Nel suo viaggio di ritorno dalla Corea papa Francesco, conversando con i giornalisti, ha parlato di un mondo nel quale si sta combattendo «una terza guerra mondiale, anche se a pezzi». Mi sembra una espressione azzeccata, che definisce con efficacia quanto succede. In Ucraina tuonano i cannoni, le bombe uccidono militari e civili, non mancano incursioni di carri armati e di aerei da combattimento (ma chi pensava che covasse un simile fuoco sotto la cenere?). In Afghanistan si combatte una guerra che non finisce mai. Nel Vicino Oriente – altra faida infinita – tra Israele e Palestinesi continua a scorrere un fiume di odio e di sangue. Iraq, Siria e Libia sono in fiamme. Città che vantano una secolare tradizione di civiltà come Damasco, Baghdad e Algeri sono travolte da ondate di inaudita violenza. I tagliatori di gole dell'Isis, quelli che tra le altre cose vogliono proibire lo studio della filosofia e della chimica perché «non sono in linea con le leggi di Dio», avanzano tra Siria e Iraq con il loro carico di sanguinario fanatismo.
Non si può non pensare a tutto questo. Non c'è telegiornale che non porti nelle case del mondo scene di distruzione e di morte. Colpiscono con tragica forza le immagini dei bambini uccisi, feriti e mutilati, innocenti vittime di una volontà omicida che si esalta nella follia e nel sangue.
Che fare? Intanto dobbiamo dire che forse ci siamo cullati troppo a lungo nell'illusione che, dopo le guerre mondiali del secolo scorso, avremmo avuto in Europa un periodo di pace pressoché senza fine. Ma la storia continua e il mondo non finisce in Europa, dove pure non tutto è filato e sta filando liscio: basti pensare a quanto è successo negli anni novanta nella ex Jugoslavia o a quanto sta attualmente avvenendo, come si diceva, tra Russia e Ucraina. In Africa poi i punti caldi, e non sto parlando del clima, sono più che mai numerosi. In Nigeria i fanatici di Boko Haram, che vogliono instaurare lo stato islamico (la sharia), fanno stragi di cristiani nel nord del paese, bruciano chiese, uccidono a sangue freddo cristiani e non, sequestrano le donne, diffondono ovunque morte e terrore. Nella Repubblica Centroafricana, così come in Ruanda e in Burundi, rialzano ogni tanto la testa gli odi tribali che hanno portato alle stragi di venti anni or sono. Nel Corno d'Africa, particolarmente in Somalia, ma anche nelle vicine Eritrea, Etiopia e Kenya, fanatismo e violenza la fanno da padroni ormai da decenni.
Che fare allora? Io penso che le grandi potenze che dominano la scena del mondo con il loro strapotere politico, economico e militare, Usa, Russia, Cina, ecc., dispongano di tutti i mezzi per impedire tanto male, basta lo vogliano. Ma non lo vorranno fino a quando continueranno a mettere l'interesse per la giustizia e la pace dietro gli egoismi nazionalistici e le brame di potere (economico, politico, ecc.).
Venti anni fa, non lo dico io ma lo scrisse in un suo libro (J'ai serré la main du diable) il colonnello canadese Roméo Dallaire testimone oculare del genocidio, sarebbero bastate poche centinaia di soldati Onu in più per impedire il massacro del Ruanda che provocò in neppure quattro mesi ottocentomila (!) morti. Dobbiamo riflettere su queste cose. E anche l'Italia, che pure non è una grande potenza, potrebbe far sentire con maggiore forza la sua voce nelle sedi internazionali. Oggi il mondo sta diventando sempre più piccolo e non si può rimanere alla finestra, indifferenti e inerti, a guardare quanto avviene intorno a noi. Le innocenti vittime della violenza, a cominciare dai bambini, ci guardano e chiedono con i loro occhi il perché di tanta follia. Gli uomini di buona volontà devono dare una risposta alle loro domande. I governi devono considerare la necessità di rafforzare le organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Onu, perché possano finalmente intervenire immediatamente ed efficacemente là dove c'è bisogno. L'uso della forza non può e non deve essere escluso. Una forza sostenuta da una giurisdizione sovrannazionale che provveda a fermare quanti vogliono imporre con la violenza il loro dominio. È giunto il momento di mettere da parte tante ipocrite limitazioni, magari codificate in un diritto internazionale ormai superato dai tempi, e agire come possono agire le forze dell'ordine all'interno di uno stato nazionale per impedire crimini e genocidi in qualsiasi angolo del pianeta. I mezzi ci sono. Manca soltanto la buona volontà.
Gino Songini
(da 'l Gazetin, settembre 2014)