«questa; e; la bella; vita; che; ho; fatto; il sotto; scritto…» Così inizia la prima pagina del dattiloscritto originale di Vincenzo Rabito (1899-1981), un’opera scrittoria senza precedenti, che fonda il suo eccezionale valore sulla semplicità di una narrazione fine a se stessa, nuda e cruda, testimonianza spontanea di un protagonista involontario del nostro Novecento.
Vincenzo non sa scrivere, secondogenito di una famiglia numerosa, presto orfano di padre, conosce già a sette anni la durezza del lavoro in quella Terra matta che gli ha dato i natali, Chiaramonte Gulfi in provincia di Ragusa, Ciaramunti in siciliano. Tra i “Ragazzi del ‘99” prende parte alla Prima guerra mondiale e poi alla Seconda (con tutto quel che c’è di mezzo e per contorno) si sposa e mette su famiglia tardivamente, lambisce il Boom economico italiano, manda i figli all’università. Perché, e Vincenzo l’ha imparato bene a sue spese, senza istruzione non si va da nessuna parte.
Poi succede che Vincenzo Rabito, che non ha mai frequentato la scuola ed ha ottenuto per necessità di lavoro la licenza elementare a 35 anni, un bel giorno si chiude a chiave in una stanza e comincia a battere i tasti della Olivetti lasciata dal figlio Giovanni, e va avanti così per sette anni, dal 1968 al 1975. Dal suo accanito lavoro di battitura viene fuori un’opera monumentale, oltre mille pagine dattiloscritte con interlinea zero, senza margine, ogni parola scandita e separata dalle altre da un punto e virgola, come tanti singulti, in una lingua assolutamente originale, straziante e poetica. Vincenzo rilega con lo spago il dattiloscritto, e lo chiude in un cassetto. La sua vicenda è salva, nero su bianco.
Dopo anni dalla morte del padre, Giovanni trova il lungo memoriale e pensa di affidarlo, nel 1999, all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Nel 2000 il dattiloscritto, con il titolo di Terra matta, vince il “Premio Pieve” conferito ad opere inedite diaristiche, memorialistiche ed epistolari. Dice tra l’altro la motivazione: «Rabito si arrampica sulla scrittura di sé per quasi tutto il Novecento, litigando con la Storia d’Italia e con la macchina da scrivere». La notizia viene lanciata, su proposta di un giurato, con il titolo “Il capolavoro che non leggerete”, ma altro destino è riservato al prezioso documento. Nel 2007 Terra matta viene pubblicato per i tipi dell’Einaudi in versione ridotta e nota critica; al libro si ispira il documentario Terramatta – Il Novecento Italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano realizzato da Costanza Quatriglio e presentato nel 2012, e anche il Teatro s’impossessa della vicenda. Il vissuto di un uomo comune che traccia un solco di cui la storiografia dovrebbe servirsi per ricercare l’obiettività della Storia.
(da Notizie in… Controluce – luglio 2014)