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Marisa Cecchetti. “Casa di carne” di Francesca Bonafini
29 Luglio 2014
   

Francesca Bonafini

Casa di carne

Avagliano Editore, 2014, pp. 148, € 14,00

 

Trieste, Brest, Rio de Janeiro, Lisbona, sono i luoghi reali o sognati che Angela attraversa, dove vive più o meno a lungo. Pellegrina del mondo dopo aver venduto la casa della nonna, ha una laurea in letteratura che ritiene “carta igienica incorniciata”, tanto non le serve per preparare le colazioni nell’albergo di Trieste ogni mattina. Divide l’appartamento con altre ragazze, e quando si trovano insieme dopocena leggono le novelle di Boccaccio bevendo birra Moretti. Casa per lei sono i libri, si porta sempre “parole nella sacca”, perché nei libri ci sono storie, le storie sono carne viva, e non importa che siano storie di grandi, quelli non sono “posti abitabili”, per lei sono importanti i dettagli, “bisogna sapersi innamorare del dettaglio”.

Non ama la TV perché “dice troppe parole e troppo velocemente”, e non le sfugge niente dell’umanità che la circonda. La sua attenzione e la sua riflessione abbracciano molti aspetti della società: non approva un matrimonio che sia solo “un edificio di mattoni in cui si sta insieme”, no ai pregiudizi sulla omosessualità e si stupisce “perché in questo paese sembra che si possa dire l’amore e fare l’amore in libertà, e invece due uomini o due donne, darsi un bacio in piazza, tenersi per mano, ecco che non si può, non è bene, non è gradito”.

Lo sguardo si posa sui ragazzi, sulla loro mancanza di prospettive, come sui vecchi, persone fragili che non hanno futuro; sulla verità e sulla menzogna nella coppia, sugli amori finiti che non vanno sottovalutati, perché “l’amore è sempre benvenuto anche quando porta peste nera”. Il suo giudizio ingloba la guerra, “gioco mortifero per bambini che sono cresciuti”, la sua sensibilità si avvicina con timore alla gioia, perché il bello non è che il tremendo al suo inizio, secondo le parole di Rilke.

C’è tutto il mondo dei giovani, la loro musica, il loro peregrinare, la forza dell’amicizia, le angosce esistenziali autodistruttive, c’è la realtà delle favelas col bene e il male fianco a fianco, c’è per fortuna la letteratura che viene in aiuto, che porge una via di interpretazione agli eventi, una casa.

Angela ha bisogno di de-siderare, di tirare i suoi sogni giù dalle stelle, cerca un golfo dove trovare riparo, la condivisione di tutto il suo essere con una persona che diventi la sua dimora sicura, con cui scambiarsi finalmente “un bacio senza più parole intorno”. L’amore che cerca Angela “non ha nome di città, non è un mestiere, non è un mattone”, ma è “una casa di carne” e l’amante deve essere tale che “amare la sua carne” sia “trovare il senso per poter vivere”. Infatti quando siamo “distesi in un abbraccio le parole hanno un battito diverso”, l’autenticità è totale. Allora ci si può abbandonare, si può “oltrepassare”, in una condizione spirituale e fisica di pace.

Angela trova finalmente la sua casa di carne, è Tiago, marinaio carioca per il quale vale la pena attraversare l’oceano e vivere una impetuosa e grande storia di amore: “Ho bisogno di una creatura da adorare di un’adorazione a prescindere che succede e basta e non si sa perché, quelle cose che trac, capitano d’un colpo e son spacciata. Se la creatura innamorevole non c’è, sto da sola, sto bene così. Ecco, bene magari no, perché cadere innamorati, io dico, non c’è altro di meglio che possa capitare, cadere innamorati è una faccenda che smuove le stelle e i pianeti”.

Ma “tutto è aria densa e fumo”, tutto è alla fine fumạca, vanitas. Qualche divinità pagana sembra invidiare la gioia degli umani.

Le rimane un sogno tra le mani, insieme alla consapevolezza dolorosa che ci portiamo appresso le persone amate anche se non sono più. E a chi rimane tocca vivere anche per la persona che se n’è andata. È un obbligo morale e un dono d’amore. E i legami di amicizia che si sono costruiti rimangono punti saldi.

La Bonafini racconta in prima persona come in un diario, con linguaggio informale e creativo, musicale, con un ritmo irregolare che va dietro alle spirali del pensiero, un periodare denso di anacoluti volto a definire una protagonista delusa, tristemente autoironica, abulica, sospesa a mezz’aria tra letteratura e realtà. Ma che sa bene che cosa cerca.

E quando trova il suo punto d’approdo ecco che il registro linguistico si fa più snello, fluido, compatto, quasi a rivendicare la crescita, il risveglio, il diventare donna capace di ogni sacrificio, l’uscita dal limbo, o comunque da una prolungata adolescenza. Tutto questo come effetto dell’amore, senza cui non si vive, che può cambiare anche di posto, ma ciò non significa che sia andato via.

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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