Flavio Ermini
Essere il nemico
Discorso sulla via estetica alla liberazione
Mimesis, 2013, pp. 58, € 6,00
“L’eterna parola non la conosci?”
“Quale parola?”
“La parola che suona per tutto il creato, che cura ogni dolore e tristezza, l’eterna parola tu non la conosci?”
“Ma quale?”
“Lieben”
In quel momento la parola “amore” si legge in cielo, sfavillante tra le stelle.
Dal film Faust (1926) di Murnau
«Il punto da raggiungere si trova sulla linea di congiunzione tra cielo e terra. È uno qualsiasi dei punti che formano quella linea e va raggiunto seguendo un’idea che conservi l’impronta della molteplicità, salvaguardandoci dall’arroganza dell’unicità».
Pur suddiviso in tre sezioni, quanto leggiamo da Flavio Ermini è una lunga lettera agli uomini, a tutti coloro ai quali la coscienza di un dolore abissale spinge verso un riscatto di luce, che necessita mettere a nudo la ricerca di sé e degli altri …anzi ancora di più, di diventare l’altro e abitare le sue labbra. E il poeta-filosofo interroga mentre si interroga, cerca condivisione, complicità, amore, forza, la grande forza di lasciare le illusioni ed insieme le retrovie per una rivoluzione che ci chiami tutti fratelli. «Ascoltami… ascoltami bene… ti invito a raggiungermi… tu che scrivi sai… fratelli, non temete…»
“Come possono esserci fari nella notte per chi non avverte più la notte?” E… le parole di Nietzsche che ci scongiura: “fratelli rimanete fedeli alla terra”. Flavio Ermini ha scritto Il matrimonio del cielo con la terra nel 2011. Luoghi e figure prelogiche, aurorali abitano il libro, in una ricerca all’indietro di originarietà, di una parola che riporti fortemente la sua pregnanza fuori dall’obsoleto, dalla versificazione casuale e immaginaria. Luoghi sconosciuti, albori sperati di un nascere civile oggi sconquassato e violentato e dominante. Contro l’egemonia di valori disgreganti, di omologazioni, di scelte mai compiute, del lasciarsi vivere perché “così sono le cose” contro questo dolore del nulla, Ermini scrive questo “libretto” come chiamava Raboni i testi densi di significati. Una resistenza e il coraggio di non essere “conformi” è quello che il poeta auspica, una ribellione contro una società che ha mercificato tutto e tanti provocando “l’esilio dalla creazione”. Risaliamo le tenebre dell’anima pur consapevoli che le tenebre torneranno… ma anche la luce. E saremo insieme. Siamo noi a sconfiggere la vita per un colpevole lasciarci vivere. Ma le parole di Flavio Ermini fanno male, una radiografia del dolore contemporaneo che non darebbe scampo se non si fosse posto, il poeta, in dialogo con il lettore. “Allora potrei non averlo scritto io” direbbe Borges… “e anche io”... mi sento di aggiungere… anche voi? Ma è soprattutto l’estensione concettuale del testo ad avermi toccato profondamente. «[...] creare un linguaggio flessibile, aperto alle manifestazioni innumerevoli della vita» scrive Flavio Ermini e ancora «la pazienza e la fuga sono le due facce dell’impotenza. Il tempo dell’indugio non prepara più niente».
E allora ci siamo, certo che ci siamo davanti ad un invito che privo di ogni autoreferenzialità da filosofo poeta è piuttosto un dono di umiltà. Saremo ognuno, uno di quei puntini che formeranno il confine tra la terra e il cielo e potremo anche ascoltare i segreti del fiume come nuovi Siddharta.
Patrizia Garofalo