Come c’era da aspettarsi, la nascita del nuovo media digitale 14ymedio.com ha suscitato immediati attacchi da parte dei sostenitori del regime cubano. A poche ore dal suo lancio, il portale è stato reindirizzato dai cyber-sostenitori ufficiali a una pagina dedicata (oh, omaggio supremo della tirannia!), non al discredito del mezzo giornalistico controrivoluzionario in quanto tale, ma alla sua “insignificante” amministratrice, la pluripremiata – e anche pluridetestata – Yoani Sánchez Cordero, cattiva tra i cattivi.
Curiosamente, le invettive contro la terribile Yoani non si concentrano sulla legittimità di esercitare il diritto di libera opinione, di creare un mezzo informativo per e da Cuba, o di aspirare a che questo mezzo diventi, oltre che fonte divulgativa, un’impresa in grado di produrre entrate per lei e i suoi soci, di pagare i suoi collaboratori, di rafforzare il giornalismo indipendente e di generare nuove opportunità lavorative. Il succo del discorso, ossia el pollo del arroz con pollo (il pollo del riso con il pollo, ndt), come direbbe il sempre soporifero Lázaro Barredo, in passato fugace direttore del libello Granma, oggi scomparso dalla scena pubblica, è mettere in discussione il capitale di cui la blogger dispone per fondare questa impresa, se siano più o meno meritati i premi da lei ricevuti e a quanto ammontino i suoi esagerati emolumenti, che nell’immaginario collettivo dei suoi frustrati detrattori sfiora, quantomeno, il mezzo milione di dollari.
Tuttavia, la cosa veramente sorprendente è che esistono alcuni personaggetti della dissidenza interna (e personaggi molto più in vista di quella “esterna”) che si sono uniti alla stessa lagna, dimostrando così che l’indole perversa degli autocrati verde oliva ha impregnato la coscienza dei cubani ben oltre i limiti sospettabili, avvelenando anche una parte di coloro che si riconoscono – e di fatto sono – nemici della dittatura cubana.
Il grado di infettività raggiunge una tale portata da fare pena. Quanto mediocre può essere un individuo che si sente addirittura minacciato di fronte alla mera presunzione del successo altrui? Perché il successo o i premi e i riconoscimenti ricevuti dagli altri devono diventare motivo di preoccupazione, specie quando questi “altri” non solo sono stati e sono nostri alleati in causa, ma a loro volta ci hanno dato spazio e hanno condiviso con noi fortune e sfortune? Quale tratto oscuro dell’essere cubano ci impedisce di essere felici del successo altrui?
In questi giorni ho assistito, non senza sorpresa, agli attacchi ricevuti dal nuovo giornale 14ymedio.com da parte delle nostre stesse “trincee”, come se ci trovassimo davanti al peggiore dei nemici. Fortunatamente, le parole di elogio e di incoraggiamento sono arrivate, dai luoghi più disparati, decisamente più numerose della acida bile prodotta dai rancorosi di sempre.
Le critiche più velenose, ovviamente, arrivano dai più mediocri. Alcuni di loro si considerano “giornalisti”, forse secondo un qualche magico retaggio genetico – non necessariamente di qualità di un pedigree – o al fatto di sentirsi detentori di un diritto esclusivo, per questioni di “anzianità”. Se questo fosse un valido motivo, allora dovremmo riconoscere diritti speciali di potere politico al regime a cui da più di 55 anni è soggetta Cuba.
In questo ritrovo di ripudio mediatico sui generis non sono mancati alcuni leaderucci accesi da aspirazioni messianiche, di quelli che sanno sempre come, quando e dove vanno fatte le cose, e che non riescono a concepire, ancor meno a tollerare, una cosa così sana e vantaggiosa per lo sviluppo e la libertà, chiamata semplicemente competenza.
C’è addirittura chi afferma che la competenza, per essere “sana”, debba generarsi in uguaglianza di possibilità, il che riecheggia il disastroso (e falso) egualitarismo grossolano imposto dai Castro e di cui conosciamo le nefaste conseguenze. Non si rendono conto, nonostante vivano di “informazione”, che cose come “l’uguaglianza” non esistono in nessuna parte del mondo e che le “opportunità”, come le ricchezze, vanno cercate, vanno conquistate a costo di intelligenza e di sforzo, ché non scendono come grazia divina sulle spalle di qualche eletto dal cielo. E quando le si raggiunge, non si è di certo obbligati a distribuirle senza motivo. Di fatto, farlo è moralmente dannoso.
Si creda o no, esistono personaggi della dissidenza cubana che – a seconda del loro modello governativo – considerano il successo altrui un freno alla propria realizzazione. E nella sregolatezza della loro frustrazione personale ricorrono a qualunque mezzo ritengano opportuno, incluse le lamentele sulle miserie dei “non premiati”, o i “non finanziati” per riscattarsi professionalmente – il cosiddetto “piangere miseria” – con un rancore tale da ricordare la massima nazionale: “non voglio stare bene come Fulano; voglio solo che Fulano si ritrovi fottuto come me”.
Per questi soggetti non contano il talento, l’impegno, l’entusiasmo, l’audacia, la volontà, né – diciamolo con franchezza e ridiamogli il posto che merita – le ambizioni. Per loro, da 14ymedio.com parte una “competenza sleale”, solo perché Yoani Sánchez ha ricevuto un finanziamento (oh, che brutta parola!) e perché può contare su un luogo sufficientemente decente e comodo per lavorare, non essendo dunque costretta a usare come divano il letto matrimoniale. Io questo lo considererei un vantaggio igienico piuttosto che uno status symbol, ma – certo – capisco che non la pensiamo tutti allo stesso modo. Quel che è certo è che per alcuni dei più ostinati nemici dei Castro la comodità e il denaro (degli altri) sono sporchi come per la loro cupola verde oliva.
Nonostante questo, molti omettono convenientemente che loro stessi hanno ricevuto (o ricevono) appoggio finanziario – cosa di cui mi rallegro molto sinceramente, e speriamo non manchi mai – molto tempo prima di 14ymedio.com, prima che qualcuno venisse premiato e certamente prima che nascesse e si sviluppasse la blogosfera indipendente cubana. Se fosse vero il contrario non avrebbero potuto sostenere i loro giornali o le loro riviste, mentre possono permettersi da diverso tempo di pagare le collaborazioni. Felicitazioni!
Questa è una cosa che non ha mai potuto fare – per esempio – la rivista Consenso, in seguito Contodos (2004-2007), proprio per mancanza di finanziamenti, ragion per cui molti di loro non collaborarono mai a quel progetto, visto che da sempre lavorano per soldi, come è ragionevole e normale che sia, per quanto dei romantici che fanno delle cose gratuitamente esistano in ogni dove. È chiaro che nessuno è obbligato a farlo. Qual è quindi l’offesa? Perché si logorano attaccando altri progetti indipendenti? Non è forse meglio che proliferi la maggior quantità possibile di pubblicazioni in modo da continuare a perforare il muro del monopolio informativo del regime?
Un’altra pratica demonizzata dai “puri” è il marketing. Come se si trattasse di qualcosa di indecente, lo chiamano “cerimonia mediatica” e parlano di “ego esagerato”, “mancanza di umiltà” (un merito speciale che, a quanto pare, credono abbondi tra loro). Perché, all’apice della perfidia, Yoani Sánchez non si accontenta di creare un giornale e basta, ma aspira a fare “il miglior giornale”, dice un critico (o dovrei dire un criticone?). E ci si deve domandare, che male c’è nel perseguire la perfezione? Perché qualcuno non potrebbe desiderare in maniera sana di raggiungere questa meta, specie se lavora valorosamente per farlo?
Personalmente, come giornalista cittadina ho la mania di credere che migliori saranno i pezzi che scrivo, più me ne saranno grati i lettori, che siano d’accordo o meno con l’opinione che esprimo. E così cerco di fare con qualunque impegno che mi prendo, a prescindere dal fatto che mi avvicini o no in qualche misura alla perfezione che perseguo. Perché qualcuno si dovrebbe accontentare di qualcosa di meno? Perché questo dovrebbe essere un difetto?
È curioso come alcuni soggetti che abitualmente parassitano sull’opinione altrui per spacciarla come propria (e questo sì è sleale, e persino fraudolento), che hanno scarsa cultura, preparazione e qualifiche – sia accademiche sia da autodidatti –, che “agghindano” con menzogne o esagerazioni le informazioni che ricevono, che tratteggiano persone inesistenti nelle interviste che pubblicano e che riducono il loro successo alla opprimente mediocrità (ancora maggiore) di chi li circonda – il che, di fatto, conferma loro stessi come individui mediocri –, pretendano di ergersi a paladini dell’onestà e come pozzi di virtù.
E poiché la vanità smisurata porta irrimediabilmente al ridicolo, gli orfani piagnucolosi mentono o distorcono la realtà: 14ymedio non ha mai dichiarato di essere il primo mezzo digitale indipendente di Cuba, nemmeno si dichiara “anticastrista” (né “anti” niente, ma piuttosto “pro” libertà, che per quanto sembri la stessa cosa non lo è affatto), ragion per cui, dagli antipodi accusano Yoani di “ambiguità”, perché c’è sempre qualche deficiente che, pur non avendo progetti propri, crede di avere il diritto di dettare legge su ciò che devono essere (e fare) i progetti degli altri.
E, per finire con tutta la ramanzina castro-socialista, pensata per quelli che magistralmente definirono come “perfetti idioti latinoamericani” tre intellettuali molto più saggi di me, lasciamo una buona volta l’eterno atteggiamento di povere vittime, erniosi mentali a coloro che vanno sfamati e sovvenzionati perennemente. Né Yoani, né 14ymedio, né assolutamente nessuno oltre loro stessi sono responsabili della mancanza di successo o di “finanziatori” per superare le loro miserie.
La formula del successo, cari idioti di questo borgo insulare, non consiste nell’aspettare che appaiano generosi mecenati che “diano”, ma nell’avere da offrire. Non bisogna stare seduti ad attendere che qualche imprenditore annoiato voglia “fare giustizia” elargendo un po’ di elemosina.
Forse i gemebondi occasionali dovrebbero impiegare le energie che spendono nel lamentarsi per lavorare con maggiore efficienza e creatività. E già che ci sono, non sarebbe male che si aggiornassero e si mettessero al passo con i tempi. Non sentitevi obbligati, ci mancherebbe!, si tratta solo di qualche consiglio. Fatto ciò, azzardatevi a correre qualche rischio. Intendo soprattutto rischi professionali e finanziari, e non venite ancora una volta a dire che questo o quello sono stati arrestati o che si giocano la vita “in strada”, perché questo è un rischio che corriamo tutti noi cubani: dal temerario che fonda un partito politico o scrive in maniera indipendente, al disgraziato che ruba tre libbre di carne da un magazzino. Questo è un altro dei nostri più noti miti. A Cuba la prigione non dipende dai meriti di ognuno, ma dal capriccio della tirannia.
E se qualcuno decide di prendere questo testo come un’offesa personale, sappia che non voglio logorarmi nel fare questo, ma rispetto ogni scelta cosciente. Se non ho fatto nomi, non è per eludere il confronto, ma perché non intendo regalare neanche un minimo di neuroni a un dibattito che, peraltro, sarebbe inutile; sappiamo che per alcuni soggetti non c’è rimedio. Il tempo è un saggio giudice. Sappiate che non ho nemmeno interesse a farmi dei nemici, ma non createvi delle false aspettative: i miei nemici me li scelgo da sola. Non so se i destinatari di questo post sono all’altezza dello scontro o hanno la capacità di fortificarsi. In ogni caso, sinceramente, vi auguro un mare di successi.
Miriam Celaya
(dal blog Sin EVAsión, 2 giugno 2014)
Traduzione di Silvia Bertoli