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Matteo Moca. Quattro pensieri sul mare 
Kyriakides, Proust e Kitano
08 Agosto 2014
   

Sempre il mare, uomo libero, amerai!

perché il mare è il tuo specchio; tu contempli

nell'infinito svolgersi dell'onda

l'anima tua, e un abisso è il tuo spirito

non meno amaro.”

C. Baudelaire

 

 

«Pinne fucili ed occhiali/ il Mediterraneo è una tavola blu/ l'Italia corre in coda lungo i guar drail/ gongola e invade la spiaggia una folla selvaggia». È questa la descrizione, tratta da “Summer on a spiaggia affollata” di Iosonouncane, più classica del nostro mare italiano anzi, più precisamente, di quel quadro che comprende spiaggia e mare, magari visti dai tavoli del bar dello stabilimento. Questo per quanto riguarda la classica immagine da copertina, il luogo comune (comune e non, in questo caso, sbagliato) che unisce tutti noi. Poi però c'è un'altra immagine; una rappresentazione immaginaria e personale, una cartolina che rispecchi la visione più intima dell'estate che, per antonomasia, si identifica con la spiaggia. Ognuno ha la sua, ognuno ha i propri luoghi; però il mare diviene quasi un concetto astratto, una sorta di sequenza iscritta dentro ognuno e che si rende visibile in maniera differente. Ecco perché la citazione iniziale tratta dal disco del 2011 di Iosonouncane è sicuramente calzante ma, nello stesso momento, crea solo un'immagine impersonale (ma comunque vera) e, ovviamente, non riesce a identificarsi con quella individuale. A ciascuno la sua verrebbe da dire parafrasando  Sciascia.

 

Yannis Kyriakides è un compositore di musica contemporanea di origini cipriote e, nel 2013, ha licenziato un disco dal nome Resort And Ruins. Già il titolo del disco non ha molto a che fare con la spiaggia e con l'estate e anche la musica, in apparenza, non presenta legami con quello di cui stiamo parlando. Eppure c'è una cosa che la richiama: l'artwork. Questo lavoro è opera di Isabelle Vigier e si chiama “In The Golden Seaside” (visualizzabile qui). Il lavoro consiste in viste di Famagusta, località dell'isola di Cipro, tristemente famosa per essere stato campo di scontri tra le forze greche e quelle turche. Lasciando da parte le vicende storiche, queste immagini raffigurano spiagge deserte, mari azzurri, sdraio multicolori e hotel sulla spiaggia, non lontani da quelli che si possono vedere sulla costa adriatica italiana. Questa è una di quelle immagini che mi saltano alla mente quando penso al mare e all'estate, come a dimostrare che più personale di così non si può. E partendo allora da qui, anche la musica si tinge di queste sfumature, con “The One Hundred Words”, ispirata da un'antica canzone dell'isola che quindi, ovviamente, rimanda all'azzurro salato infinito.

 

Altro riferimento quando penso al mare e all'estate: il grande hotel della Normandia, il grande hotel di Cabourg, reso famoso da Marcel Proust attraverso l'identificazione con la località immaginaria di Balbec. Chiunque abbia letto Alla ricerca del tempo perduto, sa di cosa parlo. Proust ci trasporta all'interno di quei luoghi, ci fa vivere la grande sala da pranzo dell'hotel, il letto della camera su cui ha una delle più celebri intermittenze del cuore, il casinò, le cattedrali gotiche e le celebri spiagge a picco sul mare. E poi ancora, l'albergo in cui si ritorna tutti gli anni in vacanza, i viaggi in treno per arrivarci con la madre, la nonna, i giochi sulla spiaggia, i tramonti, Albertine, il momento del ritorno nella città. E poi c'è quel sentimento di non corrispondenza che spesso la vacanza porta con sé. Il sentimento che le aspettative non siano state ripagate dai risultati. Anche al Narratore succede, quando le costruzioni della mente non corrispondono a quello che poi ci troviamo davanti, quando la nostra Balbec non è la vera Balbec.

 

Infine un film. Ce ne sono tanti, tantissimi ambientati al mare o, comunque, in estate. Eppure non ce ne sono tantissimi dove sia proprio il mare il protagonista, dove sia il mare a creare i sentieri della narrazione. Ce n'è uno in particolare di quest'ultimo tipo, che io ritengo un capolavoro e che ben esemplifica quello di cui sto parlando. Si tratta de Il silenzio sul mare, film del regista giapponese Takeshi Kitano. La storia narra di Shigeru, un sordomuto che divide la sua vita tra il lavoro da netturbino e le lunghe passeggiate sul mare in compagnia della sua fidanzata Takako, anch'essa sordomuta. Dal ritrovamento casuale di una tavola da surf, il protagonista decide di imparare a cavalcare le onde, pur scontrandosi con le difficoltà dovute alla sua condizione, con un allenamento assiduo a cui assiste, sulla riva del mare, la sua fidanzata. Pur nello stile di Kitano, nei suoi personaggi fortemente caratterizzati e nel suo silenzioso modo di narrare, il regista giapponese ci offre una finestra sull'amore, un amore che soffre nella sua natura indicibile, nel suo rapporto con la natura e, più precisamente, con il mare. E allora, allontanandosi da questo film e avvicinandoci all'opera di Kitano, il mare assume quella doppia potenzialità che si esplica nel suo essere incommensurabilmente bello e, nello stesso tempo, crudele, così come i personaggi che popolano le sue pellicole.

 

Matteo Moca


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