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Lidia Menapace. Commiato (da Cles)
05 Settembre 2014
 

È un evento importante solo per il mio percorso di vita, ma voglio segnalarlo perché indica un fatto che ha valenza universale, anche se -credo- si manifesta in tutti i quasi infiniti modi dell'essere persone che vivono su questa terra, noto anche prima del sillogismo antico “Tutti gli uomini (e anche le donne) sono mortali, Socrate è un uomo, lidia è una donna, Socrate è mortale, lidia è mortale”. Come è noto è un ragionamento che non prova nulla, se non una diuturna osservazione e memoria, ma non sottilizziamo.

Cles è un paese, il maggiore della valle, collocato in val di Non, in Trentino, la più grande e popolosa valle di lì, con una lunga storia dai Romani in qua (e anche prima, ma quella prima non l'ho studiata e non la conosco). Il nome latino è Anaunia, da cui Anonia e poi Nonia e poi Non; l'alta valle, quella più a nord cambia nome e si chiama val di Sole, il cui paese più importante è Malé, Maletum (meleto) in latino, il che significa che vi erano coltivate mele fin da una grande antichità.

Voglio ricordare un fatto importante testimoniato da una grande tavola di bronzo (tabula clesiana) ritrovata nel secolo XIX durante gli scavi per fare le fondamenta di una scuola, tavola che riconosce ad Anauni Tassulli e Sindoni (le tre tribù lì abitanti) il diritto di essere cittadini romani: Quando Adriano riconosce ai Nònesi di essere cittadini romani, Roma dichiara il titolo per il quale essi ne avevano diritto: dice che servirono fedelmente come militari in Palestina sotto Tiberio, con qualche probabilità nel tempo in cui vi fu ucciso Gesù Cristo. Per questo i Nonesi hanno fama di cattivissimi. Ma essi richiedevano il riconoscimento ufficiale della cittadinanza romana perché non volevano pagare le tasse a Trento, città riconosciuta “municipio”, cioè di avere la cittadinanza romana e quindi di poter “munus capere”, raccogliere tasse. Anche i Nonesi volevano poterlo fare ed essere titolari della raccolta e uso delle risorse fiscali: un antichissimo esempio di autonomia, direi. La contesa ha ottenuto ai Nonesi non solo la cattivissima fama di uccisori di Cristo, ma anche di avari e avidi e su questo secondo aspetto vi è una intera collezione di battute barzellette e motti. La conclusione di tutto, che include anche gli innocenti montanari della val di Sole è il motto trentino senza appello: se l'è 'n nones còpel, se l'è 'n solandro màzzel. E qui mi fermo con la storia grande.

I parenti di mio marito erano di val di Non, abitarono per la parte paterna a Fondo a Tassullo a Rallo; quelli di parte materna erano di Rallo, dove abitavano nella più antica casa del paese; mia suocera Amalia era Torresani appunto, una famiglia importante del piccolo centro di Rallo, una delle “quattro ville”, come si chiamano, cioè Rallo Tassullo Nanno e Pavillo. Il soprannome dei Torresani di Amalia era “i sacri”.

Ho conosciuto e abitato per un paio di vacanze la casa di Rallo, grandissima e molto bella, ma con il focolare aperto su una grande lastra di pietra in cucina e la cappa da cui pendeva la catena per appendervi il paiolo o il caldaro per cucinare. Una grandissima sala appena all'entrata, che non era il salone delle feste, bensì secondo il costume noneso il magazzino (il vòut, la stanza a volta) in cui si ritiravano i raccolti. Intorno ad esso si aprivano le stanze da letto molto piccole per poter essere meno fredde e tutte foderate di perline di legno. Ci sarebbero voluti miliardi per renderla abitabile secondo le esigenze anche di allora, ma i parenti di Nene vi trascorsero quasi tutta la seconda guerra mondiale perchè la loro casa di Trento era stata bombardata: mia cognata Gemma prendeva ogni mattina il tram (detto la vacia nonesa, la mucca nonesa) cioè il trenino a scartamento ridotto che da Malè scendeva fino a Trento al lavoro. La vacia, fatta costruire sotto Francesco Giuseppe dai contadini nonesi allora passava per tutti i paesi, sotto casa di ciascuno (mi hai pagià, mi voi 'l tram soto casa, ho pagato e voglio il tram sotto casa).

Un paio d'anni dopo i mei primi soggiorni nella casa di Rallo, vicino a Tassullo dove c'era e c'è “la frabicia”, cioè la fabbrica detta così per antonomasia perché era allora l'unica in tutta la valle, dove si faceva il cemento. Oggi Tassullo è diventato famoso appunto per questo, vi sono cave di calce e argilla utile per fare il cemento. Un paio d'anni dopo -dicevo- le mie cognate, le mie divenute cognate, senza dir nulla ai due fratelli che consideravano non a torto inutilizzabili negli affari, col solo consenso del padre proprietario della casa, la vendettero e acquistarono un terreno sul Doss di Pez, cioè sul dosso degli abeti a Cles e vi costruirono la casa che per più di quarant'anni è stata sede di tutte le feste, estive, natalizie, pasquali e di fine anno della mia tribù, cioè padre madre sorelle fratello e cognata da parte di mio marito e padre madre sorella fratello miei con rispettive mogli mariti figlie figli amici dei figli, amici nostri ecc. ecc. Una grande casa su un pendio, appunto un dosso, che affaccia su un lago artificiale, ma molto ben riuscito. Da questa casa l'estate appena finita (per la verità senza quasi mai essere cominciata) abbiamo preso commiato perchè io, che ne sono rimasta l'unica erede la devo vendere per varie ragioni, economiche (una seconda casa), di manutenzione (abbisogna ormai di numerose opere), e di costume (i nipoti girano il mondo, non vi sono piccoli della terza generazione da mollare a razzolare senza pericoli nel prato sottocasa: insomma è una spesa che non posso sopportare).

Non credevo così tanto, ma è davvero stato un doloroso strappo. Amen! così vanno le cose del mondo.

«Tu ne quaesieris -scire nefas- quem mihi quem tibi finem di dedederint -Leuconoe- carpe diem quam minimum credula postero». Detta anche la oraziana citazione in latino per sottolineare la mia tarda età, per ora mi fermo

 

Lidia Menapace


 
 
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