Chiamarle in un modo o nell'altro condiziona in parte l'atteggiamento dell'opinione pubblica verso il fenomeno. Che si è ripetuto in momenti di grande crisi di assetti politico-sociali-culturali-religiosi; ad esempio, dopo la caduta dell'Impero romano, dopo la scoperta dell'America, dalla crisi strutturale del capitalismo in qua. Noi tendiamo a chiamarle invasioni barbariche, parliamo di regni romano/barbarici ecc. I popoli del nord Europa li chiamano migrazioni di popoli (Voelkerwanderungen, in tedesco).
Lasciando stare qualsiasi altra annotazione, sono caratterizzate dal fatto che sono incomprimibili. Lo stanziamento di Normanni in Sicilia, Totila sepolto a Trani e Alarico a Cosenza, i siciliani biondi alti ecc., lo dimostrano: come i milioni di Lampeduse e di naufragi negli Oceani degli Africani portati dai mercanti di schiavi nel Nuovo Mondo, così come tutti e tutte quelli/e che approdano al confine meridionale d'Europa e respinti tornano e rirespinti ritornano, dato che morire prima di aver tentato tutte le speranze, anche le più assurde e azzardate, non è umano.
Siccome gli stati non sembrano in grado di pensare se non alla violenta repressione del fenomeno, a costo di un massacro di quelli storici, converrà vedere se è possibile tentare qualche altra strada: anche perché quella politico-militare in uso non fa altro che spostare la cultura politica europea verso la destra razzista e i popoli che migrano alla rabbia incontrollabile.
Parto dal rapporto che ho intrapreso io a Bolzano con il detto fenomeno, come da teoria d'occasione.
Sotto i portici del mio quartiere stazionano numerosi venditori di vari ammennicoli ecc, ho incominciato a fermarmi se vendevano cose utili, tipo calzini o asciugamani, e dato che -come ho già detto più volte- mi vergogno sia di dare che di non dare nulla a chi chiede solo l'elemosina, ma so che preferiscono che io mi vergogni ma dia qualcosa, ho incominciato ogni giorno a dare i pochi euro che posso destinare quotidianamente alla bisogna, ai primi o prime tre che incontro. Se vendono qualcosa -come già dicevo- vedo se hanno cose utili. E perché non pensino che li considero pezzi del paesaggio, chiedo sempre, dopo aver salutato, da dove vengono ecc. Così ho finito per avere una buona relazione con un marocchino, del quale ho già narrato, autore del più bel complimento che abbia ricevuto in vita mia, e cioè: “Signora, al mio paese anche gli asini ti vogliono bene!” Come ho meritato l'affetto degli asini? “Il mio paese è vicino a Fez, città imperiale” dice l'amico marocchino e mi spiega che c'è l'acqua, però manca il pozzo, e mi dico che se ci mettessimo insieme, forse riusciamo a trovare i soldi per i materiali e gli strumenti che servono, se loro ci mettono il lavoro: il pozzo si può fare. Infatti così è andata e siccome anche gli asini si abbeverano, mi vogliono bene. Ma la bella cosa non finisce qui, il marocchino annota che avere progettato un'opera in comune ha suscitato interesse e collaborazione. Anche le donne si attivano, si incontrano e mi scrivono, mi mandano foto e addirittura bellissimi tappetini fatti da loro in regalo, insomma una vera amicizia.
Il top di tutto è che ora propongono loro le iniziative; poiché sanno che il “pane arabo” è apprezzato, vogliono fare un forno e una rivendita, anzi un centro per turisti da attirare nel loro paese con i prodotti che sanno fare: ci mettiamo a questa nuova impresa.
Capisco che è una goccia nel mare, ma senza voler prendere il posto della “politica economica del governo” o inseguire le navi da guerra nel mare nostrum, se molti e molte dessero il via ad iniziative del tipo di questa, tenendo sempre conto che è decisivo avviare le loro capacità, non si tratta di assistenza, né di tentativi di colonizzazione o di cristianizzazione. Ma solo un tentativo di politica assolutamente laica, che tenga conto dei reciproci interessi giusti.
Consiglio vivamente di fare tentativi di questo genere, almeno saremo meno odiati/e.
Lidia Menapace