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Caterina Falcone. Un viaggio con Gi Gi. L’arte del teatro/canzone
13 Agosto 2014
 

Nello specchio del teatro, nel corso del tempo, si è di volta in volta riflessa l’immagine storica, civile, politica e umana della società attraverso l’analisi e la comprensione della realtà da parte degli autori, al fine di salvaguardare, per quanto possibile, la coscienza ad essa collegata con una sua verità o parte di essa.

L’Italia, luogo di nascita del melodramma, dove alle virtù di una buona letteratura teatrale, con particolare riferimento al teatro drammatico, si sono unite le virtù di una musica sempre all’avanguardia, cambia completamente prospettive culturali allorché negli anni ’70, decide di andare verso forme di cultura sempre più popolari anche suo malgrado. Difatti, con l’avvento del teatro televisivo, sostenendo con McLuhan che il mezzo è il messaggio, l’immagine subisce una deformazione: dal teatro classico che necessitava di tempi molto più lunghi, si avverte l’esigenza del passaggio ad un teatro musicale leggero come leggera diventava la musica in quegli anni con risultati non sempre soddisfacenti.

La canzone (termine mutuato dalla letteratura, in uso nel passato da poeti e trovatori per diffondere la cultura storica come per esempio nella chanson de geste) che già a partire dall’anteguerra, per via del fonografo, del grammofono e della radio, era diventata con il passare degli anni, di per sé un mezzo culturale per veicolare la forma della poesia insieme a contenuti di varia umanità, godibile in pochi minuti con un linguaggio chiaro e molto più semplice.

E mentre l’arte contemporanea si avviava ad una sperimentazione sempre più incentrata sulla performance, il teatro dell’io veniva alla luce con tutto il suo carico di analisi dei personaggi iniziando una riflessione sulla funzione stessa del teatro con Pirandello, e arrivando ad una attenzione spasmodica, ad una metarealtà, con tutto il teatro surrealista.

In questo contesto culturale si inserisce la scelta d’arte e di linguaggio di Giorgio Gaber, che collaborando ai testi con Luporini, con una svolta intimista, riesce a dare un immagine viva e non retorica dell’uomo a lui contemporaneo, ora sottoposto ad una pressione sociale che lo spinge a rifugiarsi nel quotidiano con tutta la sua banalità mentre con le armi dell’ironia e dell’analisi matura, affronta temi importanti come la sincerità e la libertà di uomini e donne di oggi, un messaggio che è passato nel teatro–canzone, forma performativa di un nuovo modo di intendere l’unità delle arti, con un tipo particolare di teatro musicale leggero, che costituisce un punto d’arrivo e un punto di partenza per gli autori successivi. In questo tipo di teatro troviamo la sovrapposizione di ruoli artistici che diventerà una pietra miliare nel panorama culturale contemporaneo. Difatti il cantante/musicista diventa anche l’attore/personaggio che si confonde con la stessa personalità della persona Gaber anticipando quello che sarà il one man show. Vi è forse il pericolo da qui in poi, di una sempre crescente confusione dei ruoli, ma nello stesso tempo si apre una visione sempre più chiara dello spettatore che ha tutto il diritto di identificarsi nella cultura proposta.

Il messaggio di Gaber è ancora attuale perché parla di sé e della relazione del sé col mondo ancora in un’ottica positiva, in cui vi sono ancora margini per il cambiamento e per il miglioramento. La sua musica ha modo di innovare la canzone italiana perché non è così facile, riuscendo a rendere i testi molto interessanti all’ascolto, sottolineandone i risvolti nel senso e nel significato autoreferenziale, donando particolarità a tutti i contenuti.

Da un’idea di Patrizia Pili, cantante di spessore di origine sarda, elaborata insieme al regista Davide Benedetti, noto per il suo lavoro di pioniere nella semina di una cultura drammaturgica da e per la Valtellina, a cui si aggiungono i buoni contributi di Bruno Fanchetti, attore ed animatore teatrale, e del chitarrista Antonello Jannello, nasce un interessante lavoro teatral musicale imperniato sull’opera di Gaber, In viaggio con Gi Gi.

Tre testi letterari tratti da: Matrimonio per forza di Moliere, Le città invisibili di Calvino e Il gioco dell’epidemia di Ionesco si inseriscono armoniosamente nel macrotesto poetico e musicale formato da canzoni scelte sulla base della poetica di Gaber più rivolta all’uomo come individuo, alla sua interiorità, alla cura della persona ed in particolare del suo “sé” in relazione alle difficoltà soggettive che incontra, allo scopo di indirizzarlo ad una sempre maggiore consapevolezza.

Canzoni, per citarne alcune, che vanno da “Far finta di essere sani” a “L’odore”, da “Il narciso” a “Gli intellettuali”, delle quali solo due esulano dal teatro-canzone: “Torpedo blu” e “La ballata del Cerutti” nelle quali risalta la giocosità e la leggerezza a cui Gaber non era estraneo.

Nel gioco delle parti, laddove la regia con una attenta lettura della vita contemporanea ci propone frammenti di musica e teatro, legati da un ritmo veloce e brillante, troviamo anche il rispetto dovuto per l'impronta musicale originale da parte del maestro Jannello, il quale propone anche suoi arrangiamenti.

La voce cantante, Patrizia Pili, sostiene il dialogo/duetto con la voce recitante, Bruno Fanchetti, con notevole forza interpretativa dando un impressione di spontaneità, il tutto intervallato da momenti di sano divertimento, che nell'economia dello spettacolo non guastano. Gesti naturali dell’attore e della cantante si accompagnano alla mimica dando con una calibrata sicurezza un’adeguata sottolineatura anche dei testi più difficili e più profondi suscitando molta partecipazione emotiva nello spettatore.

Un discorso va fatto per quel che riguarda il gioco sull’identità sessuale. Non avendone cambiato genere, la Pili vive nel canto l'ambiguità del personaggio Gaber nel quale trova il culmine della sua ricerca artistica e, dopo averne approfondito gli aspetti musicali, s’identifica con Gaber in quanto persona. In viaggio con Gi Gi è un'attualissima modalità di fare gruppo o squadra che dir si voglia, all’interno della quale si muovono le personalità degli artisti, individualisti per natura anche se legati da profonde amicizie che si interrogano e ci interrogano con questo spettacolo, sul nuovo modo di concepire il teatro, la musica, l’arte e la vita senza però fare a meno della qualità.

 

Caterina Falcone

 

 

 

Illustrazione. Patrizia Pili si è esibita lo scorso mese di luglio a Camaiore sul palco dell'XI Festival “Giorgio Gaber”. La sua voce si è affiancata alle chitarre di Gianni Martini (storico chitarrista del 'signor G.') e di Gian Piero Alloisio, drammaturgo, ideatore e direttore del “concerto itinerante”.


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