Cari lettori, i consigli sono gli stessi del primo trekking: domenica mattina, scarpe comode, libro in mano. E soprattutto, un paio di ore di tempo e tanta voglia di passeggiare per Milano.
Questo nostro secondo itinerario ci riporta all’agosto del 1630, quando Renzo Tramaglino ritornò nella città infestata dalla peste per cercare Lucia. Dopo avere dormito a Greco (Comune autonomo fino al 1923: dietro la chiesa di S. Martino di Tours si trova una cascina dove, secondo una tradizione locale, il nostro protagonista si riposò), la mattina seguente Renzo proseguì verso il centro raggiungendo le mura tra le attuali Porta Venezia e Porta Nuova. Casualmente, si diresse a destra verso quest’ultima, situata in piazza Principessa Clotilde, dove noi cominciamo la camminata guardando l’attuale Porta Nuova. Edificata su progetto di Giuseppe Zanoia in stile neoclassico nel 1810-13, ci appare completamente diversa da quella che vide il giovane, costituita da un casotto di legno e da due muri sovrastati da una semplice tettoia. Sotto di essa, dopo avere osservato che il capo dei gabellieri veniva portato via a causa della peste e aver lanciato un ducato alla guardia, il nostro “montanaro” entrò in città prendendo l’attuale corso di Porta Nuova.
Allora la via si chiamava corso del Dazio di Porta Nuova e si trovava in una periferia caratterizzata da prati, orti e poche costruzioni. La zona era denominata il Borgo di S. Angelo dalla chiesa abbattuta in epoca medievale per fare spazio alle mura e ricostruita tra la fine del 1500 e la metà del 1600 sull’attuale sito. L’odierna S. Angelo dei Francescani Minori, che si incontra al primo incrocio, in una piazza sulla sinistra, presenta una facciata tipica del manierismo lombardo mentre l’interno, a navata unica e con volta a botte, costituisce una delle più importanti testimonianze dell’architettura milanese del ‘500. Davanti, si trova la Fontana di S. Francesco che predica agli uccelli, opera di Giannino Castiglioni (1926-27).
Giunto circa a metà del corso di Porta Nuova, Renzo notò alla sua destra un uomo e gli andò incontro imboccando lo stradone di S. Teresa, l’attuale via Moscova. Il cittadino, però, credendo fosse un untore, gli puntò contro il bastone e il giovane tirò diritto fino al termine della strada. Percorrendo anche noi via Moscova, sulla destra notiamo un complesso antico, oggi mediateca della Biblioteca Braidense. Si tratta proprio della ristrutturazione della chiesa di S. Teresa e dell’annesso convento della carmelitane, che per l’appunto davano il nome alla strada. Dopo essere stati soppressi, nel ‘900 gli edifici diventarono proprietà del Regio Demanio e furono adibiti a zecca, alloggi militari, fabbrica di munizioni e manifattura tabacchi. Colpiti dalle bombe della II Guerra Mondiale, vennero riadattati a case e uffici, salvo poi passare al Comune nel 1974.
Finita via Moscova, giungiamo di fronte all’edificio che fino a poco tempo fa ha ospitato il Corriere della Sera. In epoca spagnola lì si apriva un laghetto formato dal Naviglio della Martesana, ma Renzo non lo attraversò e girò a sinistra nell’odierna via S. Marco, notando un cadavere sformato in un piccolo fosso. Secondo Bindoni, all’altezza dell’odierno n° 14 venne poi chiamato da una donna, segregata con i suoi bambini in casa poiché sospettata di avere la peste, e lui le donò due pani promettendo di avvisare qualcuno affinché venisse a portarle i viveri.
Quindi proseguì, costeggiando idealmente il Liceo Parini (dove Pasolini ambientò alcune scene iniziali di Teorema) e giungendo in piazza S. Marco, in cui osservò la macchina della tortura e all’angolo con la chiesa vide sbucare un lungo corteo di carri carichi di cadaveri (forse diretti al cimitero di Porta Comasina nell’attuale piazzale Lagosta, dove vennero poi tumulati Beccaria e Parini).
Di fronte a noi, allora e oggi, si staglia la chiesa di S. Marco, di cui restano originali solo il campanile e il fronte del transetto destro. Fondata nel 1254 da frate Lanfranco Settala (di cui si può vedere il sarcofago), all’interno conserva antichi affreschi che contrastano con l’aspetto barocco e i quadri cinquecenteschi: nel 1874 Verdi vi diresse la sua Messa da Requiem per Manzoni e nel caseggiato sul lato destro della chiesa alloggiò nel 1770 il giovane Mozart durante uno dei suoi soggiorni milanesi.
Concluso il lugubre transito, Renzo prese a sinistra in via Fatebenefratelli, che deve il suo nome ad un ospedale cinquecentesco diretto dai frati di S. Giovanni di Dio, che quando chiedevano la carità dicevano: “ Fate bene o fratelli a voi stessi”. Quindi, subito a destra, salì sul ponte Marcellino (nelle cui vicinanze, nel 1610, è testimoniata l’esistenza di un bordello di proprietà di tale Hieronimo detto il Boxardo), superando la cerchia interna dei Navigli e imbucando l’odierna via Borgonuovo.
Così facciamo pure noi, senza però incontrare il prete che indicò al giovane la strada per giungere al palazzo di don Ferrante. Percorrendola tutta, ricordiamo l’imperdibile Museo del Risorgimento (con, tra le altre importanti testimonianze storiche, la condanna a morte di Amatore Sciesa, celebre per il suo tiremm innanz, e alcuni oggetti dell’incoronazione di Bonaparte del 26 maggio 1805), e al n° 20 la casa che ospitò la contessa russa Giulia Samoyloff, famosa per le sue feste, le sue avventure galanti e alcune originalità, come fare il bagno nel latte – poi venduto al caffè delle Antille di via Manzoni, rinomato per i suoi gelati – e il funerale di un suo cane, celebrato nel cortile del palazzo con tanto di bara.
Alla fine di via Borgonuovo, Renzo passò nell’attuale via Croce Rossa (così chiamata forse per una bandiera donata a Milano nel V secolo da papa Gelasio oppure da una colonna della peste voluta da S. Carlo), senza poter vedere a destra il Gran Hotel et de Milan, inaugurato nel 1865. Il 21 gennaio 1901 vi morì Verdi, e nelle sue stanze soggiornarono Vittorio Emanuele III e Metternich, Caruso e D’Annunzio, Puccini e Carducci, Wagner e De Chirico, Magritte, Maria Callas, Hemingway, Mastroianni e Fellini, Luchino Visconti e molti altri personaggi famosi.
Allora, ci si trovava nei pressi del carrobbio di Porta Nuova, l’odierna via Manzoni, in fondo alla quale, sulla sinistra, osserviamo l’unico ingresso delle mura medievali giunto fino a noi. Il giovane notò la chiesa di S. Anastasia, che si ergeva a fianco dell’attuale S. Francesco di Paola, e dopo questo accenno il Manzoni aprì un’ampia parentesi descrivendo splendidamente la città e i milanesi oppressi dalla peste. Noi, invitandovi a leggerla attentamente, attraversiamo la strada, e nonostante lo scrittore non offra più indicazioni precise, prendiamo via Bigli (all’incrocio con via Manzoni si trova Palazzo Olivazzi, sede dell’ultimo salotto di Clara Maffei) percorrendola fino all’incrocio con via Verri, dove Renzo assistette alla commovente scena della deposizione sul carro dei monatti del corpicino di Cecilia da parte della madre (dotata di “quella bellezza molle e maestosa che brilla nel sangue lombardo”): secondo lo studioso Bindoni, la casa corrisponde all’attuale n. 10.
Dopo di che, possiamo immaginare il nostro protagonista proseguire per la via arrivando all’incrocio con via Montenapoleone (dal nome dall’istituto di credito di S. Teresa aperto nel 1782 e poi ribattezzato nel 1804), dove vide un altro triste corteo: quello degli ammalati che venivano condotti al Lazzaretto.
Al termine del loro passaggio, il “montanaro” venne a sapere da un commissario che la casa di don Ferrante era situata nella prima traversa a destra, la nostra via del Gesù (dove adesso fa bella mostra di sé l’imperdibile Museo Bagatti Valsecchi). E così, eccoci arrivati al luogo tanto bramato (e temuto) da Renzo, l’obiettivo della nostra gita: il palazzo di don Ferrante, dal Bindoni localizzato al n. 11.
Qui davanti il giovane venne frettolosamente (e sgarbatamente) informato che Lucia era stata trasferita al Lazzaretto, e dopo essere stato accusato da una donna di passaggio di essere un untore, si salvò dagli inseguitori salendo su un carro dei monatti. Che, essendo diretto verso il Lazzaretto e perciò verso l’odierno corso Venezia, secondo la conformazione moderna sarebbe dovuto passare per via della Spiga, dal nome di una famiglia che vi abitava o da una lapide latina un tempo murata all’altezza del n°40 che citava “Spica nomen pacis”.
La passeggiata è dunque conclusa, e noi possiamo congedarci da Renzo che, in pessima compagnia, avrebbe ripercorso la strada intrapresa durante il suo primo soggiorno a Milano sbucando nell’attuale corso Venezia, prendendo a sinistra fino ai Bastioni di Porta Venezia e raggiungendo infine il Lazzaretto di via S. Gregorio. Dove, finalmente, avrebbe ritrovato la sua amata.
Buon trekking. Saludi.
Fonti consultate:
- Bindoni G., La topografia del romanzo I Promessi Sposi, Vallardi, 1928
- D’Adda R. (a cura di), Le città d’arte. Milano, Skira, 2008
- Lopez G., Severgnini S., Milano in mano, Mursia, 1990
- Santi G., Spagnol M., Guida ai misteri e segreti di Milano, Sugarco Edizioni, 1987
- Sarzi Amadè L., Milano fuori di mano, Mursia, 1987
- T.C.I, Guida d’Italia. Milano, T.C.I., 2003