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Giuseppina Rando. La realtà irreale di Anna Maria Ortese 
Il centenario della nascita di una scrittrice da non dimenticare
Anna Maria Ortese (Roma 1914 - Rapallo 1998)
Anna Maria Ortese (Roma 1914 - Rapallo 1998) 
16 Luglio 2014
 

La vera realtà è sempre non realistica

(F. Kafka)

 

Collaborare alla pace e al miglioramento degli uomini.

Questo, secondo me, era il compito degli scrittori…

risvegliare la bellezza e pietà dell'uomo

(A.M. Ortese)

 

 

Intellettuale atipica, scrittrice complicatissima, estranea a qualsiasi programma ideologico o di poetica, Anna Maria Ortese è la figura più originale della letteratura del Novecento e non tanto per la capacità evocativa di sentimenti e sensazioni interiori quanto per la creatività e liricità della sua scrittura tutta intenta a ri-leggere la realtà del mondo.

Una scrittrice, in verità, non adeguatamente conosciuta e studiata.

Chi l’ha conosciuta di persona la definisce come “la mescolanza tra uno gnomo e un folletto, una strega e una suora”, intuitiva, gentile d’animo e nello stesso tempo fortissima.

Schiva, timida e quasi paurosa ha trascorso la vita in solitudine, una solitudine, certamente popolata da fantasmi che poi, via via hanno preso corpo e voce nelle sue opere.

«Sonnambula vagante» ha scritto Elio Vittorini, «sola» dice Pietro Citati «come può essere una pietra, un mucchio d’erba in un giardino».

Due anni prima di morire, nel 1996, la Ortese conversando con Goffredo Fofi (saggista e critico) tracciò il ritratto di se stessa, della sua visione del mondo dando così, tra l’altro, anche la chiave di lettura delle sue opere.

sono una persona antipatica... diversa… Sono esigente col mondo, non vorrei che le cose fossero come sono… I soli che possono amarmi sono coloro che soffrono. Se uno davvero soffre sa che nei miei libri può trovarsi. Solo persone così possono amarmi.

Il mondo? Il mondo è una forza ignota, tremenda, brutale. Le creature belle che pure ci sono, noi le conosciamo poco, troppo poco.

Il male vero è l’industria, è il denaro. Il male è il freddo che essi provocano; se oggi ci fosse più calore, non ci sarebbe tutto questo male.

Prima gli uomini avevano a disposizione elementi favolosi di realtà, oggi hanno voluto perderli: non c’è più la campagna, non ci sono gli animali… resta solo il denaro, che chiede e impone un’altra natura, una natura artificiale…

sono stanca di vedere ricchi, gente che spende troppo per vestire, che vive nell’imitazione di gente ancor più ricca. … Il desiderio è diventato il veleno. Nessuno consiglia il distacco, nessuno consiglia a nessuno: “ferma il desiderio”. Occorre fermare il desiderio. Invidio la libertà che c’era prima dell’industria.

Sono le idee basi dell'opera ortesiana che resta un processo di maturazione vasto e profondo proprio per la sua coerenza alla vita e alla ricerca del senso della vita, quella vita che ella amò con tanta passione da sfuggire, in tutti i modi, i pericoli del nichilismo suicida:

Ancora non abbiamo capito se vivere sia bene o male. Ma una cosa è certa: dobbiamo difendere la nostra fede nel valore dell’uomo più di tutto… e perciò faremo ognuno di noi, il nostro dovere, e rimarremo ciascuno al suo posto, anche se l’Universo va a pezzi…(1)

Ha trovato l’ancora di salvezza nel mare della scrittura,(2) l’unica in grado di sciogliere e trasfigurare ogni forma di dolore e di offesa a se stessa, all’umanità, al mondo; la scrittura sentita come il modo concreto di stare nel mondo e di operare per trasformarlo, stare in compagnia del male senza rendersi complice di questo male, anzi farlo conoscere attraverso la scrittura.

E nella scrittura – si legge in “Il mare come spaesamento”(3) – si trova la chiave di lettura di un testo e la traccia di una sua eventuale verità, si comprende la visione straniante della vita e dell’arte la cui genesi rimanda alla sua stessa infanzia segnata dalla miseria e dal lutto.

Nasce a Roma nel 1914, ma trascorre i suoi primi anni di vita a Potenza, a quel tempo uno dei luoghi più arretrati d’Italia; in seguito la famiglia si trasferisce in Libia, quasi al confine con il deserto per poi ritornare a Napoli in condizioni economiche non floride. Ma il suo immaginario resta segnato dai colori del sud, dai profumi e silenzi del deserto.

Fin da bambina Anna Maria ama camminare, camminare… Ha conosciuto Napoli camminando, introducendosi nei quartieri bassi della città, nei vicoli oscuri per raccogliere il grido deforme della vecchia umanità, fotografare il ceffo, il ghigno, l’agonia… la miseria, lo squallore, il dolore in tutte le sue forme.

È questo lo sfondo dei racconti della Ortese e in particolare del libro più noto, Il mare non bagna Napoli, in cui la vena realistica si misura con l’impatto traumatico dell’irrompere nella vita quotidiana della percezione del dolore. Tra le pagine si sente fisicamente l’odore della povertà che, al pari di quello della morte, serpeggia in ogni vicolo, tra le macerie generate da una guerra che ha riportato alla luce antiche ed ataviche miserie.

Emblematico e bellissimo il racconto Un paio di occhiali in cui emergono in maniera evidente la difficoltà e il dolore della scrittrice nel dover fare i conti con la realtà. Mettersi gli occhiali significa conoscerne il volto vero, significa abbandonare quel velo che una miopia onirica svolge davanti alle cose del mondo, rendendole desiderabili e perfino belle. Allora può capitare di sentirsi estranei a quell’orrore, o di non volere confondersi con esso, e avvertire forte il desiderio di fuggirlo, di abbandonare per sempre quel paio di occhiali rivelatori e rifugiarsi in un altrove favoloso e fantastico, al di là della realtà, pur tenendo sempre vivo nella memoria il ricordo, l’immagine dolorosa di ciò che è reale.

La scrittrice offre così al lettore uno spazio meraviglioso e un tempo estatico e sfuggente, lo mette a contatto con una seconda irreale realtà, non tanto irreale, poi, se… la realtà vera… si disfa… continuamente al pari di un vapore d’acqua e la realtà irreale... domina... l’eterno.(4)

Ciò che ella chiama irrealtà è qualcosa di ben diverso dall’immaginario, dal simbolico, dal fantastico, anche se si serve del fantastico e dell’invenzione e persino della rappresentazione realistica, ma solo per porsi in polemica nei confronti con la realtà o quella che la maggior parte degli uomini ritiene tale.

Tale “irrealtà”, fondamento della poetica dell’Ortese, è passione della realtà, è esperienza del dolore che si subisce dalla realtà stessa. La realtà naturale e storica non è vera realtà perché falsificata da un intreccio di perversione e violenza e ne dà ampia e chiarissima testimonianza nei saggi e racconti di In sogno e in veglia, dalle cui pagine evince il dolore nelle forme più atroci e senza consolazione quando protagonisti sono gli animali martirizzati e la natura oltraggiata (si legga, ad esempio, l’episodio del cavallo).(5)

e veder morire ogni giorno alberi, uccelli, bambini, poveri, feriti, prigionieri… Da ogni sasso si leva un lamento.(6)

La realtà vera o realtà seconda è Regno di bontà, bellezza e gioia e consiste nel ricongiungere tutto ciò che è separato, nel reintegrarsi di ognuno nella comunione dei viventi.

Gli scrittori, ribadisce la Ortese, hanno il dovere di inculcare agli uomini, un principio importante come il latte materno, quello di dire che ogni uomo, il padre, il nonno, il bimbo, la madre, lo straniero sono esseri appartenenti alla grande famiglia della Vita, l’unica che conosciamo e della quale fanno parte anche le bestie e persino gli insetti.(7)

Messaggio questo che, con toni e vibrazioni diverse, si coglie in tutta l’opera ortesiana, messaggio tanto più intenso quanto più fragile sia perché non adeguatamente diffuso sia perché non sorretto da una salda struttura narrativa.

Comunque nella letteratura italiana Anna Maria Ortese resta; resta come voce che si appella alla responsabilità degli scrittori che hanno il compito civile di difendere dal Potere dei più forti i piccoli, i poveri, gli ultimi.

E proprio nel centenario della nascita della scrittrice avvertiamo la sua voce come il grido di dolore di una umanità offesa e di una natura violentata dalla nostra cultura dominante dell’utile e del denaro.

 

Giuseppina Rando

 

 

(1) A.M. Ortese, Il cappello piumato, Mondadori, 1979, p. 57.

(2) A.M. Ortese, Il porto di Toledo, Milano, Adelphi, 1998, pp. 42-43.

(3) A.M. Ortese, Il mare non bagna Napoli, Milano, Adelphi, 1994, p. 9.

(4) Il porto di Toledo, op. cit., p. 112.

(5) A.M. Ortese, “Bambini della creazione” in In sonno e in veglia, Milano, Adelphi, 1973, p. 156.

(6) Ibi, p. 173.

(7) Ibi, p. 114.


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