Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale. (Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, 1975)
Anni ‘90, bombe e bingo!
Gli anni ’90 si annunciano fragorosi e contraddittori.
L’ultimo decennio del secolo – e del secondo millennio – rompe definitivamente col passato e introduce al nuovo modello di società in piena elaborazione. Inizia con l'invasione del Kuwait – 2 agosto 1990 – da parte dell'esercito iracheno, che porta alla prima guerra del Golfo condotta dagli Usa contro l’Iraq, con missili ad altissima tecnologia. Il 27 febbraio 1991 Saddam Hussein accetta la resa e il Kuwait viene liberato.
Una guerra-lampo spettacolarizzata al massimo dalla televisione, con una profusione d’immagini scioccanti, cui si reagì con una sorta di orrore muto: vedere bambini arsi dal fosforo bianco e sentir parlare di “armi intelligenti” e di “effetti collaterali” stravolgeva ogni principio di logica umanitaria. Un evento mediatico che segna una linea di demarcazione nella storia dei mezzi d’informazione, in cui la barbarie della guerra si presenta come un eccitante videogioco, con operazioni altisonanti come Scudo nel deserto e Tempesta nel deserto.
La gente reagì allo choc svuotando i supermercati. Si acquistò di tutto e si riempirono le case di alimenti freschi e congelati come per affrontare un lungo assedio. Forse la memoria della fame e delle privazioni sofferte in tempo di guerra era ancora fresca e dettava rimedi ridicoli, o forse si coglieva l’occasione per obbedire fanaticamente alle leggi di mercato. E mentre si pensava a rifornirsi di cibo e bevande non si trascuravano i prodotti voluttuari, e la carta igienica andò a ruba. Si vedevano in tv i nostri supermercati con gli scaffali vuoti mentre la stampa straniera riportava commenti salaci su questi italiani preoccupati di non farsi mancare nulla, mentre il mondo brucia. Si trovò anche il modo di scherzare su atteggiamenti non certo pregevoli, senza indignarsi più di tanto con noi stessi e con i nostri denigratori. Senza saperlo ci stavamo rivestendo di pelle d’elefante, secondo il modello passivo e acritico creato ad hoc dal sistema.
Orticello di guerra
È passato poco tempo da quando in tanti cercarono di vendersi la casetta per acquistare un appartamento dotato di tutti i comfort, che già si pensa con nostalgia ai vantaggi di una abitazione indipendente. Ma non è facile fare marcia indietro: il verde è stato ingoiato da cemento e asfalto e chi ne conserva ancora un pezzetto se lo tiene stretto.
Disponendo di un quadratino di terra, anche non edificabile, ci si può piantare sopra la casetta prefabbricata, scegliendola nei punti vendita diffusi ovunque. Sorgono da un giorno all’altro, fra le vigne e nei piccoli poderi, queste casine con il tetto rosso, il comignolo e la veranda, così carine da sembrare finte. La procedura di montaggio è rapida, avviene in poche ore dopo che si sono preparate in sordina le fondamenta, con i vigili disposti a chiudere un occhio, e poi col condono edilizio si sistema tutto.
In una casetta così, con un limone, una mimosa e un melograno, cespugli di rose e un orticello di tre palmi, nascono i miei primi nipoti. Un atto di coraggio e di sfida, mentre tutto sembra girare impazzito, che ancora una volta rimette in ballo la ragione profonda dell’esistenza. Ed è ancora vita.
Durante l'attesa fu sistemato il giardino e riorganizzato l’orticello, dove si provava a far crescere di tutto. Un orticello di guerra che stava a significare diverse cose: il tentativo di tornare ad attaccarsi ai valori tradizionali mentre gli ideali svanivano e la paura avanzava; la necessità di costruirsi un rapporto con la terra quanto più era messa in pericolo la sua integrità; la concreta opposizione ad una forma di angoscia che opprime, col terrorismo che esplode in Medio Oriente e dilaga paurosamente.
Falcone e Borsellino
Intanto c'era chi a grandi livelli si occupava delle proprie faccende, approfittando del disordine e della decadenza generale.
Nel 1992 con l’operazione “Mani Pulite” esplode Tangentopoli mettendo allo scoperto il marciume che la corruzione ha prodotto in tutto il Paese, e la magistratura entra in piena azione per porre fine allo scandalo delle tangenti.
Fra i personaggi coinvolti anche noti esponenti del mondo politico e finanziario, fra cui senatori, imprenditori ed ex presidenti del Consiglio. Nome di spicco Bettino Craxi.
Contemporaneamente, s’inasprisce la risposta mafiosa.
Il 23 maggio nell’attentato di Capaci perdono la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca e tre agenti di scorta. Il 19 luglio, nella strage di via d’Amelio, restano uccisi il giudice Borsellino e i cinque agenti di scorta.
La cosiddetta “strategia stragista” mette a soqquadro l’intera Nazione.
È scontro aperto tra cosche mafiose e Stato. Partono gli avvisi di garanzia, tra i più famosi destinatari anche Giulio Andreotti, mentre continuano gli attentati dinamitardi nelle maggiori città italiane.
Così finisce la Prima Repubblica
Le “stragi del 1993” – una nuova stagione di sangue e terrore – riportarono al clima del terrorismo degli anni ’70, forse ancora più cupo, più spaventosamente potente e subdolo. La “strategia della tensione” – alla luce di nuovi elementi emersi in tempi recenti – si poneva l’obiettivo di piegare il potere politico ad “atteggiamenti più collaborativi” usando mezzi assurdamente repressivi.
Si aspettava la notizia come lo scoppio in trincea.
Attentato a Roma il 14 maggio, in via Ruggero Fauro nel quartiere Parioli, diretto a Maurizio Costanzo di ritorno con la sua compagna Maria De Filippi dalle registrazioni del Maurizio Costanzo Show. Ingenti danni, nessuna vittima. Forse si voleva solo spaventare il noto conduttore – si disse – impegnato nella lotta alla mafia.
Strage di via dei Georgofili a Firenze, un’autobomba esplode nella notte fra il 26 e il 27 maggio con un effetto devastante definito bellico. Ci furono diversi morti – fra cui bambini, ragazzi e una neonata – e una cinquantina di feriti.
Strage di via Palestro a Milano la notte del 27 luglio. Cinque morti: tre vigili del fuoco, un vigile urbano e un immigrato marocchino che dormiva su una panchina.
Nella notte fra il 27 e il 28 luglio due autobombe esplodono a Roma quasi contemporaneamente dinanzi alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giovanni in Velabro, procurando ingenti danni ai due edifici.
Il 31 ottobre attentato allo Stadio Olimpico, una domenica che giocava Lazio-Udinese. Doveva essere una strage, ma il telecomando s’inceppa e l’auto con l’esplosivo viene fatto sparire e nascosto a Capena, dove fu ritrovato nel ’94 nella casa affittata da un “pentito”.
Il 15 settembre viene ucciso a Palermo, nella borgata Brancaccio dove svolge intensa attività sociale, il parroco don Giuseppe Puglisi, che ha sempre parlato troppo e apertamente e che nominava nelle sue omelie i potenti di Cosa Nostra. Il primo prete ammazzato dalla criminalità organizzata, un’altra regola che salta dell’antico codice d’onore.
Finisce nel peggiore dei modi la Prima Repubblica, con l’esaurimento dell’azione di Tangentopoli che non fu risolutiva come sperato: in realtà lo scandalo delle tangenti non ha mai avuto fine ma anzi si è aggravato.
A maggio del ’94 fu eletto Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – principe della comunicazione – e comincia la saga dell’imprenditore che avrebbe dovuto salvare l’Azienda Italia.
Bingo!
Arrivò anche da noi la Lotteria istantanea, già da tempo funzionante all’estero, e fu il successo. Doveva servire per sovvenzionare il piano cosiddetto Salvalavoro di un certo ministro Giugni, e servì invece a far capire quanto piacesse agli italiani il gioco d’azzardo. Si trattava di strappare un tagliando che costava duemila lire e si potevano vincere fino a cento milioni di lire.
Si iniziò con La fontana della fortuna, che era quella di Trevi, poi sostituita da La fortuna col mundial per il campionato di calcio Usa del ’94, cui seguirono La vela della fortuna, La fortuna sotto l’albero, Amore e fortuna e così via, anno dopo anno, tutti sempre più disperatamente a caccia di fortuna.
Il gratta e vinci diventò una dipendenza per molta gente, una vera e propria malattia che colpì anche molte casalinghe che uscivano la mattina per tentare la sorte mettendo a repentaglio il bilancio familiare. mentre le slot machine – o ‘mangiasoldi’ – attiravano nei bar i patiti del gioco d’azzardo, e nelle sale Bingo c’erano gli affezionati che puntavano alla tombola con lo stesso batticuore di quando si giocava a Natale riempiendo le cartelle di fagioli secchi. Una tentazione malefica che sembra non risparmiare nessuno.
Famiglia nucleare
Lo smottamento della famiglia istituzionale già dagli anni ’70 aveva preso una china non più reversibile con un calo quasi istantaneo di matrimoni e il proliferare di separazioni, divorzi e unioni di fatto. Altre tipologie subentrarono alla famiglia patriarcale, in un assestamento precario e difficile, mentre si cercano nuovi equilibri.
La casa non è più quella di una volta, non le somiglia neppure. A cominciare dalla cucina ridotta a un angolo cottura e spazi sempre più ridotti e funzionali. Attrezzata perché anche i bambini possano cavarsela in assenza degli adulti, la dimora moderna offre tutti i vantaggi di una tavola calda autogestibile, aperta a tutte le ore. La serie di elettrodomestici immancabili e riveritissimi numi tutelari, e anche per le altre necessità tutto è predisposto per il funzionamento, basta azionare i comandi. Si diventa presto autonomi, nella famiglia nucleare, ma si resta stranamente attaccati al sogno della gonna di mamma.
Quando uscì il film Io e Caterina di Albero Sordi, la storia di un uomo che acquista un robot femmina, tuttofare, per non dipendere più da moglie e domestica e dalle noie di rapporti complicati, si rise alle peripezie del povero illuso che non aveva fatto i conti con l’umanizzazione e la rivolta della sua macchina perfetta. Argomento anticipato dal film 2011 Odissea nello spazio di Kubrick, nel ’68, che allora sembrava pura fantascienza.
Colf e badanti
I pensionati non saprebbero che fare, non avendo più orto e giardino da curare e nipotini da accudire (nascono sempre meno bambini da genitori non più giovanissimi) e il Centro Anziani diventa il luogo del ritrovo e del divertimento. Chi invece preferisce starsene in casa ha la compagnia ininterrotta della televisione, con la serie infinita delle soap operas; imperdibile anche una sola puntata delle saghe familiari di Dallas, Dinasty e Beautiful, i cui personaggi a furia di vederli tutti i giorni vengono confusi con i propri parenti.
E per le persone anziane con scarsa autonomia subentra la figura della badante, che solleva la famiglia da incombenze insostenibili, anche a causa del nuovo assetto sociale e ambientale. In alternativa alla badante si considera la Casa di riposo, ultima spiaggia sia per i costi elevati che per una certa riluttanza ad allontanare il proprio congiunto dall’ambito familiare.
Colf e badanti – richiestissime in un paese come il nostro con la popolazione fra le più longeve d'Europa – arrivarono numerose soprattutto dalla Romania, quando si fece massiccia l'immigrazione dall’Est europeo, e presto si resero indispensabili nella cura di anziani e bambini.
Arrivarono anche tanti russi – e in seguito slavi e polacchi – carichi di merce varia. Si poteva trovare di tutto: utensili, vestiario militare, cinture e orologi, oggetti artigianali e alta bigiotteria. Ma soprattutto strumenti ottici di buona qualità, che si potevano acquistare per poco nei mercatini sparsi un po’ ovunque.
Era telematica
Fatica ardua tentare una minima ricostruzione di quel decennio, fra guerre e stragi che non facevano più notizia e la gente che cercava di vivere al meglio in una società che offriva il peggio.
Avevamo tutto quello che mai avremmo sognato di avere, altri erano stati i sogni e non eravamo capaci di un vero risveglio.
Avevamo la Televisione senza frontiere, un'avventura iniziata in occasione dello scoppio della prima Guerra del Golfo con Studio aperto, che si affermò per la velocità con cui riuscì a lanciare la notizia dell’attacco pur non disponendo della diretta.
Con la Legge Mammì – o Polaroid – si va a contrastare il monopolio della Fininvest, mantenuto tale da una serie di “Decreto Berlusconi” varati a metà degli anni ’80 dal Governo Craxi. Nel ’92 entrano in funzione il TG4 e Canale 5, e nel ’93 nasce Mediaset, che si rivolge ad una utenza sempre più di bocca buona. Nel ’97 arriva il televisore al plasma, ed è ancora una volta corsa agli acquisti alla prima rivendita a consegna rapida: guai a farsi scappare la novità, sempre all’ordine del giorno.
Si entra a far parte dell’ingranaggio senza nemmeno rendersene conto.
Ogni cittadino numero fra i numeri con il codice fiscale identificativo rilasciato dall’Agenzia delle entrate e nuove forme di pagamento elettronico che vedranno la luce nelle ormai ben note carte bancomat e di credito.
È l’inizio della nuova era telematica nell’amministrazione pubblica e nei rapporti sociali, che arriverà fino ai social network dei giorni nostri.
E siamo a fine decennio. Si attende il Capodanno con l’ansia superstiziosa di ogni cambio millennio, e con una paura nuova detta millennium bug, un difetto informatico che poteva manifestarsi allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 1999, con conseguenze imprevedibili nei sistemi di comunicazione dati.
Non accadde nulla di quanto paventato, e si entrò nel terzo millennio nel segno del Grande Giubileo, rincuorati dalle parole di perdono, di pace e di una cristianità che sembra rinnovata, con il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa e la Giornata Mondiale della Gioventù che vede accorrere a Roma oltre due milioni e mezzo di papaboys.
Decennio breve
Si sbarca col nuovo millennio in zona tutta da esplorare. Si aprono scenari impensabili che investono tutti i settori e richiedono uno spirito ultrasonico di adattamento.
Ci si rimette in marcia, con quel che resta di tanti ideali smarriti e quel poco che si riesce ancora a vagheggiare, cercando di non essere sbalzati fuori dal nostro tempo e dall’arca che tutti ci contiene e ci conforma, con l’avvento della globalizzazione.
Un’avventura che ci prepariamo a vivere sapendo solo quello che ci vogliono far sapere, poco e opportunamente adattato, sperando che ci porti bene e che non si avverino i cattivi presagi di una società schiacciata dal mercato. È vero, la Cina è qui e detta legge, ma noi ci sentiamo ancora forti del nostro made in Italy che non teme confronti. E per il resto, per tutto il resto, si resta a guardare senza azzardare ipotesi, con una certa curiosità e una buona dose di preoccupazione.
Intanto l’immigrazione di massa ci sta riempiendo casa, arrivano a frotte i disperati portati dai barconi sulle nostre coste, il nostro Paese ambita meta per chi cerca terra dove approdare, lasciandosi dietro il dolore dei profughi.
Poi arriva l’11 settembre a sbiancare il pensiero.
L’11 settembre
L’undici settembre 2001 mi trovavo all’Hotel “Martini”, a Sperlonga (LT), per una breve vacanza.
Quel giorno il cielo era coperto e tirava un vento freddo che spazzava la spiaggia vuota. Mi occorreva una farmacia e mi dissero che potevo trovarla a Fondi, a un paio di chilometri di distanza.
M’incamminai nel primo pomeriggio e raggiunsi la farmacia all’orario di apertura. La serranda era calata a metà, da un furgone stavano scaricando cartoni di medicinali, una fila di acquirenti aspettava fuori, il farmacista trafficava all’interno, poi alzò la serranda e prese a servire in fretta. Una radio era accesa a volume basso da qualche parte e il farmacista era così intento ad ascoltare la voce concitata del cronista che poco dava retta ai suoi clienti, e quando fu il mio turno mi servì rapidamente senza nemmeno guardarmi in faccia.
Lo appresi in quel momento. Il farmacista alzò il volume della radio e seppi così del crollo delle Torri Gemelle di Manhattan. Per un lungo istante tutto rimase sospeso, nessuno fiatò.
La strada del ritorno mi sembrò lunghissima, niente traffico nella via deserta, la mente annebbiata che cerca di mettere a fuoco qualcosa che sfugge e insieme aggredisce. L’albergo sembrava evacuato, tutti erano radunati nella saletta della televisione che mandava le immagini della catastrofe e i suoni disumani di uno spaventoso dolore.
Più tardi si riunì attorno a un tavolo un gruppo di americani ospiti dell’albergo, accesero tanti lumini rossi e iniziarono la veglia.
Quella sera la cena fu servita in silenzio, si mangiò in silenzio, ognuno sparì nella sua stanza in silenzio. La televisione rimase accesa per tutta la notte, a volume discreto.
Dopo l’11 settembre il mondo non sarà più lo stesso, la frase che ballava nella testa di tutti.
Avanti tutta
Il 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti, affiancati dalla Gran Bretagna, attaccano l’Afghanistan. Primo atto della guerra al terrorismo, in risposta agli attentati dell’11 Settembre.
Il 18 ottobre salpano da Taranto le prime quattro navi italiane che prenderanno parte all’operazione militare Enduring Freedom.
È così che si annuncia il decennio breve, pesante come un buco nero, portatore d’innovazioni sconvolgenti in tutti i campi. Portatore anche di macerie e guerre sanguinose, terrorismo e precarietà, catastrofi ambientali e disastri nucleari, violenza e pazzia e una decadenza materiale e morale che si può raffigurare nella massa di rifiuti che infarcisce e avvelena il pianeta mentre la speculazione prospera.
Eppure...
Eppure noi siamo qui, e ancora riusciamo a capire che dipende anche da ognuno di noi il destino di tutti. Di fronte a noi l’avvenire, come sempre è stato nella storia dell'umanità, da costruire e ancor più, in quest’era di trapasso, da inventare. Senza lasciarsi interdire dalla facile commiserazione che non compete a chi la storia vuole farla anche sua, con una partecipazione, per quanto minima, indispensabile.
Bignamino di una cronaca non ancora storicizzata – 7 (FINE)
(Tratto da Se tu mi chiedessi – storia e storie fra cronaca e memoria, UniversItalia 2013)