Natalia ha gli occhi meravigliosi, celesti come il colore della bandiera con cui è avvolta. L’abbraccio tra di noi dura qualche istante ed è sincero e intenso, come se ci conoscessimo da una vita, mentre è la prima volta che ci incontriamo. Sono in Lazio per alcuni importanti incontri di dialogo interreligioso; un fine settimana costruttivo, indimenticabile, con un confronto tra cuori e menti prima ancora che tra ideologie e diversità. Domenica salta l’ultimo appuntamento e così, invece di tornare a casa, decido di fermarmi per godermi la città eterna.
A Piazza San Pietro la messa è appena finita quando arrivo. Ci sono persone da tutto il mondo. A un certo punto si sente di nuovo il suono del microfono e la gente guarda in alto. Si affaccia Papa Francesco per benedire la partita interreligiosa che ci sarebbe stata l’indomani. È un tripudio di applausi e fotografie. Anche la mia Nikon è tra le fortunate a immortalare quel momento. Nulla accade per caso. Questo fuori programma è in sintonia con l’andamento del weekend.
Avviandomi verso la stazione, di fronte alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli noto una piccola folla di persone con le bandiere giallo celesti, i colori dell’Ucraina. Stanno manifestando contro Putin e la sua invasione. Stanno manifestando per la libertà e la vita nel loro Paese. Stanno manifestando per gli innocenti che vengono uccisi. Stanno avviando una campagna di sensibilizzazione e solidarietà.
Mi fermo a parlare con loro e quando dico che sono siriana si stringono con affetto intorno a me: «quello che arma il vostro carnefice è lo stesso che uccide i nostri ragazzi», mi dicono. Una signora aggiunge: «Danno la parola a quelli che tagliano le teste per non far sentire la voce delle madri che piangono. Conosciamo questa politica». Esprimo la mia piena solidarietà e condivisione della loro causa e loro fanno altrettanto. Natalia è una delle organizzatrici. Mi spiega che in quella piccola folla ci sono molte madri i cui figli stanno combattendo e morendo per difendere l’Ucraina. I suoi occhi si riempiono di lacrime e istintivamente le dico di farsi forza, di non piangere. «Le nostre lacrime non cadono per terra» mi dice. «Ogni lacrima delle madri ucraine, ma anche di tutte le madri del mondo, è una goccia d’acqua benedetta che va a nutrire la terra dove riposano i morti».
La comunità ucraina di Roma, mi dicono, manifesta tutte le settimane e vuole coinvolgere altri gruppi per far conoscere la sua causa. Mi regalano il bracciale celeste con la scritta Ucraina e io regalo il mio con la scritta Free Syria. Un sodalizio nella speranza di libertà e pace. Sono soprattutto donne a manifestare; molte lavorano come badanti e sono in Italia da sole. La loro dignità è grande.
Guardo quel piccolo gruppo e la mente torna indietro di tre anni e mezzo, quando la comunità siriana d’Italia si incontrava per la prima volta in piazza e manifestava per chiedere la fine del regime. Sembra passata una vita; sono stati mesi logoranti che ci hanno segnato e cambiato per sempre. Dal desiderio della fine della dittatura siamo arrivati a supplicare la fine dei bombardamenti e delle operazioni di terrorismo. Sono cambiate molte cose, siamo cambiati noi. Tre anni ma ci sentiamo invecchiati di dieci. Le notti insonni, il dolore, l’ansia, l’attesa, il senso di impotenza, la confusione, il caos, la paura. Il silenzio del mondo e l’oblio. La nostra incapacità come siriani di fare squadra, di unirci, di volerci bene. Il dolore per l’infanzia violata dei nostri figli. Le lacrime per i nostri morti, per i nostri feriti, per quelle città, quei quartieri, quei monumenti e quei luoghi simbolo della nostra identità che non esistono più. Il dolore per milioni di profughi e sfollati che vivono, anzi sopravvivono come sospesi in un limbo, nell’anticamera dell’inferno, abbandonati a se stessi. E quella piazza… una delle ultime manifestazioni nazionali; una grande foto di Padre Paolo Dall’Oglio in prima fila e le nostre accorate preghiere per il suo ritorno. E la presenza discreta, solare, sincera, accorata di due fiori dai cuori bianchi. Due fiori ingiustamente lontani dal nostro sguardo ma così vicini nel cuore. E l’attesa cresce insieme all’ansia di riaverli qui. Di riaverli presto. Anche questo ha cambiato per sempre le nostre vite. Due fiori che si protendono a te per sollevarti dal dolore con il loro profumo e la loro purezza. Due fiori che diventano tuoi figli e fratelli.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria, 6 settembre 2014)