Una maestosa luna piena illuminava il Parco archeologico della Montagna di Ramacca lo scorso 10 agosto, durante la settima edizione di “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, quest’anno dedicata al poeta Vito Tartaro e alla Sicilia. Manifestazione promossa dal Comune di Ramacca, ideata e organizzata dall’Associazione culturale Archeorama.
“La luna così vicina e luminosa ci impedirà di vedere bene le stelle”, ci avevano detto con un po’ di rammarico gli amici del Gruppo astrofili catanesi, che da due anni partecipano alla serata, illustrando il firmamento attraverso i loro telescopi, con competenza e passione.
Ma lo svolgimento della serata ha contraddetto la previsione; le stelle le abbiamo viste eccome!
Stelle lucenti le poesie di Vito Tartaro, che hanno risuonato nella sua Montagna, luogo del cuore e dell’anima, da lui cantato in mille poesie e soprattutto nel suo romanzo Strata e terra.
Stelle affermate nel firmamento della musica siciliana e non solo Carlo Muratori e M. Teresa Arturia, che, con le loro “Scale ascendenti per stelle cadenti”, al suono di chitarra e fisarmonica, hanno trascinato il pubblico in un turbine leggero di musica e canto, raccontando un pezzo di storia della Sicilia, dai falsi storici risorgimentali, alla mafia, ai migranti di ieri e di oggi, facendoci riflettere, sorridere, indignare. Non finiremo mai di ringraziare Carlo e M. Teresa per essere stati con noi. Generosi, vicini, colti, grandi artisti e grandi persone. Grazie alla loro partecipazione questa edizione di “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, ha assolto in pieno l’intento iniziale di onorare la memoria di un grande ramacchese, Vito Tartaro, e di farlo conoscere in maniera più ampia. Ma ci si è spinti oltre, vista la piena aderenza tra le tematiche del Nostro e quelle di Muratori, sorprendentemente legati dal filo dell’orgoglio siciliano, dall’esaltazione di una terra, la nostra terra, ricca di una immensa cultura, vessata da secoli di sfruttamento. E su tutto l’esaltazione della lingua siciliana, della quale per cento e cinquant’anni si è stati indotti a vergognarsi e che occorre invece proteggere e preservare per il futuro.
Stelle nascenti i giovani del gruppo Riverso, studenti universitari che coltivano la poesia, essendo essi stessi poeti. Grazie a Daniele Cusumano, Pietro Ingallina, Domenico Scordo, per aver studiato e letto al pubblico le poesie di Vito, per aver selezionato poesie dei grandi poeti siciliani scritte in vernacolo e in italiano: Basso, Bufalino, Buttitta, Calì, Scandurra, Zinna, e la poetessa Iolanda Insana.
Stella brillante Azzurra Sottosanti: attrice, giornalista, blogger, ha interpretato splendidamente le poesie che ha offerto ad un pubblico letteralmente incantato.
Stelle della musica ramacchese Antonella Pergola, che ha cantato, donandoci brividi di emozione, i brani di Rosa Balistreri, tanto cari al nostro poeta, il giovane Giacomo Gulizia, che accompagnandosi al pianoforte ha eseguito brani di Battiato e Segreto con arrangiamenti originali ed eleganti. E ultimi, ma non per importanza, i Torkio live, vulcanico gruppo musicale che ci ha deliziato con le canzoni in lingua siciliana del cantautore Salvo Arena.
Una serata magica, indimenticabile per chi ha partecipato e per noi di Archeorama, che della Montagna di Ramacca e di Vito, ricca di tesori archeologici e paesaggistici, ci sforziamo essere custodi e divulgatori.
CONZAPAROLI
Purtatimi paroli.
Purtatimi paroli,
ma no d’allittrati,
paroli di cìlliri
di villici di Roma
di servi di la gleba
di viddani sdisciurati
pi na sarmata di frummentu all’annu
e du’ cati di mennuli.
Purtatimminni zammuliati
cà sugnu conzalemmi e li riparu
medicu e li sanu
custureri e li vestu
pasticceri e ni fazzu cannola
turruni
cunfetti.
Poi vi li rennu
chiù vìvuli e belli di prima.
Li putiti mangiari
purtari comu giujelli
azzizzari la casa
fari rijali priziusi.
Accussì turnati a gluriarivi
d’unni viniti
cu’ siti
e sapiri unni jiti.
Vi fazzu francu stu travagghiu
a costu d’appizzaricci
valìa e vavareddi.
Sulu un prisenti disìu:
quannu moru
vurricatimi di paroli
antichi o muderni
di paci o di sciarra
di chiantu o di festa
ma paroli siciliani.
Portatemi parole. Portatemi parole, badate però che non siano di letterati, ma di cilliri, di cafoni romani, di servi della gleba, di contadini avvizziti per una salma di grano e due manciate di mandorle l'anno. Portatemene a volontà: mi farò concia-brocche per accomodarle, dottore per guarirle, sarto per vestirle, pasticcere per trasformarle in dolci rinomati. A cose fatte ve le restituirò più vispe e belle di prima. Le potrete gustare, sfoggiare come monili, adornarne la casa, farne regali di gran pregio. Allora sì che tornerete fieri della vostra origine, delle vostra essenza e sarete in grado di scegliere il giusto percorso. Ve lo abbuono questo lavoro, dovessi rimetterci salute e vista. In cambio chiedo solamente un regalo: quando morirò stendetemi addosso un manto di parole, di ieri o di oggi, di pace o di guerra, di dolore o di gioia, ma fate che siano parole siciliane.
Vito Tartaro
(Da Carcariari: cunti e canti, Catania, Samperi editore, 2007, pp. 12-13)
La traduzione è di Flora Restivo
Laura Sapuppo