E come l’alchimista fonde al suo basso desiderio di produrre l’oro lo studio delle sostanze chimiche, in cui i pianeti e gli elementi concorrono a formare immagini dell’uomo spirituale, così questo collezionista, soddisfacendo il suo basso desiderio di possesso, ha intrapreso lo studio di un’arte, nelle cui creazioni le forze produttive e le masse concorrono a definire immagini dell’uomo storico. (W. Benjamin)
Perché dentro di lui ci sono degli spiriti, o meglio degli spiritelli, che operano in modo che per collezionista – io intendo il vero collezionista – il possesso sia la più profonda relazione che in assoluto si possa avere con gli oggetti. (W. Bemjamin)
La nuova mostra accolta e organizzata dalla Galleria dell’Accademia “La Fortuna dei Primitivi – Tesori d’Arte dalle collezioni italiane fra Settecento e Ottocento”, aperta fino all’8 dicembre 2014, a cura di Angelo Tartuferi e Gianluca Tormen (catalogo Giunti) è dedicata ad un fenomeno storico culturale che ebbe luogo, come dice il titolo, fra Sette e Ottocento in Italia, ovvero la nascita del collezionismo della produzione artistica dei cosiddetti “Primitivi”.
La mostra coincide con i cinquanta anni dalla pubblicazione del libro di Giovanni Previtali La fortuna dei Primitivi, titolo che è stato non a caso ripreso dalla mostra. Il libro tracciava la storia della rinascita dell’interesse, anche collezionistico, verso quei pittori, i cosiddetti Primitivi, che nello schema storiografico vasariano, avevano preceduto Michelangelo, Raffaello e i grandi maestri che Vasari considerava modelli insuperabili. Previtali, affrontando il fenomeno culturale, ne cercò le motivazioni ricordando una considerevole serie di collezionisti che riteneva essere stati fondamentali.
Proprio a questi collezionisti e alle opere da loro raccolte è dedicata la mostra, da considerarsi forse la prima sulla storia del collezionismo. Si è assistito infatti, in tempi più o meno recenti, a mostre che hanno avuto ad oggetto la collezione di dinastie famose, i Medici, i Gonzaga, il Bembo, il papa Borgia, ma mai mostre come questa che analizzassero singole collezioni allo scopo di spiegare un particolare indirizzo del collezionismo, quello, appunto, che dette vita al recupero dei Primitivi.
I collezionisti, circa quarantadue rappresentati in mostra da opere di alta qualità – compresi autentici capolavori riconosciuti – abbracciano un arco temporale abbastanza ristretto che va dalla metà del Settecento fino al primo ventennio circa dell’Ottocento, per una scelta scientifica ben precisa: il collezionismo di opere appartenenti alla tarda antichità cristiana, al Medioevo e al primo Rinascimento ebbe nell’epoca indagata carattere pionieristico. Successivamente, soprattutto a motivo delle requisizioni delle armate napoleoniche e delle Soppressioni di chiese e conventi da parte del governo napoleonico, che favorirono in maniera notevolissima la circolazione di opere sul mercato, il collezionismo assunse caratteri di quasi sistematicità contribuendo in maniera determinante alla costituzione delle collezioni dei principali Musei d’Europa.
Le opere in mostra sono suddivise in piccole sezioni introdotte dall’effige del collezionista al quale erano appartenute e l’allestimento è stato studiato per “simulare” la dimora, il luogo, nel quale i vari collezionisti conservavano queste loro opere. La scelta è stata fatta cercando di dare visibilità a tutte le aeree d’Italia che ne furono teatro, da Roma che fu centro propulsore del fenomeno in esame, alla Toscana e varie altre aree d’Italia, al Veneto, Napoli, Modena–Parma. Tra i collezionisti sfilano con i loro tesori: Agostino Mariotti, Sebastiano Ranghiasci, Tommaso Obizzi, Padre Raimondo Adami, Angelo Maria Bandini, Alfonso Tacoli Canacci, Stefano Borgia, Sebastiano Zucchetti, Ottavio Gigli…(ecc.), personaggi di varia estrazione sociale, spesso membri del clero, persone colte, eruditi, bibliofili che in molti casi furono anche in contatto fra loro influenzandosi a vicenda.
Tra gli artisti rappresentati figurano pittori, scultori e miniatori di Firenze e d’altri centri italiani quali il Maestro della Maddalena, Arnolfo di Cambio, Bernardo Daddi, Taddeo Gaddi, Nardo di Cione, Lippo Memmi, Vitale di Bologna, Ambrogio Lorenzetti, Pietro da Rimini, Matteo Giovannetti, il Beato Angelico, Attavante degli Attavanti, Andrea Mantegna, Cosmè Tura, Piermatteo d’Amelia e Giovanni Bellini. Ma altrettanto affascinante è l’aspetto meno immediatamente evidente della scelta delle opere d’arte, una sorta di spessore storico che ognuna porta con sé, una bruma di notizie sepolte negli archivi, di fatti accaduti, di vite vissute, dalla quale prendono forma – perspicacemente plasmate da studi e ricerche – le identità poco conosciute o addirittura dimenticate dei raccoglitori che si adoperarono, con atteggiamento pionieristico, per salvare quelle remote testimonianze artistiche dalla distruzione o dall’abbandono.
Del tutto inconsapevoli dello sconosciuto sentiero che si apprestavano a percorrere e delle conseguenze che quel cammino avrebbe avuto per la storia dell’arte, tutti quei singolari collezionisti seppero esprimere, ciascuno a modo proprio e con forza che gli competeva, una spinta inattesa all’ingovernabile oscillazione della sfera del gusto. Mossi a raccogliere tavole antiche e fondi oro per doveroso, o istintivo, senso di tutela e salvaguardia, o per ragioni di pura indagine storica, ma non disgiunto fors’anche da sincero (benché assai tiepido) apprezzamento formale, certo è che tutti costoro hanno lodevolmente preservato dalla dispersione tanti piccoli e grandi capolavori, avviando il processo della loro fortuna collezionistica e critica che non è fuor di luogo definire, da lì in poi, inarrestabile. Gli eventi della Storia successiva hanno dato loro ampiamente ragione e questa mostra ne celebra la riconosciuta e indiscussa lungimiranza.
Maria Paola Forlani