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Matteo Moca. “L'ora di lezione” di Massimo Recalcati
05 Ottobre 2014
 

L'ultimo (ma chissà per quanto rimarrà tale) libro di Massimo Recalcati (psico-star degli ultimi anni, ha pubblicato libri che spaziano tra i più diversi argomenti con una cadenza ultimamente più che annuale) si intitola L'ora di lezione ed è uscito qualche settimana fa per Einaudi (ennesima casa editrice che pubblica un suo libro dopo Feltrinelli, Minimum Fax, Raffaello Cortina e tanti altri; ci sarebbe da aprire un'altra parentesi su questo ma non è il caso di farlo qui). Tutta questa introduzione non è una denigrazione del pensiero di Recalcati che ha comunque avuto un ruolo molto importante nella diffusione della psicoanalisi e dei problemi ad essa legati (giusto per fare qualche titolo Ritratti del desiderio, Elogio della psicoanalisi e Cosa resta del padre) e nel rendere (almeno) noto il nome di Lacan, provando nell'impossibile, ma mirabile, impresa di sdoganare il suo nome, con opere che però non sempre si allineano agli insegnamenti del maestro (abbastanza sincero però il volume sullo psicoanalista francese del 2012).

Ma siamo qui a parlare del suo ultimo libro e non della sua carriera, pur essendo utile questa velocissima rassegna per capire il personaggio. L'ora di lezione è uno dei tanti libri sulla scuola che ultimamente stanno affollando gli scaffali delle librerie; anche questo è un segnale importante (pur trovandosi davanti di tutto, più cose brutte che belle). Senza mettersi a fare inutile retorica, la scuola di oggi ha bisogno di questa visibilità, ha bisogno di riscoprirsi, di tornare al compito di educazione per cui è nata; oggi tutte queste funzioni si sono perse ma non solo per colpa della scuola in sé; è un circolo difficilmente identificabile che include genitori, studenti, professori fino ad arrivare a chi la scuola la dovrebbe amministrare e rinnovare. Una visibilità che però deve essere coniugata ad un'intelligenza speculativa che sempre di più manca ai libri di questo genere che stanno uscendo. Il libro di Recalcati non aggiunge nulla di nuovo alla discussione ma ha comunque un merito non da poco; riesce a dare al lettore la consapevolezza dello stato in cui la scuola (e anche l'insegnamento) si trova e, se la lettura riesce ad entrare in profondità, a pensare a come invece dovrebbe essere. Uno dei punti più importanti, e infatti Recalcati ne parla in apertura del libro, è quello che riguarda il fine che la scuola sembra aver assunto oggi: una scuola che hanno voluto sempre più simile ad un'azienda, una scuola in cui non esiste più quell'erotica dell'insegnamento di cui parla Recalcati, ma che si basa sull'unico scopo di formare una classe di futuri uomini preparati per il mondo del lavoro (e verrebbe da chiedersi: quale?). Va bene lo sviluppo, va bene lo stare al passo coi tempi, ma è questa la scuola che realmente serve? Non è invece necessario lo stile lacaniamente inteso? Il libro lo suggerisce: «ogni insegnante insegna a partire da uno stile che lo contraddistingue. Non si tratta di tecnica né di metodo». Questo non vuol dire ovviamente che la libertà deve essere in mano ai maestri e ai professori in maniera incondizionata, vuol dire però che un automatismo dell'insegnamento è quanto di più dannoso l'educazione possa avere oggi. Anche di fronte alla lacaniana perdita-del-nome-del-padre è necessario un simile ripensamento. I maestri, gli educatori e i professori non sono più visti come trasmettitori di sapere ma come delle semplici macchine datrici di voti (e qui Recalcati indaga anche le dinamiche delle famiglie di oggi).

Quali le conclusioni di Recalcati? Come probabilmente è giusto, non ne vengono esplicitate, anche perché probabilmente non ce ne sono. Ci sono tanti spunti, tanti appigli su cui agganciarsi per partire verso una sorta di ri-responsabilizzazione della scuola. Il discorso del libro si articola intorno a nomi pesanti (Platone, Nietzsche, Lacan e Deleuze, lasciando però da parte personaggi fondamentali della cultura italiana come Don Milani e Bruno Ciari su tutti) che hanno lo svantaggio di appesantire inutilmente il discorso, confondendo un po' la mente del lettore comune e andando poi a pesare sulla classificazione del libro: per esperti? Per tutti? Per studenti? Uno stile più lineare avrebbe sicuramente giovato ad un discorso che, in più punti, si fa eccessivamente lacunoso e aggrovigliato.

 

Matteo Moca


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