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TellusFolio > Bottega letteraria > Nuovi narratori italiani
 
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NNI 30. Maria Cristina Ruggieri
Maria Cristina Ruggieri
Maria Cristina Ruggieri 
31 Agosto 2014
 

Oggi mi contatta un'autrice scrivendomi questa mail: «Ho trovato su internet una rubrica chiamata “Nuovi narratori italiani”, non ho ben capito se il progetto sia ancora attivo ma spero comunque di poter “sfruttare” la sua mirabile professionalità per un commento circa il mio scritto. Le invio l'allegato premettendo che dentro non ci troverà né sangue né merda, ciò che ho da dare agli altri si trova più o meno sempre su queste corde». L'autrice in questione si chiama Maria Cristina Ruggieri, con mio grande stupore apprendo che ha soltanto 16 anni, visto che è nata ad Avola il 2 ottobre del 1998. Sta per iniziare il penultimo anno del Liceo Classico “Cutelli” di Catania. Redattrice della rivista online Parole a colori. La sua storia è una fiaba fantastica dai toni poetici, delicata e intrisa di cultura classica, lontana mille miglia da quel che va di moda oggi in campo letterario e da quel che chiedono le case editrici importanti, quelle che sfornano fenomeni da baraccone. Proprio per questo la pubblichiamo volentieri… (Gordiano Lupi)

 

 

La bambina e la montagna

 

Un giorno una bambina, con un grembiule bianco e dei fiori rosa in pugno, lasciò pendere la testa da un lato e mostrò i polsi. I bambini le giocavano attorno perché l’autunno indorato di spighe segnava il suo compleanno. Tutti i bambini mentre ancora le giocavano attorno, stancandosi del loro ultimo millantesimo gioco, le chiesero in coro:

– Ti diverti?

e la bambina dal capo chino e dai polsi riversi:

– Meglio stancarsi di qualcosa nato per farti stancare che deludere i padri che scalpellarono a questo per il nostro divertimento.

I bambini mentre ancora le giocavano intorno continuavano a stancarsi del loro ultimo millantesimo gioco. A un tratto una bambina si fermò, aveva un pugno stretto e l’altro sfiorava i campi dorati:

– Se i giochi sono nati per divertirsi e i bambini sono nati per divertirsi perché continuare a stancarsi giocando rompendo la natura della cose?

I bambini mentre ancora le giocavano intorno continuavano a stancarsi del loro ultimo millantesimo gioco. A un tratto una bambina si fermò, le bambine sanno ascoltare, aveva un pugno stretto e l’altro sfiorava sulle corolle le api:

– E forse ci hanno venduto i giochi per occuparci il tempo, quando è nella noia che potremmo trovare il divertimento?

Intanto gli scalpellatori accorsero alla vista delle bambine riverse in terra. La bambina che sfiorava le corolle si punse e tornò a casa piangente col padre per togliere il pungiglione. La bambina che sfiorava i campi dorati volle sentirne troppo da vicino l’odore, aveva il volto insanguinato dai graffi di spighe. Tornò piangente col padre che non sapeva come dirle che uno sfregio è per sempre. La prima e ultima bambina, nonostante avesse lasciato cadere entrambe le braccia, aveva le guance di pesco più rosa di prima e rideva. Ridendo disse al padre:

– Il gioco mi annoia e i bambini sono fatti per divertirsi e i giochi sono fatti per divertirsi. Io mi divertivo a seguirti ma tu hai chiamato millanta bambini per occupare il mio tempo. Posso forse risponderti “Grazie”?

Il padre, scalpellatore da tutta una vita e padre di una figlia ingrata, trascinò la bambina verso la montagna davanti alla quale si trascinano i peggiori tra i figli:

– Rimani qui, difronte alla montagna. Quando sul tuo viso sorgerà un nuovo sole a rischiararti le idee io tornerò a prenderti.

La bambina, colle guance di pesco più rosa di prima, chiuse gli occhi e poi si guardò intorno. Vide da un lato il deserto con millanta bambini e dall’altro una montagna fiorita sulla quale aveva sognato il migliore tra i padri. Era ferma e forse era quella la noia.

– L’azione è il principio di tutto! – ha sentito tra i padri.

Dunque cominciò a camminare guardando le punte dei piedi: aveva due scarpette blu con due buchi in cima e due calzini bianchi di merletto. A un tratto batté le scarpette blu contro un cancello. Gli acini d’uva le sporcarono il grembiule così decise di spogliarsi. Aveva una scamiciato nero che lasciava intravvedere una sottana amaranto. Per giungere alla montagna ci sono infiniti sentieri e a ognuno corrisponde un cancello. Lei era aldilà della grata e stava attenta a che la sottana non le si impigliasse tra i tralci di vite e a che le scarpette blu coprissero ancora i calzini di merletto. Per questo non vedeva che solo davanti al suo cancello giace la tana di un serpente. Gli andò incontro nel tentativo di fermarlo: era un serpente bislacco che anziché andare avanti cercava la sua coda come le bambine all’inizio della storia. Il serpente, mentre ancora si desquamava la testa sempre sotto lo stesso albero di fico, le disse con premura:

– Se tu passerai contro me io, per mia propria natura, dovrò piantarti i denti nella sottana amaranto e il tuo sangue diventerà il mio veleno mortale.

La bambina, continuando dritta per il suo cammino, rispose:

– Meglio una vita in scadenza che una vita di percorsi interrotti e intrapresi da capo.

Così, nel suo scamiciato nero mentre le gote perdevano il loro colorito di pesco, gridò per darsi coraggio:

– Non vedo se li si trovi veramente il migliore tra i padri: la montagna è molto lontana ma un po’ più vicina.

Udendo questo scampanio di vocali, così chiare seppur così infelici, s’avvicinò un monaco di incompiuta fede chiedendo:

– Chi sei?

E la bambina seguitò:

– Un bambina che ha perduto il suo grembiule bianco, che ha uno scamiciato nero da cui si intravvede una sottana amaranto. La mia vita è in scadenza.

E il monaco, rinverdite le sue antiche questioni, ribatté:

– Non è la tua vita in scadenza ma la tua anima, quella che si batte e che si appassiona al pensiero del migliore tra i padri. Ti racconto una storia, visto che sei poco pratica di vite e destini e anime. Giunti che fummo aldiquà del cancello, fummo in quattro a dover scegliere il nostro cammino. Io, disposto in linea retta, fui preso da subitanea angoscia quando i miei tre compagni mi instillarono la possibilità di altri cammini diversi da questo. Il primo, mio fratello minore mosso da intenti immaturi, disse:

“Questa vita è troppo breve per riflettere anche un secondo sul proprio cammino. Io sicuramente mi dirigerò verso sentieri più fioriti, con i frutti più dolci, con i ciottoli più levigati.”

Si allontanò così, in un gesto scattoso e furtivo, credendosi il più furbo tra pari. A quel modo seminò le nostre orme. Già avvistò il sentiero, il primo escludendo i nostri, ma quando fu abbastanza vicino trovò davanti ai suoi piedi un enorme dirupo e nel mezzo acque profonde. Proprio nel punto in cui si trovava vide davanti a lui dei naufraghi con le lingue contorte e gli occhi all’indietro. Sul fianco della nave nel punto del nome vi era una scritta: “ERRORE”. Leggendo si piantò lì, un po’ anche per l’ansia di raggiungere il migliore tra i padri, di fronte al naufragio di chi non aveva raggiunto l’assurdo. Cadde e lì annegò pesando di noia. Sorrideva perché già da tempo aveva intuito il suo destino. Gli altri compagni m’hanno riferito che lì, fino all’ultimo istante, guardò l’orologio. Questi due, dietro un albero di fico, rimasero fino alla fine del suo giorno a osservarlo ancor più stizziti ed insuperbiti. A un certo punto mio cugino minore, un po’ più grande di mio fratello più piccolo, scoppiò in una così grassa risata che i suoi scalpi, le sue lenti e i suoi altri archibugi risuonarono infrangendosi tra loro fino alla montagna:

“Oh stolto piccolo cugino! È questo il segreto: occupare il tempo a costruire una zattera anziché contemplare il proprio destino.”

Dopo aver sgomitato per mesi e per mesi, concentrato sulle venature del legno e la fragranza di affumicato e umido e la compostezza delle fibre, mise insieme la zattera e cominciò la traversata. Giunto al sentiero, il primo escludendo i nostri, posò il corpo stanco sul ciottolato e cominciò a dormire. Il suo risveglio avvenne alle soglie della notte e spalancati gli occhi, come una belva che avverte la presenza del cacciatore, trovò davanti a se il più bel sogno tra i sogni da inseguire: il buio pieno di stelle. Allora sussurrò alla penombra:

“Se io sono qui è perché è qui che la mia intenzione mi ha condotto. È perché la mia intenzione, essendo volontà pura cosciente di questo luogo, non può avere che se stessa come percorso e obiettivo. Se io vivendo nell’intenzione di smarcarmi dai miei compagni ho traversato l’ostacolo acquoso e se così avessi continuato a volere avrei raggiunto la montagna per raggiungere il migliore tra i padri possibili che era il migliore tra i sogni da inseguire, adesso che vivo dell’intenzione della notte piena di stelle non mi trovo forse in questo bagliore argentato?”

Se passi di lì lo troverai ancora perduto nel cielo stellato. E adesso ti narro del quarto infelice…

La bambina, in fretta, prima che il monaco ricominciasse a riempirsi di parole, chiese:

– Scusi, perché lei è infelice? Ha due gambe per correre, un sogno da raggiungere e un cervello per capirne il percorso.

– Ho visto morti morire incoscienti. I miei compagni, preoccupandosi solo del percorso hanno perduto l’anima. Sono già divenuti morti prima di morire perché occupare il tempo ha disteso i loro volti. Io, con il sguardo troppo cosciente sull’insieme di percorso e obiettivo, ho visto che il mio vero percorso è soffrire per l’impossibilità di pensare contemporaneamente alla meta e al percorso. Così, se sempre devo morire di una morte inutile, ho deciso di vivere la mia disperazione razionale sotto questo albero di fico, pur di conservare il dolce ricordo di un sogno.

– Io ho un’anima?

Prima che il monaco potesse ricominciare a piangere s’avvicinò una strana creatura. Aveva una testa a forma di punto e due gambe e due braccia all’insù e all’ingiù che da lì partivano. E la bambina chiese:

– Tu chi saresti?

– Sono Ics e tu non stai né giù né su, né qui né altrove ma ti frammenti tra gli angoli perfetti che disegnano i miei arti. La tua anima è in scadenza perché si perduta in un sogno e sia che tu lo raggiunga e sia che tu non lo raggiunga la tua anima finirà lì.

– Aspetti! Signor Ics!

– Sono Ics con le gambe all’ingiù, chiudo le braccia e non ci sei più!

La bambina cominciò a correre così forte che stracciò il vento seguendo gli acuti dello strano dottore:

– Sono Ics all’insù e all’ingiù, ogni volta che guardo c’è un albero a V!

Mentre i rovi le disegnavano il corpo, il vento le raschiava la gola e così rinunciò anche al suo più nuovo progetto alla ricerca di qualcosa che le spegnesse la sete:

– Oh primissima fonte che acqueti da tutta una vita di tutte le vite le gole, miraggio più vero! Sii manifesta in questo luogo così tetro!

E una voce, inquieta e distante, mosse le sue orbite nel buio chiedendo affannata:

– Chi sei?

E la bambina:

– Un bambina che ha perduto il suo grembiule bianco, con uno scamiciato nero e una sottana amaranto. La mia vita da essere umano, con un’anima in grado di provare ancora passioni, è in scadenza e ogni qualvolta chiedo come si ritorni indietro l’interrogato scappa lontano. Ora cerco di fretta una fonte affinché io sia in tempo a dissetare una sete che so ancora provare.

– Perché non mi chiedi chi sono?

– Ogni pensiero che vive nell’ombra vuol già di per sé essere svelato.

– Sono un suicida, da tutta una vita, ci ho pensato tanto che il pensiero stesso ha perso di senso e così sono riuscito a morire anche la morte. Io vidi due compagni annegare nel niente e un altro rannicchiarsi nella paura del percorso. Conobbi un albatros, rosso e dorato. L’albatros planando cullato dal vento mi disse:

“Riposa un attimo a cercare un altro sogno incantato e ricorda: chi sta a mezz’aria intuisce il destino degli uomini ma non può riflettere nella rugiada il suo piumaggio dorato.”

Mi spiegò lui come raggiungere la fonte, io non ci sono mai arrivato. Attendo nella penombra, tra luci distorte, un’altra non-vita che mi consegni alla morte.

– Io ho una vita in scadenza e nonostante gl’infiniti sentieri batto sempre lo stesso cammino, fu lui il primo. E finché il vento potrà incresparmi gli occhi e lo scorrere del ciottolato levarmi il sorriso, voglio anch’io, attraverso la fonte, il mio paradiso.

– Per la fonte dovrai seguire il sentiero di atrope, attraversare il campo di procuste per poi rotolare un masso finché non gorgoglierà di bolle: lì è la tua fonte.

Dopo aver peregrinato almeno per l’eterno, con le idee smunte e un’anima quasi al termine, si fermò lì di sasso a contemplare il suo destino. Credendo che fosse un morbido nido, s’avvicinò un albatros –rosso e dorato- e rifletté nei suoi occhi il suo piumaggio dorato. Subito la bambina:

– Di quante vite le sofferenze dovremmo patire per espiare le nostre?

– Ma sei tu, che ti infilzi le scaglie di vita! Cosa volevi trovare in tutti questi racconti?

– La mia soluzione e non il fallimento di tutti.

– Va e batti sempre il tuo stesso destino, io che volo non ho un sentiero prestabilito. Segui ciò che pare imposto: la libertà ti lascia solo col tuo piumaggio dorato.

E la bambina, ancor più stanca e avvilita, continuò il suo cammino. Proprio quando fu giunta quasi a lì vicino si accasciò al suolo. Un’anima generosa che viveva al fondo del lago, preoccupata per quella piccola vita e strabiliata da quel già lungo percorso, guizzò fuori e l’acqua scrosciò di gran fracasso. La bambina svegliata da tanto rumore riconobbe il verso di quel suo pezzo di destino: un’enorme pozza nera. E proprio mentre l’anima le giungeva al termine e l’assenza di sogni le scolorava le guance, volle sentirsi a suo agio: tolse lo scamiciato nero con la sottana amaranto. Subito il lago oscuro si rischiarò di antico incanto! Poté finalmente scorgere una figura di donna con gli occhi neri come i suoi, i capelli neri come i suoi e le guance scolorate dall’assenza dei sogni:

– Oh madre! La più ambigua tra le madri che mi cerchi solo una volta arrivata già a questo destino seppur, comunque, ti fai trovare. Oh madre, tutti i miei sogni abbandonano il mio corpo ed io, in questo specchio d’acqua di una morte imperitura voglio morire con te. Ho amato così tanto i sogni, il vento che mi increspava gli occhi e mi annodava i capelli che proprio tutte queste cose mi spingono a farne sacrificio.

– Oh mia piccola stella, la più infelice tra le cose che brillano! È proprio il pensiero della morte che ti spinge a morire! La vita di danzava intorno e tu, in un mondo possibile, eri la prediletta. Eppure volesti giungere qui anche se questo fosse bastato solo a rischiarare la fonte.

– Tu, sulla montagna, non puoi essere il migliore dei padri perché lasci che per amor tuo si compia questo percorso. Al massimo, sei il migliore dei padri possibili perché almeno a tutti, un percorso, l’hai dato.

Così dicendo si lasciò cadere ancora aggrappata all’assenza incostante del tempo che ora c’è e ci muore e ora non c’è e ci perde. E io,

qui vecchio da sempre, da quando fui nato

cieco se non per me stesso e

sordo se non per ciò che ho pensato

costretto in questo spuntone dorato

volli trovare nei miei occhi al contrario

il potere di specchiarmi nei sogni.

Essendo il sentiero delle nuvole un poco intasato,

non avendo tratti dritti e rotondi,

vi apparvi il migliore tra i sogni, qualcosa di ritrovato.

Ed io che sento attraverso la pelle,

ho tra le vene dei polsi i vostri destini

e rido.

Il serpente è mio amico ed

è per amore di chi insegue i suoi sogni

che ho messo la tana

davanti al cancello sbagliato.

 

Maria Cristina Ruggieri



 
 
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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