Riccardo Salini (foto) è nato nel 1955 ad Ardenno (Sondrio), dove tuttora abita e lavora. «La poesia mi è stata tramandata da mio nonno Umberto» racconta Richi. «Durante la prima guerra mondiale con alcuni suoi commilitoni si era disperso in una valle dalle parti di Caporetto, dove era riuscito a sopravvivere per quattro mesi cibandosi prevalentemente di radici. Al ritorno aveva iniziato a scrivere brevi poesie, un po’ nello stile di Ungaretti, con il tema della guerra, in dialetto valtellinese. Ho fatto appena in tempo a leggerle, poi purtroppo il libretto che conteneva le sue poesie è andato perso, forse nel tentativo di farle pubblicare, da parte di uno zio di Napoli», conclude e mi passa la sua cartella di composizioni, alcune delle quali sono già uscite sulla “Bottega letteraria” inserto de ’l Gazetin e su altre riviste locali. Nel 1996 ha pubblicato un volumetto e nel 2004 un altro insieme a Marino Spini.
Valtellina
Questa mia dolce Valtellina
dove i suoi monti riposano
e i fiori cantano:
la musica soave
della mia gente antica
che ha sudato fatica
strappando il pane
dalla terra povera
invocando nel silenzio
una preghiera.
In questa e nella seguente composizione il territorio, luogo primordiale degli avi a cui l’autore si sente radicato, si esprime attraverso la sua poetica. Piazzalunga è un borgo panoramico della Media Valtellina, sulle pendici della Cima di Granda, del gruppo del Monte Disgrazia, dove anticamente si ergevano un castello e una torre e dove c’è ancora la casa paterna del poeta. Alla fine del ‘500 era più popolata di Ardenno, di cui ora è una piccola frazione. A partire dal ‘600 ci fu infatti una forte emigrazione, soprattutto verso Roma, dove tuttora vive una numerosa comunità valtellinese. Nel 1797 i cittadini di Piazzalunga, insieme agli altri abitanti della Comunità di Ardenno, chiesero di aderire alla Repubblica Cisalpina. A Piazzalunga morì, così tramanda la leggenda, l’ultima strega di Valtellina. La strìa, si racconta, fin da giovane aveva mostrato tante stranezze come quella di vivere sola senza marito, raccogliere erbe, vendere pozioni e leggere la mano; non fu bruciata viva ma venne scomunicata, bandita dal consorzio umano e condannata a morire nei boschi.
Piazzalunga
Oh, dolce paese mio,
io t’amo!
In te lasciai i giorni più belli
Della mia infanzia.
Ogni volta che ora
Rivedo quei luoghi
Ritorno bambino;
nei prati e boschi d’allora
mi rivedo felice, spensierato sognatore.
Ed ancora ora odo in me
Quel dolce profumo
Di rose e viole;
che bimbo: nel cuore non vi era che amore!
La poetica si riflette anche nella pittura di Riccardo, voce della lingua materna locale: «La poesia nasce prima della pittura come mezzo per superare la sofferenza, mi ha aiutato a superare la sofferenza causata dal ricovero in psichiatria». Lo stile pittorico apparentemente semplice, dai tratti quasi ingenuamente infantili, presenta una rara raffinatezza nella ricerca delle atmosfere, espressionismo di luce e colori che dona a chi guarda quel particolare incanto. La stessa energia che muove un bambino a conoscere-riconoscere il mondo che lo circonda, e ad amarlo. La cultura in questi casi segue, mai anticipa l'evento artistico. L'immagine che ne risulta ridipinge la forma in modo creativo, nell'ottica di questo rapporto di amore-scoperta-invenzione.
«La mia prima personale di pittura risale al 2000, nell’allora spazio espositivo della chiesa di Sant’Antonio a Morbegno». Riccardo ha partecipato a numerose mostre nell’ambito di eventi locali, tra i quali “Scarpatetti Arte” della Città di Sondrio e altre manifestazioni della valle e, a livello nazionale, ha esposto i suoi quadri nell’ambito del “Mad Pride Europeo 2011”.
Madre
Oh, sogno di te
O madre
Che dal sol nascente
Mi mandi un fiore!
Disperato son io
In questo mondo,
che ancor m’illudo
che tu ritorni.
A me dia pace
Quel tuo sorriso
Che dal profondo
Mi mandi un sogno!
Abbiamo scelto questi componimenti in cui l’autore esprime il prolungamento degli affetti dedicati ai genitori. In entrambe le poesie, il dramma della morte si trasforma in sorriso, il dialogo disperato contiene il seme di un fiore, di un sogno, dell’infinito.
PAPÀ
Quant’è lontano
il silenzio, papà.
Il silenzio che ho visto
nei tuoi occhi
un attimo prima
che la morte ti abbracciasse.
Quel sorriso infinito
che portavi sulle labbra…
non esistevi più papà.
«L’amore in generale, l’amore per una donna, l’amore perso, l’amore come ispirazione e pazzia», commenta il poeta.
DOLCE VITA
Lungo la mente
mille richiami
risuonano.
Ho dedicato
gli anni più belli
ad un amore.
E al tramonto
come compagnia
mi è rimasta
la poesia.
Anche se la sua poetica è radicata nella madre terra, Riccardo esprime una versatilità che parla dei suoi viaggi: nei primi anni '70 in Svizzera per lavoro, e poi nel deserto libico, dove si costruivano piattaforme petrolifere: «Ci si doveva alzare intorno alle tre di mattina a fare la doccia, più tardi l’acqua diventava troppo calda. Si arrivava a 55/60 gradi ed eravamo obbligati ad assumere pastiglie di sale per non morire». Poi la permanenza in un piccolo centro vicino ad Oslo, sempre per lavoro. In Italia, Francia e Spagna invece ha viaggiato per turismo con gli amici, i quali hanno sempre rappresentato un aspetto importante della sua vita. Conosco Richi da quando negli anni ’70 ci si occupava di politica insieme e poi, negli anni seguenti ci si trovava, a parlare di filosofia, di politica e del più e del meno. Oltreoceano invece non si è ancora avventurato: «Ho ancora due cugini in America, uno parla solo inglese mentre con l’altro si può dialogare in dialetto stretto. Parla un dialetto che a noi sembra bizzarro, è il dialetto che si parlava ad Ardenno sessant’anni fa».
Erveda Sansi