E perché non dire due parole anche noi sulla fedeltà? considerata quasi da tutti un valore, o quanto meno quel mattone che cementa con più stabilità l'unione fra due persone. È così? Lo si crede ancora? È principio valido solo pensandolo come applicato all'altro, o sempre e in ogni caso, anche per sé? Aspetto i vostri interventi e nel frattempo vi propongo il mio, messo in moto da una lettera (con conseguente risposta) di Umberto Galimberti, filosofo e scrittore che leggo su D di Repubblica. A voi altre impressioni.
Se il bisogno di rassicurare la propria intrinseca sicurezza genera la fedeltà, il bisogno di non annullarsi nell'altro genera il tradimento. Di qui quell'esserci e non-esserci, quel rincorrersi e tradire, che fa parte della relazione amorosa, perché l'amore è una relazione e non una fusione. Nel viaggio che si intraprende fuori dal "Noi" è il "Noi" che si tradisce, mai il "Tu". Quel che si imputa al traditore è di essere diventato diverso e di muoversi non più in sintonia, ma da solo.
Soltanto se si accetta il cambiamento dell'altro e lo si accoglie come una sfida a ridefinirsi e a ridefinire la relazione, il tradimento non è più percepito come tale. Ma ridefinirsi è difficile, per questo le vie più battute sono quelle della fedeltà o in alternativa quella del risentimento e della vendetta. (U. Galimberti)
“Tradire” per qualcuno significa uscire da quel “Noi” che spesso in una relazione ci protegge come in un nido. Davvero è il bisogno di non annullarsi nell’altro che genera il tradimento?
Penso che in molte relazioni durature ci sia il segreto di qualche viaggio fuori dal “Noi”: in fondo lo si compie tutte le volte in cui ognuno segue le proprie convinzioni, i propri interessi e questo non è tradimento o forse è quello che potrebbe essere (un po’ come il colesterolo buono) il tradimento che è ancora amore. Il “Noi” non può rappresentarci sempre e per sempre, non può essere il portavoce autentico della nostra intima essenza, proprio in quanto persone uniche. Quindi la forza di quel viaggio che prescinde dal “Noi” sta proprio nella sua meta che ci consente di presentarci all’altro un po’ più veri, più in sintonia con noi stessi e con le legittime pretese di quella che è la nostra interiorità.
Le nostre relazioni possono così essere, o tentare di essere, l’incontro fra due persone, fra un “Io” e un “Tu” che allora, veramente, non si fondono, ma relazionano. Negare una progettualità indipendente dall’altro è negare se stessi.
Forse, riuscendo a tener fuori da questo teorema (ma è lì il difficile) la possessività, non si arriverebbe più a desiderare un’emancipazione per così dire anche “fisica” oppure il venir meno della fedeltà non verrebbe vissuto come tradimento dell’altro bensì anch’esso come un viaggio fuori dal “Noi” che non necessariamente deve essere considerato tradimento. Perché in discussione non sarebbe l’amore, ma l’assolutismo di questo concetto che non dovrebbe mai sovrapporsi a quello di possesso. Il quale non tende al bene dell’altro, ma semplicemente a mantenere il legame, barattando la sicurezza con la reciproca e reale conoscenza di sé e di chi ci sta accanto.
Resta il fatto che, invece, la possessività c’è, è ingrediente base di tante relazioni amorose, cammina spesso sullo stesso piano della gelosia e… non sempre nel concreto ci permette tanto filosofeggiare!
Frances Piper