Firenze – L'Italia della politica, della giustizia e della cultura è quella che tra ieri e oggi è esplosa dietro l'individuazione del presunto assassino di Yara Gambirasio. In un primo momento sembrava che il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, avesse raccontato tutto quello che aveva saputo, senza il consenso della Procura che, infatti, si era lamentata: «Era intenzione della Procura mantenere il massimo riserbo», ha spiegato il procuratore Francesco Dettori (foto), «anche a tutela dell'indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza». Il magistrato ha anche puntualizzato che gli inquirenti puntavano a mantenere la vicenda sotto silenzio. Ma poi il ministro Alfano ha precisato di avere solo detto che era stato arrestata una persona fortemente sospettata di essere l'assassino, e di non aver fornito altri particolari.
Probabilmente non sapremo mai chi dice la verità: se il ministro dell'Interno che ha spifferato tutto per farsi bello e la Procura che ha fatto la garantista sui diritti dell'indagato, oppure se il ministro è stato ligio e tutto è stato spifferato dalla Procura, che si è arrabbiata perché lo scoop le è stato soffiato dal ministro e quindi si è messa a fare la garantista.
Questa è la nostra politica, la nostra giustizia e la nostra cultura? Diciamo che è la loro, e noi ne siamo coinvolti in quanto sudditi di questa politica, di questa giustizia e -purtroppo anche- di questa cultura.
Qui abbiamo un ministro che sembra essere garantista e sembra non esserlo: sembra esserlo quando gli torna meglio (ricordiamo, a suo tempo, le strenue e legittime difese dell'imputato -non condannato- Silvio Berlusconi) ma non quando spiffera tutto ai media di una persona non ancora giudicata. E poi abbiamo una Procura che si indigna per i diritti degli indagati o che forse se ne frega di questi diritti e li strumentalizza per farsi bella. Un bailamme in cui ci sono tre vittime: l'imputato che ancora deve considerarsi innocente e che nonostante ciò è stato sbattuto su tutti i media, chi fruisce di questa informazione, lo Stato di diritto.
Non ci addentriamo nella ricerca della verità, ma prendiamo atto di quanto accade: anche quando lo Stato potrebbe vantare un successo, prevalgono i personalismi e le polemiche tra istituzioni. Sicuramente, quando un ministro viene accusato dalla magistratura di aver violato la riservatezza delle indagini per farsi pubblicità, le alternative dovrebbero essere due e solo due: il ministro ha torto e deve dimettersi; oppure, la Procura ha torto e deve risponderne.
Ma come sappiamo già, il ministro Alfano non si dimetterà, visto che non l'ha fatto in passato per casi piuttosto gravi (vedi caso Shalabayeva). E sappiamo già che nessun magistrato pagherà mai perché, di fatto, non esiste alcuna responsabilità civile dei magistrati nonostante i cittadini lo avessero chiesto con un referendum del 1987.
Anche questa volta finirà tutto a tarallucci e vino...
Vincenzo Donvito, presidente Aduc