Si è aperta alla GAM Galleria d’Arte Moderna di Milano la mostra “Alberto Giacometti”, realizzata in collaborazione con la Fondazione “Alberto e Annette Giacometti” di Parigi e curata da Catherine Grenier, Direttore della Fondazione. La mostra promossa dal Comune di Milano Cultura, organizzata e prodotta dalla GAM e da 24 ORE Cultura, propone l’intero percorso artistico di uno dei più significativi artisti del Novecento.
L’esposizione inaugura il “nuovo corso” della GAM di Milano quale polo espositivo internazionale dedicato alla scultura, dopo il recente riallestimento degli spazi e dei percorsi espositivi.
Il visitatore può così seguire, attraverso le sculture, i dipinti e i disegni realizzati tra gli anni Venti e Sessanta, l’evoluzione artistica di Giacometti, dai suoi inizi in Svizzera alla maturità, trascorsa perlopiù nell’atelier di rue Hippolyte-Maindron a Parigi. Un percorso cronologico che si articola in cinque sezioni, costituite a loro volta da diversi gruppi tematici, permettendo di ripercorrere tutta la carriera dell’artista: dall’esordio a contatto con il Post-cubismo e il Surrealismo, alla fase più matura. A corredo e integrazione del percorso di visita sono esposte una selezione di disegni e schizzi, immagini d’archivio, foto intime e d’autore a meglio contestualizzare il procedimento artistico di Giacometti, dal periodo Surrealista agli ultimi anni.
Nella prima sezione il visitatore è introdotto prima nell’universo intimo di Giacometti, con le sculture che rappresentano i ritratti del padre, della madre Annetta, del fratello Diego e della sorella Ottiglia, e poi direttamente a Parigi, dove si era trasferito su consiglio paterno, dopo il 1922, e dove realizzò lavori che sono frutto del clima artistico cubista di quegli anni.
Nel 1931 Giacometti aderisce al Surrealismo, cui era stato avvicinato da Cocteau, Masson e dai coniugi Noailles: la seconda sezione presenta lavori nati da questa parentesi di breve durata (lascerà il movimento nel 1935), veri e propri capolavori quali Femme qui marche, concepita come manichini per l’Esposizione Surrealista del 1933, Le Couple, che ben mostra il suo interesse per l’arte africana e, ancor più celebre, Boule Supendue, definita da Dalì come il prototipo degli “oggetti a funzionamento simbolico”, punto saliente del pensiero surrealista.
La terza sezione testimonia la nuova ricerca artistica di Giacometti, che ha al suo centro il lavoro vero: i ritratti si fanno a scala ridotta, misurando solo una decina di centimetri e la testa diventa presto il fulcro del suo interesse artistico (in mostra sono presenti le due Tête de femme, rispettivamente del 1935 e del 1938) preannunciando quelle realizzate in pittura e scultura negli anni ’50 e ’60.
In questa sezione si ripercorre anche la ripresa del lavoro di Giacometti, avvenuta dopo il suo rientro a Parigi nel 1945 alla fine della guerra, quando nascono i suoi personaggi filiformi, figure ieratiche e immobili, distribuite rigidamente su alti piedistalli o all’interno di gabbie che ne determinano i limiti spaziali, rappresentate in mostra da Quattre femmes sur socle del 1950 o, dello stesso anno, La Clariére e la Cage. Le sue figure, in scultura o in pittura, vengono così scarnificate, smaterializzate, fino a ridursi a sottili fili verticali (memori forse della celebre Ombra etrusca del Museo di Volterra), o meglio a «segni» nello spazio, informali malgrado l’apparenza, prive di peso: «una persona che passa per la strada» dice Giacometti «non ha peso, comunque è più leggera di una persona morta o svenuta». Il moto infatti, con la sua forza traente, diminuisce la forza di gravità e l’equilibrio del corpo avviene spostando continuamente il peso da una gamba all’altra: «Ho voluto […] riprodurre questa leggerezza per questo ho fatto i corpi così sottili».
La quarta sezione illustra la ricerca artistica sulla rappresentazione della testa, preannunciata dai ritratti di Rita e Diego, e ben visibile nei dipinti e nelle sculture della maturità. I modelli scelti sono quelli a lui più vicini come la moglie Annette (Buste d’Annette, 1962), il fratello Diego (Buste de Diego, 1964), il filosofo giapponese Yanaihara (Buste de Yanaihara, 1961), l’amante Caroline. Sia in pittura, che in scultura il lavoro di Giacometti sulla testa è intenso al fine di raggiungere il suo principale obiettivo: la somiglianza. Resterà in lui una necessità imprescindibile, che non smetterà mai di sondare il «mistero di quei volti e della vita riflessa in essi» e di sforzarsi di «possedere un’apparenza che di continuo sfugge».
La quinta e ultima sezione chiude il percorso espositivo con le opere più mature dell’artista. Nel 1958 Alberto Giacometti lavora alle sculture monumentali della Grande tête (1960-1966) e della Grande femme IV (1960-61), le più grandi mai realizzate dall’artista, la cui superficie rugosa accresce l’aspetto drammatico. Queste sculture sono rappresentate in mostra accanto a due ritratti seduti di uomo e donna, frontali e ieratiche e con le braccia posate alla maniera delle sculture antiche: elemento comune l’intensità dello sguardo, rivolto dritto davanti a sé e perso in una sorta di aldilà quasi profetico.
Maria Paola Forlani