CAP. 5 – La Questura di Milano e “la pista anarchica”.
La Questura di Milano, diretta allora dal Questore Marcello Guida e dal Vice Questore Antonino Allegra, capo della squadra politica, era convinta in sostanza che la strage di Piazza Fontana dovesse fondamentalmente risalire agli anarchici milanesi, in particolare a quelli appartenenti al Circolo del Ponte della Ghisolfa. Gli anarchici milanesi furono i principali indiziati anche perché già sorvegliati dalle forze dell’ordine a partire dagli attentati del 25 aprile alla Fiera Campionaria e alla Stazione di Milano. Non bisogna tralasciare però che sia i sospetti che le varie “infiltrazioni” nei confronti di essi evidenziavano anche una sorta di pregiudiziale di stampo fascista. Marcello Guida infatti era stato, durante il Ventennio fascista, il Direttore del carcere di Ventotene che deteneva diverse figure politiche di spicco dell’antifascismo italiano. È importante ricordare inoltre che ancora prima della strage di Piazza Fontana le Questure, e in generale le Procure, si trovarono in stato d’allerta (e di grande tensione) per quanto riguarda l’ordine pubblico. Non erano però più le manifestazioni degli studenti o gli scioperi dei metalmeccanici a preoccupare il mondo politico e le istituzioni principali.
Il clima del Paese si era ormai surriscaldato con “l’autunno caldo” e in molte fabbriche andò largamente diffondendosi un’ideologia e un linguaggio non solo anticapitalistico ma di lotta armata e di violenza che iniziava a preoccupare seriamente i quadri dirigenti delle principali organizzazioni sindacali e sostanzialmente gran parte dell’arco politico costituzionale. Fu proprio a partire da questo periodo quindi (e per almeno tutto il corso degli anni ’70) che il Paese si troverà ad affrontare, soprattutto sul piano sociale, dei veri terremoti definiti talvolta “anni di piombo” oppure “strategia della tensione” o ancora “stragi di Stato”. In questo contesto diverrà sempre più difficile comprendere l’operato, il comportamento e le responsabilità delle maggiori forze politiche. Tale debolezza e anomalia si delineerà in seguito (e in modo particolare) proprio nel partito più forte (la Democrazia Cristiana) sino a sfociare in un cruento scontro all’interno dello stesso quadro dirigente segnando confini sempre più marcati tra le varie correnti. Fu quindi l’aspetto dell’”eversione” e della lotta armata contro “il sistema capitalistico borghese” ciò che destò maggiore preoccupazione e tensione nella Democrazia cristiana e negli altri partiti democratici e riformisti quali in particolare il Partito socialista, il Partito socialdemocratico, il Partito liberale e il Partito repubblicano. Tuttavia in quel momento, ha scritto Mammarella, «l’ostacolo maggiore era rappresentato dall’aspra polemica, strascico della scissione, che divideva PSI e PSU. In particolare il PSU, in parte per la sua naturale ricerca di un suo spazio politico, in parte per la reazione alle vicende dell’autunno sindacale che accentuavano il tradizionale anticomunismo della socialdemocrazia, si stava spostando a destra cercando di interpretare le apprensioni delle classi medie e le loro aspirazioni al ristabilimento dell’ordine».1
CAP. 6 – L’indagine del Commissario Calabresi e la morte di Giuseppe Pinelli.
La Questura di Milano si occupava di “controllare”, già dal 1968, tutti i gruppi o i movimenti che in qualche modo manifestassero atteggiamenti “eversivi”. Il Commissario Luigi Calabresi venne assegnato all’Ufficio politico dove arrivò alla fine del 1966. Subito dopo la strage di Piazza Fontana furono portati in Questura, ricordano Indro Montanelli e Mario Cervi, «ottantaquattro militanti anarchici e della sinistra, due della destra».2 Giuseppe Pinelli, un ferroviere che lavorava nella stazione di Porta Garibaldi, fu l’indiziato principale e venne interrogato a lungo, presso uno degli uffici della sezione politica della Questura, dal Commissario Calabresi, anche se della durata del fermo era responsabile il Vice Questore, Antonino Allegra. Calabresi e Pinelli si conoscevano già e la maggior parte delle fonti pervenute attesta che tra loro vi era molta stima, cordialità e rispetto. Mario Calabresi ricordando la figura del padre nel suo bel volume, Spingendo la notte più in là, edito da Mondadori, cita una testimonianza di Marco Pannella del 28 gennaio 1998 in un’audizione della Commissione parlamentare sul terrorismo e le stragi.
Fra Milano e Gorgonzola in una bella giornata – credo fosse l’11 agosto del 1967 – ho camminato per almeno 45 minuti avendo alla mia sinistra Calabresi e alla destra Pinelli… Quest’ultimo mi rimproverò perché, seppure con garbo, dissi al commissario Calabresi che, se si metteva anche lui il cartello “sandwich”, avrebbe potuto continuare ad accompagnarmi, altrimenti, nonostante ne fossi felice, non avrebbe potuto. Pino Pinelli protestò, dicendomi che Calabresi era una bravissima persona.3
Ad avvalorare la tesi, che Calabresi fosse un “dialogante” nel clima pesante di quegli anni e che non cercasse mai la contrapposizione e lo scontro tra le parti, vi sono innumerevoli testimonianze di noti giornalisti dell’epoca. Ricorda ancora Mario Calabresi che suo padre «era uno dei pochi a distinguersi tra i poliziotti d’allora: la sua idea era che non si dovesse puntare sulla repressione e allora andava a casa di Feltrinelli, discuteva con i manifestanti, camminava accanto ai cortei».4
Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, intorno alla mezzanotte, Giuseppe Pinelli “precipitò” da uno degli uffici politici del quarto piano della Questura di Milano e morì qualche ora dopo all’ospedale. La Questura di Milano, per dichiarazione di Marcello Guida, rilasciò un comunicato molto sbrigativo sulla morte di Pinelli “poiché i suoi alibi erano caduti”. Gli anarchici, i gruppi di sinistra parlamentare, una certa stampa nazionale (e in seguito Lotta Continua) non credettero però né all’ipotesi del “suicidio”, né a quella della “caduta accidentale”.
Sandro Fancello
1 G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943 - 2011, Il Mulino, Bologna 2012, pag. 351.
2 I. Montanelli e M. Cervi, L’Italia negli anni di Piombo, Rizzoli, Milano 1991, pag. 118.
3 Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, Mondadori, Milano 2007, pag. 44.
4 M. Calabresi, ivi, pagg. 54-55.
La lotta armata e la strategia della tensione in Italia da Valle Giulia al 1970
III – segue...