Giovedì , 21 Novembre 2024
VIGNETTA della SETTIMANA
Esercente l'attività editoriale
Realizzazione ed housing
BLOG
MACROLIBRARSI.IT
RICERCA
SU TUTTO IL SITO
TellusFolio > Critica della cultura > Telluserra
 
Share on Facebook Share on Twitter Share on Linkedin Delicious
Giuseppina Rando. L’America dei miracoli
Le sculture di Filippo Bentivegna nel Giardino incantato di Sciacca (Agrigento)
Le sculture di Filippo Bentivegna nel Giardino incantato di Sciacca (Agrigento) 
10 Settembre 2014
 

La trazzera scoscesa e con sassi, frasche e frequenti fossi rendeva il percorso ancora più lento e faticoso. In alcuni punti vi erano dei veri e propri dirupi e la donna, avvolta in uno scialle, un tempo nero, ora striato dal verde-rame al grigio, seguiva a fatica il ragazzo che, invece, con agilità superava ogni ostacolo e non solo per l’età, (aveva appena quindici anni) ma anche per quella gioia che da qualche giorno aveva preso tutto il suo essere: partire, andare lontano, dallo zio Turi, in America.

Indossava il vestito delle feste, ma ancora con la fascia nera al braccio per il lutto del padre, morto durante una rivolta contadina, organizzata dai “Fasci dei lavoratori”. In testa portava un berretto, all’interno felpato e di cotone ruvido, all’esterno a quadretti bianchi e neri, confezionato dalla madre, donna Rosa perché in quelle terre lontane e sconosciute, il suo Filippo avesse qualcosa del calore materno.

Era ottobre inoltrato e già un gelido vento spirava dal Monte S. Calogero: ma né madre né figlio, presi dai propri pensieri, pareva ne provassero fastidio.

L’alba era spuntata da poco e ancora dovevano fare molta strada. Il treno partiva alle ore otto.

Come bagaglio il ragazzo aveva soltanto un fagotto con dentro qualche indumento intimo.

Alla stazione del paese l’attendeva Michele, figlio di comare Nunzia, sua madrina di battesimo.

Filippo e Michele, insieme, avrebbero affrontato il lungo viaggio per gli Stati Uniti. A New York, allo sbarco, l’accoglienza di alcuni compaesani e poi i due sarebbero andati a Boston, dove lo zio Turi e il padre di Michele lavoravano già da qualche anno ad una linea ferroviaria.

Donna Rosa, vedova ormai da più di dieci anni, viveva, anzi sopravviveva alla miseria e alla rinuncia; malaticcia, poteva fare solo qualche servizio presso la bottegaia della contrada di S. Calogero. Da quando il cognato Turi era andato a cercar fortuna in America, ogni tanto arrivavano, tramite il parroco, dei denari, ma bastavano a stento per le medicine. Filippo, aveva appena sette anni, quando cominciò a lavorare come incartatore in un magazzino d’agrumi; così portava a casa qualcosa come una pagnotta o una gallina. Non andò mai a scuola, anche perché la più vicina era a Sciacca e là andavano solo i figli dei ricchi. Adesso Filippo era felice perché lasciava la sua misera terra di limoni e di aranci e andava verso quell’altra che tutti descrivevano come il paradiso in terra.

Intanto madre e figlio, per vicoli a scalini, malamente acciottolati, sudici, maleodoranti, erano già arrivati nei pressi della stazione. Michele era già là ad attenderli, seduto sullo scalino della soglia della bottega di don Melo, l’unico fabbricatore di pasta al tornio del paese.

Il pastaio, dal volto solcato da profonde rughe, già al lavoro, stava portando fuori dalla bottega buia come un antro, i cavalletti e la pasta stesa sulle canne per asciugare. Appena vide donna Rosa si affrettò ad andarle incontro, salutarla e dirle una parola di conforto, visto che stava per separarsi dall’unico sostegno e conforto.

– Buon giorno, donna Rosa, coraggio! Vedrete che Filippo in America farà fortuna e vi ricompenserà di tutti gli strazi che state soffrendo.

La donna, a quelle parole, si sentì come rinascere, come se una mano benevola gli togliesse dal cuore il macigno che l’opprimeva. Si fermò e abbracciò Michele che si era alzato per andarle incontro. Intanto il pastaio, assumendo un atteggiamento da profeta, continuava:

– Onorerà la memoria di suo padre, morto per difendere il lavoro e la povera gente. Sta cambiando il vento… donna Rosa! Ora sappiamo far valere i nostri diritti, è finito il tempo di chiedere e di sperare nella carità degli altri.

La donna in silenzio si asciugava le lacrime che scendevano sul pallido volto, ancora giovane e bello, anche se velato da tristezza e un po’ alterato nei lineamenti, nei suoi occhi neri, però, pare che quelle parole avessero acceso un lampo di speranza.

Lentamente i tre s’incamminarono verso la stazione da dove proveniva un vociare, sempre più intenso. Sullo spiazzo della stazione, accanto ai binari c’era un folto gruppo di uomini e ragazzi, una trentina, che quella mattina attendevano il treno per Palermo da dove si sarebbero imbarcati sul piroscafo per New York.

L’unica donna, presente a quella partenza, era lei, donna Rosa, le altre avevano salutato i loro uomini a casa. Si strinse a sé il ragazzo e rimase così, fin quando Michele non glielo strappò con furia, dicendo: – Ora basta! Si parte, finalmente!

Il treno si mosse lentamente, gli sbuffi di vapore dalle rotaie in moto, avvolsero la nera e statuaria figura della donna che, non si sa per quanto tempo, rimase immobile a guardare fissa verso quel punto in cui il treno scomparve. Il vapore si mutò in nebbia che si sollevò al lieve soffio del vento per unirsi al corteo di altre nuvole grigie, in cielo.

Era il 30 ottobre del 1903.

 

A Boston Filippo fu accolto in casa dello zio Turi, fratello del padre, che lo inserì nel lavoro della linea ferroviaria che doveva collegare Boston ad Augusta.

Lavoro duro e pesante che il ragazzo, asciutto e scostante, affrontò sempre con lena e coraggio.

Dopo qualche anno, però, in seguito ad una bronchite il suo fisico ne risentì e fu costretto a cambiare, prima fece per diversi mesi il cardatore, presso un lanificio e in seguito si adattò a tutti i mestieri, dal cuoco al barbiere.

Riuscì così a pagare, in un tempo inferiore a quello previsto, il debito che lo zio aveva contratto per il viaggio.

Intanto si era fatto un giovanotto, non alto di statura, ma dall’aspetto piacevole e dal carattere deciso: di fronte agli ostacoli da superare o ad uno scopo da raggiungere non si tirava mai indietro.

La sua apparente tranquillità nascondeva fermezza, solidità e tenace pazienza; l’integrità dei suoi sentimenti si manifestava anche nei rapporti con i compagni di lavoro che avevano per lui una certa forma di rispetto: era sempre disponibile e per questo gli perdonavano la collera che di tanto in tanto l’afferrava.

Uno dei primi obiettivi che si propose da raggiungere fu quello di sganciarsi dai vincoli di sudditanza nei confronti dei vari padroni, avere autonomia e indipendenza e, come ripeteva spesso, ritornare in Sicilia da “padrone” per far felice la madre ed onorare la memoria del padre.

Esaurito il debito, si congedò dalla casa dello zio e prese in affitto due stanze, dove la domenica riceveva pochi amici, introversi come lui, con i quali si perdeva in lunghi, interminabili discorsi sulle disuguaglianze tra gli uomini, sull’ingiustizia, sulle varie forme del “Potere” e tanti altri argomenti che affascinavano le menti di giovani desiderosi di cambiare il mondo.

Orgoglioso, soffriva molto del fatto che non sapeva leggere e scrivere, per cui era costretto a ricorrere ai vari compaesani per inviare sue notizie alla madre, pure lei analfabeta. Era il parroco di S. Calogero che leggeva a Donna Rosa le lettere che arrivavano dall’America e rispondeva puntualmente.

Quando Filippo seppe che si era aperto un corso di lingua americana per gli immigrati nel quartiere New Moon, si iscrisse e lo frequentò con interesse. Fu una sorpresa: i maestri, diversi, parlavano anche l’italiano e per chi era analfabeta nella propria lingua, poteva imparare anche quella.

Filippo non imparò a leggere e scrivere, né in italiano né in americano, ma certamente la frequenza a questa scuola gli cambiò il corso della vita: conobbe altri immigrati e tra questi Tony Alliata con il quale si stabilì subito una corrente di simpatia.

Tony era abruzzese: un giovane intelligente, giunto a Boston con i suoi genitori da pochi anni; sapeva leggere e scrivere in italiano e l’inglese l’aveva imparato da uno zio materno in Italia. Frequentava la scuola solo per approfondire le sue conoscenze e poi era amico di alcuni insegnanti ed allievo dello scultore Gutzon Borglum che, in seguito, sarebbe diventato il direttore dei lavori, nello Stato South Dakota, di quell’originale monumento agli eroi del West e dei busti di quattro presidenti americani, scolpiti nel granito del monte Rushmore.

Leggeva molte riviste e libri di storia sia italiana che americana e mostrava per Filippo tenerezza ed affetto. Lo chiamavano tutti “Tony l’artista” perché amava scolpire in legno e in pietra, dipingeva ed amava la musica. Socievole, esercitava un certo fascino su quanti lo avvicinavano.

Filippo quando era con lui si sentiva rinascere e per questo, tutte le sere, dopo il lavoro, si recava a casa sua, frequentata da altri giovani che condividevano con lui l’amore per la scultura. Per Filippo era un divertimento osservare Tony mentre scolpiva il legno o la pietra. Presto imparò anche lui e, sotto la guida dell’amico scolpì in pietra qualche statua e diversi busti e bassorilievi. La casa di Tony era un vero e proprio laboratorio di artisti e fu qui che Filippo conobbe Marzia, una ragazza di sedici anni, dallo sguardo luminoso, fulminante e dalla voce suadente.

Marzia e Filippo si innamorarono e vissero, per alcuni mesi, momenti di vera felicità.

Filippo contava presentarsi al padre e chiedere la fanciulla in sposa e realizzare così il suo sogno.

Don Vito Lo Castro, invece, molto ricco e uno degli uomini più potenti fra gli italo-americani di Boston, seppe subito dell’ ardente amore dell’unica figlia, ma era di ben altro parere: aveva su Marzia progetti più ambiziosi e, come genero, aveva scelto un giovane politico della città. Tuttavia non contrastò apertamente la ragazza e “alle persone di fiducia”, che gli avevano riferito del fidanzamento segreto, rispose di considerarlo solo un capriccio passeggero della sua bambina.

 

Era gennaio e sera inoltrata. Da diversi giorni nevicava e la città era sotto un manto bianco.

Filippo, intabarrato nel suo cappotto marrone, stava per rientrare a casa, quando all’improvviso, un negro, alto e possente, sbucò dalla siepe accanto al cancello, lo afferrò dalle spalle con le sue enormi braccia e, dopo avergli sferrato alcuni pugni in faccia, lo scaraventò contro un grosso masso, posto accanto alla porta d’ingresso. Il colpo fu violento e il giovane siciliano perse i sensi.

Svenuto e con la testa sanguinante rimase là, tra l’enorme masso e la neve, per tutta la notte. Solo all’alba, soccorso da un passante, fu trasportato in ospedale, dove, a seguito del grave trauma cranico riportato, stette in coma per un mese. Quando si svegliò, le sue facoltà mentali risultarono decisamente alterate: non riconobbe né il cugino Michele né lo zio Turi, le uniche persone che non lo abbandonarono nella disgrazia.

La mente del giovane era come devastata ed aveva cancellato gran parte del proprio passato.

Il sogno d’amore con Marzia, poi, si frantumò in mille pezzi assieme alla sua mente, là su quella pietra che egli stesso aveva trasportato davanti l’ingresso di casa per scolpire una statua alla bellezza di lei.

Lo stesso giorno che fu dimesso dall’ospedale, mentre ancora Michele e lo zio Turi discutevano sul come affrontare quello che i medici avevano chiamato “un lungo periodo di cure per ritornare alla normalità”, si presentarono alla porta di casa di Filippo, due uomini che si dissero essere mandati dal Consolato: gli consegnarono la lettera di rimpatrio, il passaporto e una busta con del denaro.

Nel documento stava scritto: Inabile al lavoro, in seguito ad una accidentale caduta. Obbligo di rientrare in Sicilia. La ditta presso la quale ha lavorato ha provveduto alla liquidazione”.

 

Nel marzo del 1927 Filippo fece rientro al suo paese.

A donna Rosa, sempre più consunta dalla malattia e dal dolore, ormai vicina alla morte, l’America dei miracoli aveva restituito un figlio che non la riconosceva, un figlio che non l’ha più chiamata “mamma”, un figlio che diceva essere un giorno Napoleone, un altro Garibaldi, un altro ancora Giulio Cesare, un figlio in perpetuo delirio che stava sempre a scavare, nel grande podere che si era comprato con i soldi portati dall’America.

Scavava e scavava cunicoli sotterranei e scolpiva “teste” nelle pietre che accatastava fino a formare delle altissime piramidi.

La sua mente si era sgretolata come la pietra sotto i colpi delle scalpello, mantenendo, però, la capacità creativa nell’intento di costruire un monumento al Potere.

– È la testa che comanda! – ripeteva nei lunghi monologhi con le pietre del suo giardino.

La sua mente si era sgretolata in schegge di delirio persecutorio e di mania di grandezza:

– Sono il re della terra! – gridava girando per le strade del paese con in mano un corto bastone, quasi a mo’ di scettro.

Senza interruzione, dal rientro in patria fino alla morte, avvenuta nel 1967, scolpì più di tremila teste che “coltivava” come fossero frutti della terra al pari delle olive e degli ortaggi.

Tremila teste dall’espressione una diversa dall’altra: c’era il volto arcigno e severo, quello inquietante, quello dolce e sereno. Tra i volti a lui familiari, che chiamava per nome e con i quali parlava per ore e ore, vi erano anche – diceva lui – re, papi, imperatori, c’era Benito Mussolini e non poteva mancare Adolfo Hitler.

Tra tante teste, nessuna Filippo chiamò mai Marzia.

 

– Mi rispondono – dice ai curiosi e visitatori, sempre più numerosi – mi parlano, non sentite le voci? Questo è un giardino incantato. Quella testa in alto, a destra, è quella di Tony Alliata, mio grande amico. Sentite come parla bene? Sentite che dice?:

– Nella testa c’è l’intelligenza e l’intelligenza è ciò che distingue l’uomo dagli animali, l’intelligenza è l’unica forma di godimento che nessuna altra persona o cosa possono dare. L’intelligenza soltanto può dare tutto.

E Filippo: – Sì, Tony, è proprio vero! Per questo voglio vivere in mezzo a tante teste, io voglio vivere in mezzo a tante intelligenze!

La voce di Tony pare risuonare, per incanto, nel giardino: – L’intelligenza, però, è anche una trappola e tu lo sai… Filippo... o... o... o… anche l’intelligenza, prima o poi, muore!

L’eco ripete: muore… uore… ore… r... e… e... e.

– No, replica Filippo, io non muoio… vedi che scavo… e scavo... nel cuore della Madre Terra voglio tornare e là mai, mai, mai morirò!

 

Giuseppina Rando

 

 

Tratto da Nel segno, Pungitopo, Marina di Patti (Me), 2010 – Premio letterario “Città di Offida - Joyce Lussu” 2011 (Sesta edizione)


Foto allegate

Articoli correlati

  Vetrina/ Giuseppina Rando. Si fa scrittura la mano
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Va la barchetta all’alba...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Leggera l’ombra...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. L'angelo della sera
  Vetrina/ Giuseppina Rando. … nel muto disfacimento...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non sapeva il bambino dagli occhi neri...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Sgomenta l’aggirarsi...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Voci
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Consummatum est
  Giuseppina Rando. Le belle parole
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. Urla squarciano il silenzio...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Adesso abiti dove...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Controvento
  Vetrina/ Giuseppina Rando. sequenza
  Vetrina/ Giuseppina Rando. chiuso tempo del cerchio
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Allo scoccare dell’ora...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Del buio della terra...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Una fila di foglie acuminate...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. S’adagia sonnolenta...
  Giuseppina Rando. Un clone
  Vetrina/ Pina Rando. ingiustizia dei giusti
  Vetrina/ Giuseppina Rando. parvenze di giorni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. All’alba
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Tempo
  Vetrina. Giuseppina Rando. Geografie dell’io
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Corpo e mente afflizione...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Danza sotto il cipresso...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nastro di memoria...
  Giuseppina Rando. La pietas di Antigone
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Luce altra
  Giuseppina Rando. Covid 19: “lectio magistralis”
  Giuseppina Rando. Movide selvagge del “bel paese”
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Soffocate dallo scirocco
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Mutazione
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Il silenzio della fine...
  Barcellona Pozzo di Gotto. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando alla Biblioteca N. Di Giovanni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Tetra luce...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. E quel che è peggio
  Giuseppina Rando. Si riaprono i cancelli delle scuole, finalmente!
  Giuseppina Rando. Sulla statua di Indro Montanelli
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Traversata infinita
  In libreria/ Patrizia Garofalo. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. l’ordine dell’esistere.
  Vetrina/ Giuseppina Rando. analfabeta
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. Dal monte a valle saette...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. S’apre il sipario...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. La realtà è inganno
  Vetrina/ Giuseppina Rando. ancora
  Vetrina/ Giuseppina Rando (Due inedite poesie)
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A Mario Luzi
  L’almanaccone impertinente. Tellus 34-38
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Vertigine mortale
  Vetrina/ Giuseppina Rando. In processione...
  In libreria/ Pasquale Matrone. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non odo più parole
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Trasparenze
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Stelle marine
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Albero stecchito...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Ala di sogno
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Gli anni bianchi
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non abita il tempo...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Del dire indicibile...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Resiste il corpo alla ferita...
  In libreria/ Giuseppina Rando. L’altra letteratura contemporanea siciliana di Carmelo Aliberti
  Premi e concorsi/ Giuseppina Rando. Vuoto
  Vetrina/ Pina Rando. Di te
  Giuseppina Rando. Un alito metafisico
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Strugge la caducità...
  Giuseppina Rando. Sensibilità e delicatezza
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Trovino rifugio le lacrime
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A notte – al gelo...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Occhi aperti non videro
  Vetrina/ Pina Rando. Esistenza che s’attarda...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nella notte sempre più notte...
  Giuseppina Rando. Misura
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Se il presente colorando...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Immane tu
  Giuseppina Rando: Nota a margine su “Pudore” di Angelo Andreotti
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Acqua di gora ti inchioda
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Altalena di giorni...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Sul veliero...
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. S’è spenta la luce...
  Giuseppina Rando. Voci di mare
  Vetrina/ Pina Rando. Nella nebbia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nel variar di vento...
  In libreria/ Domenico Pisana. In punta di libro…
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A sera
  Patrizia Garofalo. Le belle parole di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nel vuoto domenicale...
  Giuseppina Rando. Guerra in tempo di pace
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Invisibile quel fuoco...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Uragano
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Due poesie di stagione
  In libreria/ Pina Rando. Verità
  Pina Rando. A Patrizia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Ogni istante si muore...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. vittima innocente
  Pina Rando. Distacco
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Fuoco spento
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Eterna sinfonia
  In libreria/ Ginevra Grisi. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. A notte basta un soffio...
  Giuseppina Rando. Il fantasma di Dora
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Fluidoandare
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Oro filato
  In libreria/ Pina Rando. Attesa
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Némesis
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Ofelia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Vaga sui tetti...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nel labirinto di parole
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Necessità di vita
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Follia di sole
  Flavio Ermini. Esistenza e libertà
  Vetrina/ Parvenze. Giuseppina Rando con Gianluca Moiser
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Piccola silloge senza dedica
  In libreria/ Domenico Pisana. “Pianeta donna”
  Vetrina/ Giuseppina Rando. danza magica
  Vetrina/ Giuseppina Rando, Ada Negri. Riflessioni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Dilata la giostra...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Verso l'ignoto
  Vetrina/ Giuseppina Rando. La deriva
  Giuseppina Rando. L’artista pellegrino
  Vetrina/ Giuseppina Rando. I lager non sono mai finiti
  Giuseppina Rando: Nota a margine su “A un passo” di Angelo Andreotti
  “Bioccoli” di Giuseppina Rando in Limina di Anterem Edizioni
  Vetrina/ Giuseppina Rando. In basso continuo
  Vetrina/ Giuseppina Rando. La lucciola
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Non cessa la vendetta
  Patrizia Garofalo. Dei Bioccoli di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Mormora il vento
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Da stazione marina...
  Premi e concorsi/ Poesia e prosa: i vincitori del “Lorenzo Montano” XXXI edizione
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Odore d’abisso...
  Spigolature/ Giuseppina Rando. Solitudine o isolamento?
  In libreria/ Giuseppina Rando. Geometria della rosa
  In libreria/ Angelo Andreotti. “Geometria della Rosa” di Giuseppina Rando
  Giuseppina Rando. Etica e valori sociali
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Smarrito il codice...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Resiste al disincanto...
  Giuseppina Rando. Era un angelo
  Giuseppina Rando. Rifrangenze
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Bianca salmodia del silenzio
  Piera Isgrò. Le belle parole di Giuseppina Rando
  In libreria/ Guglielmo Peralta. “Geometria della rosa” di Giuseppina Rando
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Il gioco dei dadi...
  In libreria/ Giuseppina Rando. Geometria della rosa
  Giuseppina Rando. La paura
  Giuseppina Rando. I dipinti di David
  Vetrina, In libreria/ Giuseppina Rando. Camminano i sogni...
  Giuseppina Rando. Il dire poetico di Dylan Thomas
  Giuseppina Rando. Empatia
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Oltre la pietra la voce
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Luce blu
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Sull’isola del silenzio (con Patrizia Garofalo)
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Fioriscono tra le mani...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Come cervi assetati larve umane...
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Nei giorni tiepidi di quest’inverno...
  Giuseppina Rando. Noi e il tempo
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Variazione in gioco
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Al poeta Ashraf Fayadh*
  Vetrina/ Giuseppina Rando. la mia alba
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Incompiuta
  Vetrina/ Giuseppina Rando. Come l’erica
  Vetrina/ I maledetti. Giuseppina Rando con Patrizia Garofalo
  In libreria/ Geometria della rosa di G. Rando. Nota di Claudia Vazzoler
  Vetrina/ Pina Rando. Il volto
  Giuseppina Rando. Sulla noia
 
 
 
Commenti
Lascia un commentoNessun commento da leggere
 
Indietro      Home Page
STRUMENTI
Versione stampabile
Gli articoli più letti
Invia questo articolo
INTERVENTI dei LETTORI
Un'area interamente dedicata agli interventi dei lettori
SONDAGGIO
TURCHIA NELL'UNIONE EUROPEA?

 70.7%
NO
 29.3%

  vota
  presentazione
  altri sondaggi
RICERCA nel SITO



Agende e Calendari

Archeologia e Storia

Attualità e temi sociali

Bambini e adolescenti

Bioarchitettura

CD / Musica

Cospirazionismo e misteri

Cucina e alimentazione

Discipline orientali

Esoterismo

Fate, Gnomi, Elfi, Folletti

I nostri Amici Animali

Letture

Maestri spirituali

Massaggi e Trattamenti

Migliorare se stessi

Paranormale

Patologie & Malattie

PNL

Psicologia

Religione

Rimedi Naturali

Scienza

Sessualità

Spiritualità

UFO

Vacanze Alternative

TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
Sede legale: Via Fontana, 11 - 23017 MORBEGNO - Tel. +39 0342 610861 - C.F./P.IVA 01022920142 - REA SO-77208 privacy policy