Lo studio e la conoscenza della lotta armata e della strategia della tensione negli anni 1969-70 in Italia richiede anche un esame attento del quadro economico-politico del biennio 1968-69. La lotta sindacale, in particolare nell’area del triangolo industriale, aveva sviluppato una forza e una compattezza mai viste prima. Ciò le derivava da due fattori che agivano simultaneamente. Il primo riguardava un notevole sviluppo economico (boom economico) che comprese diversi settori dell’industria in quegli anni e il secondo era relativo ad una maggiore coscienza della classe operaia italiana che, consapevolmente, si batteva non solo per una migliore retribuzione salariale ma soprattutto per modificare le strutture stesse della fabbrica, dal punto di vista della sicurezza, dei ritmi del lavoro, delle condizioni dei luoghi di lavoro e dei rapporti con i quadri dirigenti e dei cosiddetti “colletti bianchi”. Non dobbiamo dimenticare inoltre che il triennio '68-'70 ha rappresentato anche un periodo di forte ondata migratoria non solo verso le città del Nord Italia (si pensi solo alle assunzioni presso la FIAT di Torino) ma anche verso alcuni Paesi dell’Europa quali Svizzera, Francia, Belgio e Germania. Per quanto riguarda l’emigrazione interna (di lavoratori meridionali dal Sud al Nord) ricorda Paolo Rausa nella sua ricerca sull’emigrazione:
Nel 1969 risultano immigrati a Torino circa 60.000 lavoratori, di cui oltre la metà dalle regioni meridionali, mentre in Lombardia giungono 70.000 nuovi immigrati. A Torino e provincia l’elemento scatenante sono le assunzioni alla Fiat. Si trattò di un afflusso improvviso di 15.000 operai giovani meridionali, nella loro stragrande maggioranza di origine non contadina.1
CAP. 1 – Il 1968. Il sindacato, il movimento operaio e quello studentesco.
Uno studio e una ricerca su quegli anni, circa l’assorbimento di manodopera operaia della Fiat a Torino e delle fabbriche del settore meccanico, chimico e siderurgico a Milano (Pirelli-Bicocca), è fondamentale per capire poi le agitazioni operaie e lo scontro quindi con i dirigenti aziendali. Tuttavia il boom economico non creò solo un generale miglioramento nella società del tempo per quanto riguarda i beni di consumo principali (si pensi solo al largo uso dell’automobile o del televisore che in quegli anni modificarono le abitudini degli italiani e che divennero poi dei veri e propri status simbol) ma provocò anche una sorta di capitalismo selvaggio o senza controlli, basti pensare alla speculazione edilizia di quel periodo o alla urbanizzazione disordinata di città come Milano e Torino. Tale sviluppo economico si presentò pertanto efficiente e positivo dal punto di vista dello sviluppo industriale e tecnologico ma anche pieno di contraddizioni relativamente a un Paese che sotto l’aspetto giuridico, della scuola, degli ospedali, della casa, dei trasporti, della parità dei diritti, del matrimonio e delle stesse normative sul lavoro di fabbrica, apparve ancora arretrato, classista e baronale. Basti pensare che le legislazioni e le normative del periodo che riguardavano ad es. la politica, le carceri, i penitenziari, la magistratura, l’istruzione, (Scuole e Università), la pubblica sicurezza (la Polizia di Stato) e l’Esercito, apparivano, attraverso i propri quadri dirigenti, neppure il simbolo di una classe dirigente borghese ma, al contrario, fortemente reazionaria e conservatrice. È quindi in tale contesto che vanno viste sia le manifestazioni e le contestazioni studentesche del 1968, sia gli scontri iniziati alla fine di quell’anno alla Pirelli-Bicocca di Milano tra gli operai e i dirigenti delle fabbriche.
CAP. 2 – La “contestazione”, gli scontri di Valle Giulia e la presa di posizione di Pasolini.
Tuttavia fu soprattutto sotto l’aspetto culturale e non politico che (secondo la maggior parte dei critici e degli osservatori) il 1968 lasciò una traccia indelebile nel nostro Paese. In altre parole, in Italia, forse in misura maggiore rispetto agli altri Paesi Occidentali industrializzati, si può parlare più di Rivoluzione culturale che di Rivoluzione politica o di ricambio di classi dirigenti perennemente inamovibili ed elitarie. Ancora oggi infatti in Italia tale problema appare evidente. D’altra parte però non va nemmeno tralasciato l’aspetto più paradossale e contraddittorio del movimento studentesco a partire dagli inizi del 68. Ha scritto recentemente il giornalista Sante Maurizi sul quotidiano La Nuova Sardegna, in occasione del quarantesimo anniversario degli scontri di Valle Giulia:
Il sessantotto iniziò un anno prima, nel 67: le occupazioni delle Università (Pisa a febbraio; Trento, Cattolica di Milano, Torino a novembre) dilagarono nelle proteste, nelle assemblee e nelle manifestazioni delle prime settimane dell’«anno formidabile», praticamente in tutti gli atenei italiani. L’intreccio fra spinte autoritarie, contestazione della famiglia, del baronato e delle istituzioni, liberazione del corpo, coscienza mondialista e antimilitarista (il pantano del Vietnam) emergeva nella presa delle aule universitarie testimoniando l’inedita vitalità di un’intera generazione. Inedita e inaspettata: soprattutto per i partiti della sinistra, PCI in testa.2
Il primo a individuare e a evidenziare tale aspetto fu proprio uno degli intellettuali di spicco più rilevanti della sinistra italiana di quel momento, Pier Paolo Pasolini, che, dopo gli scontri di Valle Giulia del 1° marzo del 1968, svoltisi presso la Facoltà di Architettura di Roma tra gli studenti universitari e la Polizia, pubblicò una poesia resa celebre poi dal rotocalco settimanale L’Espresso il 16 giugno e intitolata “Il PCI ai giovani”.3 Furono gli scontri cruenti di quella primavera romana a far riflettere per primo lo scrittore-poeta-regista sulla portata e sulla dinamica della “contestazione studentesca”. Pasolini prese posizione contro la televisione e una certa stampa “borghese” asservita alla classe dirigente e politica di quel periodo, inoltre, da militante del PCI, si discostò nettamente da quella che gli apparve come “una rivoluzione culturale attuata dalla borghesia contro se stessa”. Infatti, per quanto riguarda gli attacchi alla Polizia, egli evidenziò nei primi versi della poesia tutto il disprezzo e il risentimento verso gli studenti figli di un costume, di un’ideologia e di un retaggio tipico della borghesia italiana. Scrisse Pasolini nei primi versi della poesia: “Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti perché i poliziotti sono figli di poveri”. E ancora: “Hanno vent’anni, la vostra età cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della Polizia. Ma prendetevela contro l’istituzione della Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale”.4 La presa di posizione di Pasolini gli costò però l’isolamento all’interno del suo partito anche se mise in evidenza un grande limite della “contestazione” studentesca e movimentista, cioè il fatto che essa stesse attuando una “rivoluzione” stando però dalla parte sbagliata. Le divisioni e le contraddizioni emerse all’interno dei vari gruppi del movimento studentesco, di sinistra e di destra, circa gli obiettivi da raggiungere per creare le condizioni di un profondo cambiamento nella società italiana e la sua parabola, che andava dissolvendosi sempre più come neve al sole, non facevano quindi presagire, agli inizi del 1969, alcun segnale positivo. Molto presto la “contestazione studentesca” lascerà il posto, sulla scena sociale e politica, ad altre organizzazioni e gruppi ben più agguerriti, ideologizzati, preparati e addirittura armati.
Sandro Fancello
1 Paolo Rausa, “L’immigrazione italiana interna negli anni '50 e '60”, Salogentis, 16/11/2012.
2 Sante Maurizi, “La battaglia di Valle Giulia e Pasolini” in La Nuova Sardegna, 29 febbraio 2008.
3 Pier Paolo Pasolini, “Il PCI ai giovani” in L’espresso, 16 giugno 1968.
4 L’Espresso, 16 giugno 1968.
La lotta armata e la strategia della tensione in Italia da Valle Giulia al 1970
I – segue...