Qualcuno arriva a casa tua, ti ha procurato un “tesoro”, “roba forte”, la registrazione di alcuni amici che, con un bicchiere di troppo a una festa come tante, straparlano di te.
Che cosa si prova? Che cosa fai? Come riprenderai la tua vita sociale d’ora in avanti?
Quante volte è capitato di descrivere ad alta voce i difetti dei propri genitori, di fratelli e amici… perfino i propri, confessati tra le lacrime nel letto di un amante o al buio nella stanza di un’amica all’alba sregolata di un sabato.
Ah! Ma sentire questo battaglione di fratelli trovare le parole perfette per fare a pezzi con sarcasmo ciò che sei diventata, ti dà l’impressione che il tuo mondo finisca in quell’istante o, magari, è un bel modo per invitarti a sbattere la porta e fuggire da uno spazio chiuso e asfissiante.
Demoralizzarsi? Cedere? Allontanarsi dal resto? Isolarsi? Ammutolirsi? Sssssssssh!
Perché ce l’avrebbero portato a casa? Con quale scopo vogliono farci il favore di metterci contro i nostri affetti quotidiani?
Come hanno registrato queste voci? Riesci a riconoscere gli accenti, l’ironia è nell’aria, il modo di insistere sulla tua magrezza o sul tuo essere istrionica, le tue paure, i tuoi punti deboli, i tuoi fallimenti personali, ma soprattutto: il tuo passato.
Da dove le ha tirate fuori questo compagno? È un caso che sia arrivato fino a qui con la sua bomba tra le mani? Dovrebbe farci piacere? Sei una cattiva persona? Ti sei comportato così male nella vita da provocare questo? Non ti sei dimostrato abbastanza amico dei tuoi amici?
Non è questo un modo di violare l’individualità di molte persone? Non è un modo di ferire la sacrosanta intimità degli altri? Non si tratta di un decalogo o un diritto violato nella divina, fragile condizione del vissuto dell’uomo?
Quando diavolo ti è importato di ciò che dicono di te?
Questo signore è un amico o un inviato?
No, non ringraziare chi ti fa questo favore. Gli chiedi di uscire immediatamente da casa tua, lo cancelli dalla tua vita, lo respingi per quello che è, un traditore; ma ormai è tardi, hai sentito già tutto.
E il resto dei tuoi amici? E le altre feste insulari? E le autorità? E tu, con te stesso? Dove sei?
Osservi il tuo salotto, frughi nella stanza, cammini nella cucina, analizzi la geografia della tua intimità. Non crederai di poter essere dispensata da questa operazione, vero?
Dove hanno messo i tuoi microfoni? Dove sono?
Nei quadri, nelle decorazioni, nel tuo orologio, nel cellulare, nell’impianto stereo. O… veramente credi che non ti spiino?
Dicono che questo accada in tutti i paesi del mondo e che si tratti di salvaguardare la sicurezza nazionale. Sono affari di stato, alta politica di protezione cittadina.
E io, chi sono? Una donnina esile “scribacchiacose” che non può combattere contro il proprio destino, figuriamoci con la sicurezza o l’integrità nazionale.
Ti registrano le comunicazioni telefoniche e ti archiviano fino a essere certi che tu non sia un pericolo pubblico. Passeranno 30 anni, la tua voce cambierà, perderai i tuoi cari, la finiranno con te. Per che cosa?
Dove è rimasta intrappolata la mia voce l’ultima volta? Che cosa ho detto dei miei? A chi ho fatto del male senza volere con le parole o le azioni pubbliche-private? Sarò o sono stata colpevole di un simile dolore?
Vado al prossimo incontro tra amici, bevo lentamente, ballo affabile tra le braccia di qualche sconosciuto, parlo poco, facendo attenzione alle parole, guardandoli recitare davanti a me come se mi volessero bene, come se le loro parole non avessero mai mutilato il mio corpo e la mia anima.
Ce l’hanno fatta: dividere un altro gruppo di amici, un altro gruppo di intellettuali sciolto, fratelli sparsi di fronte alla delazione, tutto nel nome del niente, quel niente diviso in parti uguali. Disseminato per separare e vincere.
Dove si trovano i microfoni per strapparli una volta per tutte? Dove sono?
Non possiamo saperlo. Me lo può forse dire il compagno che registra le conversazioni telefoniche? Alzo il ricevitore e gli domando: dove avete messo i microfoni?
In realtà il vero microfono, dopo anni passati a parlare sottovoce e a rinunciare a dire ciò che si pensa, il vero dispositivo vive già dentro te.
Wendy Guerra
(Habáname, 5 settembre 2014)
Traduzione di Silvia Bertoli