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Maria Paola Forlani. Due straordinarie mostre al Museo diocesano di Trento 
“Infinito Presente. Elogio della relazione” e “Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento”
21 Luglio 2014
 

Con “Infinito Presente. Elogio della relazione” (aperta fino al 10 novembre), l’arte contemporanea applicata al sacro entra per la prima volta nel Museo diocesano tridentino. «Il museo intende offrire il proprio contributo al dibattito sul dialogo tra arte e spiritualità, oggi molto vivo, come attesta la presenza del padiglione della Santa Sede alla 55ª Biennale di Venezia», afferma la direttrice Domenica Primerano e lo stesso Andrea Dall’Asta, curatore della mostra e profondo conoscitore della ricerca e della spiritualità degli artisti contemporanei al Centro San Fedele di Milano e a Museo Lercaro di Bologna.

Le opere monocrome di Ettore Spalletti comunicano il messaggio dell’Evangelario Ambrosiano, un evangelario contemporaneo voluto dal cardinale Tettamanzi, del quale sono esposti tre bozzetti del 2011.

Di Lawrence Carroll è stata scelta un’installazione che utilizza oggetti in disuso, mentre sono tradizionali i materiali adoperati da Hidetoshi Nagasawa per la sua croce di marmo di Carrara e cinque elementi di Mats Bergquist, del 2010 come la precedente, prende in prestito dalla tradizione la tecnica a encausto. Dello stesso anno è anche il trittico di Mimmo Paladino esposto nel percorso permanente, in dialogo con le pale d’altare a portelle, i Flügelaltäre. Tutte le opere in mostra interagiscono con esempi storici: i bozzetti di Spalletti sono accompagnati da un evangelario antico, la croce bianca di Bergquist da una croce processionale del XIII secolo, decorata con figure animali simboliche come il pellicano, il leone e l’aquila. Le acqueforti di George Rouault sono accostate a una statua in bronzo del XIII secolo.

La mostra innesca così un dialogo tra contemporaneità e sacro, arte attuale e del passato ed è strettamente legata all’altra esposizione in corso, Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento”, aperta fino al 29 settembre. In questo caso figurano opere realizzate tra il XVI e il XVII secolo, con una tematica estremamente attuale: il modo in cui i dettami del Concilio di Trento hanno influenzato l’arte, di lì in poi spinta a suscitare devozione e commozione. Si sviluppa una riflessione sul concilio come evento spartiacque nella storia d’Europa, sia nell’ambito della fede, che nel tessuto culturale e sociale.

La mostra, a cura di Domizio Cattoi e della direttrice Domenica Primerano, include oltre 70 opere, delle quali più di metà sono dipinti su tela e tavola. Il percorso suddiviso in due parti, si apre con una sezione introduttiva di carattere storico documentario.

Sono qui esposte alcune edizioni a stampa della Sacra Srittura, a partire dalla prima Bibbia corredata di illustrazioni pubblicata in Italia nel 1489 fino alla celebre Bibbia Sisto-clementina del 1592. Una sequenza di Bibbie in lingua latina, italiana e tedesca, stampate sia in ambito cattolico sia protestante, propone al visitatore il tema della traduzione del testo sacro nel volgare in uso presso le varie nazioni, fatto percepito come necessario da Martin Lutero per consentire l’accesso diretto dei fedeli al Verbum divino, senza la secolare mediazione della chiesa e della tradizione.

Si entra poi nel merito delle problematiche discusse al concilio con l’edizione a stampa dei decreti (1564) e con esemplari dei principali trattati dedicati alle immagini, in particolare quelli più noti di Giovanni Andrea Gillo, Carlo Borromeo, Gabriele Paleotti e Jan van der Meulen o Vermeulen, conosciuto come Molanus (in questo caso, non bisogna dimenticare il celebre saggio di Paolo Prodi del 1961, Ricerche sulla teoria delle arti figurative nella riforma cattolica, che diede l’avvio ad indagare l’interpretazione e l’applicazione del decreto tridentino). Il focus si concentra inoltre sul tema della censura e delle proscrizioni del nudo attraverso esempi celeberrimi del Giudizio universale di Michelangelo e della Cena in casa di Levi di Paolo Veronese, richiamati in mostra attraverso due grandi stampe dell’epoca.

La seconda area tematica, articolata in numerose sottosezioni, indaga i riflessi di queste sistemazioni teoriche e teologiche sulla produzione artistica del territorio trentino in un epoca compresa tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento.

Dopo aver illustrato attraverso audaci confronti l’evoluzione del dipinto a tema religioso dal Rinascimento all’epoca postconciliare, la mostra inizia ad indagare le iconografie più diffuse nel contesto locale: il culto del Crocefisso, l’esaltazione della figura della Madonna nelle varie inclinazioni, la rivalutazione della figura dei santi, sia quelli della tradizione sia quelli di nuova canonizzazione, con particolare riferimento alla figura di Carlo Borromeo. In questo periodo, le nuove raffigurazioni da esporre negli edifici di culto dovevano presentare al contempo il ‘trionfo’ della Chiesa nella lotta al Protestantesimo. Accanto alla produzione di carattere spiccatamente devozionale, sono esposte opere di contenuto dottrinale più complesso, interpretabili quali risposte polemiche alle contestazioni della Riforma in merito ai temi più dibattuti della dottrina, tra gli altri dell’Eucarestia e del Purgatorio.

La mostra espone una serie di opere realizzate da artisti di rilievo che transitarono in Trentino tra la fine dell’evento conciliare e la metà del XVI secolo, tra gli altri Paolo e Orazio Farinati, Felice Brusacorci, Jacopo Palma il Giovane, Martino Teofilo Polacco, Francesco Frigimelica, Fra Semplice da Verona, Donato Mascagni e Pietro Ricchi. Accanto alla produzione di questi artisti forestieri, che supplivano all’assenza di una vera e propria scuola pittorica locale, sono presenti dipinti di personalità più modeste sotto il profilo stilistico, ma non per questo meno interessanti nella capacità di elaborare immagini efficaci dal punto di vista iconografico e indurre sentimenti di pietà e devozione nei fedeli.

Il Museo diocesano di Trento presenta una dinamicità di comunicazione straordinaria, nelle scelte tematiche, nelle collaborazioni, negli allestimenti e nell’attenzione alla contemporaneità: “la cultura come evangelizzazione”. Così il Centro san Fedele di Milano e il Museo Lercaro di Bologna, diretti da padre Andrea Dall’Asta, ripercorrono il cammino della Gaudium et Spes (n. 62) e dell’indimenticabile discorso della Sistina di Papa Montini del 7 maggio 1964 in cui, Paolo VI, invitava gli artisti ad essere protagonisti della vita della chiesa.

È bene ricordare, in questo contesto, la chiusura dell’Istituto di Cultura “Casa Cini di Ferrara”, tra gli esempi, un tempo, di una “raccolta di opere d’arte contemporanea”, tra le più prestigiose in Italia (ora dispersa), l’incontro costante con gli artisti e i giovani che vivevano, in quegli spazi medioevali, “la cultura” nell’amore della solidarietà. Ora quel luogo “sacro” è stato trasformato in ambienti per tristi attività commerciali e di affittanze, Casa Cini (donata dal Conte Vittorio Cini alla città) resta una delle pagine più nere e dolorose delle scelte della diocesi di Ferrara, in cui neppure il terremoto ha provocato tanto danno.

 

Maria Paola Forlani


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