Peter Fröberg Idling
Canto della tempesta che verrà
traduzione di Laura Cangemi
Iperborea, 2014, pp. 430, € 17,50
Cambogia 1955. Somaly è una principessa, anche se appartiene “all’albero genealogico sbagliato”, ed è stata eletta miss Cambogia. Lei, se rivolge la parola a qualcuno, “lo fa sentire la persona più straordinaria del mondo”. C’è Somaly onnipresente nel romanzo di Peter Fröberg Idling, nel pensiero e nella vita di Salhot Sar e di Sam Sary.
Si sono formati entrambi a Parigi, ma ora, dopo l’indipendenza del loro paese dalla Francia, hanno sogni e progetti per la Cambogia e per se stessi. È il periodo storico della fine dei colonialismi, con le tensioni che ne conseguono a livello locale e internazionale, e la ricerca di nuovi assetti. La storia ormai ci ha dimostrato, attraverso tante esperienze, come non sia facile portare la democrazia in un paese che non l’ha mai conosciuta, dove le disuguaglianze sociali sono consolidate, l’analfabetismo e l’ignoranza dilagano, insieme al servilismo verso i potenti: “ci vorranno anni per educare l’elettorato a comprendere i principi della democrazia”. E in Cambogia anche la religione contribuisce all’immobilismo, quando dice “che i reietti sono reietti a causa della loro cattiva condotta nelle vite precedenti, e i privilegiati sono privilegiati per le buone azioni compiute in un lontano passato”, garante quindi, la religione, di “ordine sociale tanto statico quanto iniquo”.
Sar è stato quattro anni a Parigi, lasciando sola Somaly, la fidanzata giovanissima, in un rapporto che è diventato a poco a poco sempre più rarefatto ed estraneo per lei, creando nella ragazza i presupposti di quella che sarebbe diventata negli anni.
Innamorato di Somaly ma anche della giustizia, Sar alimenta idee di uguaglianza, di difesa dei deboli: “di solito tu e i tuoi compagni vi rifiutate di prendere parte all’oppressione del capitale, allo sfruttamento dei vostri sventurati fratelli per mano straniera”. Così Sar ufficialmente è segretario del partito democratico, i khemers roses, con la speranza di andare al governo in seguito alle elezioni, ma in segreto sta con i rivoluzionari comunisti, i khemers rouges.
Tuttavia, se Sar non riesce ad ottenere un posto nel prossimo governo, non ha speranze di poter essere ammesso nella famiglia di Somaly, lui che è un semplice insegnante.
Sary è vice primo ministro di Norodom Sihanouk, il principe che ha negoziato l’indipendenza dalla Francia ed accettato i patti di Ginevra. Ha organizzato un movimento politico che porta avanti la neutralità, in buoni rapporti con gli USA.
Ma il principe non può essere sconfitto nelle prime libere elezioni e Sary ne è il braccio destro. Giunto a quella posizione di potere partendo dal basso, Sary esegue gli ordini, pur nella consapevolezza delle illegalità, pur nel disprezzo che ha verso l’elettorato così remissibile, così pronto ad inchinarsi da secoli davanti ad un potente, così facilmente comprabile con un pacco pieno di riso e stoffe di poco valore, durante la campagna elettorale. L’importante è convincere il popolo che tutto sta cambiando, quando invece la vittoria serve perché niente cambi, perché chi aveva i privilegi li mantenga.
Nell’avvicinarsi delle elezioni la lotta del principe contro i dissidenti si fa più serrata, necessaria talvolta la eliminazione fisica, e quando non si elimina un avversario potente, “per non aumentare il numero dei martiri”, si fa comunque in modo di insozzarlo con le più crudeli accuse, per toglierlo di mezzo. Poi, “all’atto pratico, possibilità da considerare: intralcio dei comizi, urne truccate, falsi conteggi dei voti, maltrattamenti, arresti, torture, neutralizzazioni e così via”.
Somaly è un pensiero fisso di Sary, uomo sposato e padre di parecchi figli ma abituato a sperimentare le grazie di donne sempre diverse. Lei ha qualcosa di particolare, colta, dignitosa, autonoma nel giudizio e nelle scelte, amante della sua terra fradicia di piogge e densa di profumi, ma affascinata dall’occidente. Bellissima. Divisa tra vecchie promesse e nuova passione. Giovane donna legata ai riti della sua gente, alla vita di società a fianco della madre potente, spaventata all’idea che un cambiamento democratico possa rubarle i privilegi di cui gode, ma allo stesso tempo consapevole delle violenze e dell’ipocrisia.
Le elezioni sanciscono una vittoria schiacciante per Sianouk, tutto è salvo, tranne la giustizia.
Canto della tempesta che verrà è il secondo romanzo che Idling scrive sulla Cambogia, romanzo che consta di tre parti, ciascuna sviluppata intorno ad un personaggio, che alterna il linguaggio narrativo a pagine di dialogo, come in un copione teatrale.
Svedese di nascita, Idling ha lavorato parecchi anni in Cambogia dove ha imparato la lingua khmer. Nel precedente, Il sorriso di Pol Pot, ha indagato sui crimini efferati del dittatore (1975-78), sulla apparente normalità che nascondeva gli orrori. Esperto di storia cambogiana e dell’estremo oriente, qui segue Pol Pot quando ancora si chiama Saloth Sar, quando si sdegna davanti alle differenze sociali, quando soffre per amore. Senza legami apparenti con la belva umana che diventerà, al momento della tempesta. Ma niente dice il romanzo a proposito del suo futuro, così come non parla della fine di Sary, a meno di non cercare in una nota finale. Dove leggiamo anche notizie di Somaly, oggi ancora viva.
Quello che sgomenta, tuttavia, è ritrovare nelle pagine che parlano del 1955, le stesse infami regole e la stessa ipocrisia, la stessa violenza, mancanza di scrupoli e di rispetto umano su cui anche oggi si basa il potere.
Marisa Cecchetti