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Sandro Fancello. Dieci capitoli sul Sessantotto. 9 e 10 
La lotta armata e la strategia della tensione in Italia da Valle Giulia al 1970
19 Luglio 2014
 

CAP. 9 – La rivolta di Reggio Calabria e “l’incidente ferroviario” di Gioia Tauro.

Il primo banco di prova del governo Colombo fu la rivolta popolare di Reggio Calabria scoppiata il 14 luglio 1970 a causa della scelta di Catanzaro quale sede del capoluogo regionale. In realtà tale questione era legata anche a una situazione economico-sociale preoccupante dovuta a una forte disoccupazione, a una precarietà e a un esodo sempre più massiccio di giovani e adulti verso il Nord industrializzato. Partì da qui il famoso slogan “Boia chi molla”. La rivolta, capeggiata da gruppi di destra e da gruppi neo-fascisti, durò tutta l’estate. Il 22 luglio 1970 si verificò sempre in Calabria un altro degli episodi che a lungo nel Paese rimasero non chiariti e irrisolti: la strage del Direttissimo Palermo–Torino.

Alle 17:10 circa del 22 luglio 1970, il Direttissimo Palermo–Torino (la Freccia del Sud) deragliava a circa settecentocinquanta metri dalla stazione di Gioia Tauro. Dopo cinquecento metri il treno si spezzava. Alla fine si conteranno sei morti, di cui cinque donne e settantadue feriti, molti dei quali con gravi conseguenze invalidanti. La verità emerse solo ventitré anni dopo, quando nell’ambito di una maxinchiesta sulla criminalità organizzata in Calabria, denominata “Olimpia 1”, il pentito Giacomo Lauro, in un interrogatorio, il 16 giugno 1993, davanti al Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, Vincenzo Macrì, confessò di essere venuto a conoscenza nel 1979, in carcere, che era stato Vito Salverini, un neofascista dichiarato, a mettere la bomba che fece deragliare il treno di Gioia Tauro.1

Per quanto riguarda gli sviluppi della lotta armata, è doveroso ricordare il Convegno di Pecorile (Appennino reggiano) svoltosi tra il 4 e l’11 agosto. Curcio ricorda come il processo di sviluppo della lotta armata subì un’accelerazione. Vi fu, secondo Curcio, l’esigenza di passare a nuove “forme di lotta”. Vi era quindi un forte richiamo alle formazioni partigiane della Resistenza. Un es. potevano essere le formazioni “Gappiste di Feltrinelli”. A fine agosto, a Milano, presso la Sit-Siemens, vennero diffusi alcuni volantini firmati “Brigate Rosse” e il 17 settembre venne incendiata l’auto di Giuseppe Leoni, dirigente della Sit-Siemens. Il terrorismo di sinistra però in quel periodo iniziò a picchiare “duro”. A Genova fu sequestrato, il 5 ottobre, Sergio Gadolla, il figlio di un noto industriale. Il 20 ottobre, un foglio di lotta di Sinistra Proletaria annunciò ufficialmente la nascita delle Brigate Rosse. Nello studio dei vari gruppi armati che sorsero in questo momento è stato fondamentale il lavoro di Giorgio Galli Piombo Rosso. L’autore mette in luce le due principali differenze tra le Brigate Rosse di Renato Curcio, Margherita Cagol, Alberto Franceschini e il progetto di Feltrinelli di creare un “Esercito popolare di Liberazione”. Scrive Galli che

lo schema, sarebbe questo: per le Br la costituzione del partito armato presuppone una lotta di lunga durata, un processo graduale per arrivare al cuore dello Stato. Nel frattempo: accumulare consenso con la “propaganda del fatto” e demonizzare il nemico. Nel “terzimondismo” di Feltrinelli l’analisi è diversa: l’involuzione della democrazia italiana suggerisce una prospettiva rivoluzionaria immediata che deve unire le forze in campo, invitando a partecipare una parte del PCI. La struttura militare assume il peso della guerra “fuochista”. Per il brigatista Franceschini la vera differenza tra Br e Gap è proprio una questione di tempistica: Feltrinelli era l’unico a pensare alla Rivoluzione in termini contestuali, ora o mai più. “Vittoria o morte: la Rivoluzione è in pericolo, chi può salvarla?”.2

La ricostruzione principale di Galli su queste due fondamentali concezioni della lotta armata in Italia si devono sia alla testimonianza di Renato Curcio in A viso aperto3 sia a quella di Alberto Franceschini in Mara, Renato ed io4 nonché alla biografia di Gian Giacomo Feltrinelli scritta da Aldo Grandi, dal titolo Gian Giacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario.5 Nell’intervista rilasciata nel 1993 a Mario Scialoja, A viso aperto, ricorda Curcio:

Feltrinelli era portatore di un’idea guerrigliera di stampo guevariano. Credeva nel ruolo dei piccoli drappelli di avanguardie. Questa sua posizione strideva con quella dei gruppi che gli erano più vicini. Una era l’idea della “resistenza tradita” espressa da molti ex combattenti partigiani in Piemonte, Liguria e in Emilia: fedeli alla tradizione comunista classica, intendevano il passaggio alla lotta rivoluzionaria come un inveramento di vecchie prospettive abbandonate.6

Nel novembre, sempre a Milano, alla Pirelli Bicocca venne diffuso un elenco di “capi e crumiri da punire”. Il 27 novembre venne incendiata l’auto di Ermanno Pellegrini, dirigente della Pirelli e l’8 dicembre venne incendiata l’auto di Enrico Loriga, dirigente alla Pirelli. I mesi di dicembre videro due fatti significativi. Il primo riguarda il divorzio, che il 1° dicembre divenne legge dello Stato. A riguardo ricordano Montanelli e Cervi:

In effetti solo due partiti, la DC e il MSI, erano antidivorzisti. La DC era in un dilemma spinoso. Non osava ribellarsi al Papa, e voleva raggiungere l’accordo con socialisti, socialdemocratici e repubblicani. Una proposta democristiana perché il passaggio della Fortuna-Baslini al Senato fosse sospeso, e nel frattempo venissero presi contatti con la Santa Sede, fu respinta dai tre potenziali partners. La legge andò avanti, ed ebbe il suggello finale il primo dicembre del 1970. Tuttavia la DC, avendo ottenuto che fosse risvegliato dal sonno in cui giaceva l’istituto del referendum abrogativo, e fidando – a torto – in questa prova d’appello, rinunciò a fare del divorzio un casus belli.7

 

 

CAP. 10 – Il tentato golpe di Valerio Borghese.

Il secondo e ultimo episodio significativo del dicembre 1970 riguarda il fallito tentativo del “golpe di Valerio Borghese” da collocare, con la strage di Piazza Fontana, nella logica della “strategia della tensione”.

Il golpe Borghese (o golpe dei forestali) indica un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia nella notte del 7-8 dicembre 1970 ed organizzato dal principe Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale. Il golpe era stato progettato da diversi anni nei minimi particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le Forze armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il golpe prevedeva l’occupazione del Ministero dell’Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento. Nei piani c’erano anche il rapimento del capo dello Stato Giuseppe Saragat e l’assassinio del capo della Polizia, Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi Rai occupati.8

Non vi erano più dubbi quindi sulla complicità di corpi “deviati” dello Stato a sostegno di forze neo fasciste e di estrema destra.

Il Paese, ignaro degli avvenimenti che si sono susseguiti nella notte dell’Immacolata, scopre quale rischio abbiano corso le istituzioni repubblicane soltanto il 17 marzo 1971, quando il quotidiano Paese Sera rivela l’esistenza di un progetto eversivo dell’estrema destra. L’opinione pubblica, scioccata, si interroga su chi siano i protagonisti della cospirazione, quali gli obiettivi e soprattutto come e perché il piano sia giunto così vicino alla concreta attuazione, sebbene senza essere coronato dal successo. Le prime ipotetiche risposte iniziano ad arrivare dalla magistratura: il 18 marzo 1971, il Sostituto Procuratore di Roma Claudio Vitalone emette gli ordini di cattura, per il tentativo di insurrezione armata contro lo Stato, verso gli esponenti della destra extraparlamentare Mario Rosa e Sandro Saccucci, l’affarista Giovanni De Rosa, l’imprenditore edile Remo Orlandini, ed il giorno successivo è raggiunto da un mandato anche Junio Valerio Borghese, già comandante della famigerata Decima Flottiglia Mas, in seguito divenuto leader della formazione neofascista Fronte Nazionale.9

I motivi dello “Stop, indietro tutta!” Secondo una delle ricostruzioni più attendibili, basate sulle testimonianze del colonnello Amos Spiazzi, il principe Borghese avrebbe compreso all’ultimo minuto che il suo golpe stava per trasformarsi in una trappola tesa dalle stesse forze governative che erano perfettamente a conoscenza delle sue mosse, ed avevano già un contro-piano per sfruttarle a proprio vantaggio; secondo tale piano i golpe della destra sarebbe stato immediatamente represso, ed usato come scusa dallo stesso governo democristiano, per emanare leggi speciali, che avrebbero imbrigliato non solo i golpisti di destra, ma anche e soprattutto i movimenti sindacali e di sinistra. Questo contro – piano venne battezzato “Esigenza Triangolo”, ed era pronto a scattare non appena Borghese avesse compiuto la prima mossa.

Fughe all’estero e processi: alla fine tutti assolti. Abolito il tentativo di golpe, il Principe Borghese si rifugiò in Spagna, dove rimase fino alla morte (26 agosto 1974), nonostante che già nel 1973 fosse stato revocato l’ordine di cattura nei suoi confronti. Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a carico di 68 imputati. Le accuse erano di usurpazione dei poteri dello Stato e cospirazione. L’iter giudiziario si concluse in Corte d’Assise d’Appello il 29 novembre 1984 con una soluzione complessiva (“perché il fatto non sussiste”) nel dispositivo della sentenza si legge anche che l’accaduto non era altro che il vaneggiamento di un “conciliabolo di 4 o 5 sessantenni”.10

 

Sandro Fancello

 

 

1 Fonte: Wikipedia.

2 Giorgio Galli, Piombo Rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi, Baldini-Castoldi-Delai, Milano 2004, pag. 13.

3 Renato Curcio, A viso aperto, intervista di M. Scialoja, Mondadori, Milano 1993.

4 Alberto Franceschini, Mara, Renato ed io, Mondadori, Milano 1998.

5 Aldo Grandi, Gian Giacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, Baldini–Castoldi, Milano 2000.

6 R. Curcio, A viso aperto, cit., pag.51.

7 Indro Montanelli e Mario Cervi, L’Italia negli anni di Piombo, Rizzoli, Milano 1991, pagg. 154-155.

8 Fonte: “Il golpe Borghese” di Marco Marra, andato in onda il 5 dicembre 2005 sul programma Rai La Storia siamo noi. Video e approfondimenti sono disponibili anche sul Web e in dvd.

9 Fonte: Rai, La Storia siamo noi, a cura di Giovanni Minoli. “Storia di un’inchiesta. Il golpe Borghese”. Il programma è andato in onda sulla Rai il 7 dicembre 2012. I filmati sono tratti dalla trasmissione di Sergio Zavoli del 1990 La notte della Repubblica. Video e approfondimenti sono disponibili anche sul web e in dvd.

10 Fonte: La Repubblica, sabato, 8 dicembre 2012; “Il golpe virtuale del principe Borghese”.

 

 

La lotta armata e la strategia della tensione in Italia da Valle Giulia al 1970

V – fine


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