre e “l’altrove” di un percorso di conoscenza come via di scampo. Una tonalità quasi grigiastra, metallica inquadra i volti del gruppo famiglia del ragazzo, ricca di ombre non accenna alla luce, è plumbea e densa ogni scena, densa di solitudini troppo forti che rimandano ai dipinti di Bruegel fino alle luci del rifugio di Kiko giallastre come dagherrotipi, stinte dal ricordo e dalla morte. L’incontro con Ettore che si presenterà come un vecchio insegnante e amico del padre determinerà una svolta importante, quella della conoscenza, del sapere come formazione, come modello di vita, scatenerà desiderio e slancio che niente hanno a spartire con i programmi ministeriali. Dai libri, dagli insegnamenti di Ettore e dalla sua “cura” di lui, Kiko si sentirà finalmente sognato e potrà cercare se stesso e leggere dentro la sua lacerante solitudine. Se chiudo gli occhi non sono più qui è invito alla ricerca, all’abbeveraggio, alla sosta, al pensiero al cammino e al riuscire a comprendere che tutti ma proprio tutti siamo bene e male e che tutto questo aiuta a vivere anche quando il dolore è forte.

E sarà drammatico sapere che Ettore, proprio lui, ha ucciso il padre, una sera durante una corsa disperata in macchina dopo che il medico gli aveva detto che un cancro ai polmoni se lo sarebbe presto mangiato. Lo dirà a Kiko poco prima di morire, certo che il tempo trascorso insieme nonostante tutto abbia dato ad entrambi rifugio, consolazione e consapevolezza. La delusione cocente non cancella i sassi levigati dall’acqua del fiume indicheranno il cammino come le briciole di Pollicino aveva detto Ettore portandoli a casa e insieme avevano scritto uomo desiderio illimitato di felicità - la scoperta non di nuove terre ma di nuovi occhi - siamo della stessa polvere caduta dalle stelle.

Kiko ha in mano un sasso bianco. Lo affida all’acqua del fiume, trasparente, cristallina. Così termina il film e in quel sasso, la vita del ragazzo, quella che lui sarà finalmente in grado di continuare a scrivere...

 

Patrizia Garofalo

 

 

Mentre scrivo Vittorio Moroni è a Genova, dopo il film ci sarà un incontro con il pubblico. A lui e a tutti coloro che hanno realizzato questo convincente ed appassionante lavoro, grazie di cuore.


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