La mostra “La Guerra che verrà non è la prima. Grande Guerra 1914 – 2014”, aperta fino al 20 settembre 2015, (catalogo Electa) a cura di Cristiana Collu, offre uno sguardo più complesso sull’attualità del conflitto, ancora oggi al centro del dibattito contemporaneo. La prima guerra mondiale, di cui ricorre il Centenario, tra gli eventi più drammatici e significativi della storia, rappresenta dunque il punto di partenza di un’indagine più ampia che attraversa il XX secolo e arriva ai conflitti dei nostri giorni. Il Mart si misura con il più difficile, travaglio e scabroso dei temi, facendosi carico non solo del racconto della storia, ma anche dell’esposizione articolata di alcune delle verità che lo contraddistinguono.
Questo progetto ha richiesto e richiede non solo oggettività e distanza ma partecipazione e chiarezza. Non basta non volere la guerra e desiderare la pace. Muovendo dalla celebre poesia di Bertol Brecht, «La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente». Il Museo costruisce una narrazione dalla quale scaturisce un intenso viaggio che affonda le sue radici nelle guerre del secolo, ritrovandosi nella più tragica storia recente.
La mostra sviluppa il tema adottando molteplici punti di vista e toccandone anche gli aspetti più sensibili, delicati e talvolta controversi. Il percorso espositivo lascia emergere l’evento come risultato di una composizione in cui l’arte si confronta con la storia, la politica e l’antropologia. Ricorrendo a una sorta di complesso montaggio tematico e temporale, l’esposizione evita di seguire un preciso filo cronologico, dimostrando – tramite inediti accostamenti e cortocircuiti semantici – come tutte le guerre siano uguali e, allo stesso tempo, come ogni guerra sia diversa.
L’intento della mostra non è quello di inventariare i conflitti di ieri e di oggi, né quello di misconoscere le irriducibili differenze storiche, ma la volontà di mantenere aperta la ricerca e la riflessione in un luogo in cui ricordare non significhi ridurre un evento a qualcosa di pietrificato, archiviato e definitivamente sigillato in se stesso ma, all’opposto, riveli interpretazioni e riletture capaci di esprimere tutta la complessità.
L’arte entra in contatto con la quotidianità, i capolavori delle avanguardie dialogano con la propaganda, la grammatica espositiva completa e rinnova il valore di documenti, reportage, testimonianze.
Installazioni, disegni, incisioni, fotografie, dipinti, manifesti, cartoline, corrispondenze, diari condividono gli oltre tremila metri quadrati del piano superiore del Mart e si misurano con sperimentazioni più recenti, installazioni sonore, narrazioni cinematografiche: documentari originali, video e film.
Esposti anche numerosi reperti bellici impiegati nella Prima guerra mondiale, il cui ritrovamento è il capitolo più recente di una vicenda ancora attuale, nella quale ogni oggetto racconta la propria storia.
“La Guerra che verrà non è la prima” è una mostra vertiginosa nella quale si sviluppano sottotesti tematici, focus narrativi e affondi mirati, una trama di linguaggi tra i quali spicca a più riprese, filo rosso tra fili che la mostra intreccia, il Futurismo.
L’esposizione presenta alcuni capolavori dalle collezioni del Mart fra i quali opere di Giacomo Balla, Anselmo Bucci, Fortunato Depero e Gino Severini.
Una lunga serie di prestigiosi prestiti nazionali ed internazionali completano il progetto. Numerose, inoltre, le opere di artisti che hanno vissuto il dramma della Grande Guerra, la lista comprende, oltre ai già citati maestri dell’avanguardia italiana, Max Beckmann, Marc Chagall, Albin Egger-Lienz, Adolf Helmberger, Osvaldo Licini, Arturo Martini, Pietro Morando, Mario Sironi ed è integrata dai lavori di registi dell’epoca come Filippo Bufera, Segundo de Chomón, Abel Gance. Tra gli artisti impegnati direttamente nel conflitto, un approfondimento è dedicato al fotografo cecoslovacco Josef Sudek.
La guerra è raccontata non solo come esperienza vissuta in prima persona, ma anche come pensiero ricorrente nella ricerca di molti artisti come Lida Abdul, Enrico Baj, Alberto Burri, Alighiero Boetti, Paola De Petri, e molti altri ancora.
Vengono inoltre presentate le migliori produzioni di alcuni artisti inediti al pubblico italiano come la serie completa delle 15 xilografie di Sandow Birk che misurano oltre due metri e mezzo l’una. Birk narra la guerra in Iraq rifacendosi alle 18 xilografie del ciclo Les Grandes Miséres de la Guerre di Jaques Callot (1633) alle quali si ispirò anche Farcisco Goya per la realizzazione dei famosi Desastres de la Guerra (1810-1815) sulla Guerra d’indipendenza spagnola.
Sono inoltre esposti l’intera serie House Beautiful: Bringing the war Home di Marha Rosler, una tra le più note riflessioni sul rapporto fra Guerra e media; Atlantic Wall di Magdalena Jetelovà, installazione fotografica sui bunker della Seconda guerra mondiale, ispirata ai temi del filosofo francese Paul Virilio e l’istallazione Picnic o il Buon soldato di Fabio Mauri con la quale l’artista aveva creato una sorta di natura morta utilizzando reperti originali e di uso comune del periodo bellico.
Infine è straordinariamente esposto, per la prima volta dopo il recente restauro, Guerra-Festa di Fortunato Depero, proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma.
Se la guerra che verrà non sarà la prima, non è detto che il peggio sia alle nostre spalle. Rinchiuderci, adagiarci nell’acquiescenza e nell’indifferenza, pensare solo al prossimo breve momento non è una soluzione.
Le opere degli artisti ci invitano a farci carico di ciò che avviene; in posta c’è la possibilità di combattere la passività generalizzata e l’isolamento, di vincere l’apatia e l’indifferenza. Occorre evitare il rischio della rimozione e tenere alta la soglia di attenzione, e intraprendere una riflessione che è anche confronto stringente con noi stessi: per renderci conto di cosa siamo, di come si cambia e di cosa persiste; della nostra finitudine e del nostro oscuro.
Maria Paola Forlani