Sono trecento aforismi quelli che Donatella Lippi ha raccolto in questo libriccino, ricorrendo ad una vasta produzione letteraria di tutti i tempi, aforismi che si leggono con avidità, perché in questo momento della storia del nostro Paese diventano spunto di riflessione sulla politica e su quella che dovrebbe essere res publica, di tutti, e come tale oggetto di tutela e di rispetto.
Il lamento racchiuso nel titolo, che rimanda a quello dantesco nel VI del Purgatorio, è d’obbligo. Purtroppo suona oggi calzante la definizione di Ambrose Bierce (1842-1914): “Politica, modo di guadagnare la vita simile a quello dei settori più squallidi della delinquenza abituale”, e sono oltremodo moderne le parole di Jean Baptiste D’Alambert Le Rond (1717-83) che vede nella politica “l’arte di ingannare gli uomini”. Niente qui si risparmia ai furbi della politica che vogliono passare per saggi.
Se si parla di interessi personali ci viene in aiuto la citazione di Guicciardini, secondo cui i politici dovrebbero mostrare che “a quelle cose che loro fanno per interesse proprio, sono stati mossi per causa di pubblico bene”.
È amaro riconoscere ancora una volta che ognuno declina da sé la responsabilità scaricandola sui governi precedenti. Lo affermava Baudelaire (1821-67): “È sempre il governo precedente che è responsabile dei costumi del seguente”. Si potrebbe parlare a lungo di questa moda di scaricabarili, ma purtroppo la parola costumi fa subito venire in mente responsabilità ed immoralità di ogni tipo, di amministratori e politici caparbi nella disonestà, che a ravvedersi non hanno mai pensato.
Pur avendo patria nella Atene del V secolo a.C., la democrazia ha faticato a farsi riconoscere con i valori potenziali che portava in sé, tuttavia hanno fatto sempre paura il tiranno e il dittatore il quale, secondo Baudelaire, “è il risultato dell’adattamento di uno spirito alla stupidità nazionale”, quasi a sostenere che il popolo, “l’animale pazzo” di Guiccardini, pur cambiando tempi e luoghi, è sempre responsabile del suo destino.
Quando si parla di politici improvvisati, forse non pienamente competenti, di cui la nostra storia recente ha offerto panorami interessanti, si può adottare il pensiero critico di R. Louis Stevenson (1850-94), secondo il quale purtroppo “la politica è forse l’unica professione per la quale non si considera necessaria nessuna preparazione specifica”. La preparazione dovrebbe essere un imperativo, un prerequisito da cui non dover prescindere, ma sembra non essere il primo pensiero di chi si dà alla politica.
Come se fosse una cascata di putridume, i cattivi esempi di chi governa si rovesciano su chi è governato, e in mancanza di modelli alternativi oppure nella fatica di cercarli, si scende sempre più in basso: “Gli errori e i mali del popolo sono l’opera di quelli che lo governano” scriveva già James Harrington (1611-67).
Non è consolante dover ammettere che la storia non cambia, che il passato non ha insegnato nulla, soprattutto sul piano morale. E che il profitto è stato sempre uno dei massimi obiettivi della politica. Qui è d’obbligo usare il passato prossimo, per lasciare la strada aperta alla speranza.
Marisa Cecchetti
Donatella Lippi (a cura di), Ahi serva Italia...
Polistampa, 2014, pp. 104, € 7,00