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Gianfranco Cercone. “Pasolini” di Abel Ferrara: troppo esatto per essere vero
30 Settembre 2014
   

Il film che Abel Ferrara ha dedicato a Pier Paolo Pasolini, ha dato origine a controversie intorno alla questione se questo Pasolini corrisponda a meno al Pasolini “storico”; se tradisca, se non le sembianze, lo spirito del personaggio.

È una questione che è del tutto legittimo porsi purché sia chiaro che essa non riguarda la riuscita artistica del film. Da un punto di vista estetico, ciò che si richiede al personaggio di un’opera narrativa è di essere in sé “vivo” e vero. Per questo ammiriamo Paolo e Francesca di Dante, o il Giulio Cesare di Shakespeare o il Kane di Quarto potere di Welles: senza che vogliamo o possiamo stabilire se quei personaggi corrispondano o meno alle figure storiche che li hanno ispirati.

Ferrara non ha costruito un tradizionale film biografico. Il suo racconto – o forse sarebbe meglio dire: la sua cronaca – si appunta quasi soltanto sull’ultimo giorno di vita di Pasolini: dal momento del risveglio nella sua casa all’EUR, dove conviveva con la madre e la cugina, fino al suo incontro notturno, amoroso, con Pino Pelosi, che si concluderà, come è noto, con il suo assassinio, ad opera, si vede nel film, di teppisti ignoti.

Tra questi due momenti, lo scrittore rilascia un’intervista a Furio Colombo – quella bellissima intervista sulla violenza crescente nell’Italia degli anni Settanta, che nel titolo, suggerito da Pasolini stesso: “Siamo tutti in pericolo”, contiene uno straordinario presagio della sua morte; pranza con la sua amica Laura Betti, reduce dalle riprese di un film di Jancsò (Vizi privati, pubbliche virtù) che lei spiritosamente commenta; lavora alla macchina da scrivere al romanzo Petrolio; riordina le bozze dell’intervento che avrebbe dovuto pronunciare al Congresso del Partito Radicale; va a cena con Ninetto Davoli e sua moglie e prende in braccio il loro bambino; perlustra in macchina, da solo, gli ambienti intorno alla stazione Termini.

Mi soffermo su questi dettagli per suggerire la qualità, ma anche il limite, del lavoro di Ferrara. Si tratta di una ricostruzione attentissima, appassionata, dell’ambiente familiare di Pasolini; dei luoghi che frequentava; delle parole che quel giorno si ricorda che abbia pronunciato.

Ma a forza di esattezza cronachistica, questo Pasolini dà l’impressione, purtroppo, di un cadavere accuratamente imbalsamato; e non certo per colpa dell’ottimo attore che lo ha interpretato: William Dafoe (a cui si accompagnano altri buoni o grandi attori. Un nome per tutti: Adriana Asti nel ruolo della madre). È che, probabilmente per una soggezione dovuta all’ammirazione, Ferrara non ha osato prestare al protagonista i propri sentimenti, o almeno un aspetto della propria vita interiore: quel prestito necessario a rendere vivo un personaggio, anche a costo di tradire la fedeltà storica.

Il film visualizza l’immaginazione di Pasolini mentre pensa al suo nuovo film (Porno-teo-kolossal) o mentre scrive Petrolio.

Gli squarci del Porno-teo-kolossal messi in scena da Ferrara, mi hanno dato una stretta al cuore. Di quel film resta un “trattamento”, cioè un racconto dettagliato, bellissimo (mi riprometto di dedicarvi un articolo), che qui risulta alquanto immiserito.

Migliori invece le immagini da Petrolio. Il protagonista di quel romanzo incompiuto, integrato nei salotti buoni romani, tanto eleganti quanto sordidi e corrotti; che poi cerca la degradazione e l’annientamento di sé attraverso il sesso, trova a momenti nel film una felice visualizzazione, nella quale si ritrova il talento di Ferrara: un autore che in tanti, credo, abbiamo apprezzato e amato per altre sue opere.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 29 settembre 2014)


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